I gelati Ratati e il camioncino

17 Dicembre 2022
I primi gelati confezionati apparvero nei bar intorno al 1950. Il più desiderato era il “mottarello” conosciuto anche come “fiordilatte” per il suo aspetto candido. Aveva la forma di un piccolo parallelepipedo con i due angoli superiori smussati, sostenuto da una listella bianca di legno. Trovare dove mangiare un gelato non era facile negli anni dell’immediato dopoguerra caratterizzati dalla povertà. I più intraprendenti gestori di bar e di osterie, all’epoca, producevano in proprio modeste quantità di gelato, grazie alla macchina che riusciva a gelare l’impasto di uova, zucchero e latte rendendolo cremoso, che, con grandi sacrifici, avevano acquistato. In quantità più ridotte, il gelato veniva preparato in casa da chi, non possedendo né il bar né l’osteria, lo andava a vendere nei  pomeriggi d’estate, di sabato e di domenica, nei quartieri della periferia di Cremona o nelle frazioni dei Comuni limitrofi, in recipienti di rame avvolti dal ghiaccio e caricati su un carrettino che egli stesso trainava spingendo sui pedali della bicicletta alla quale era legato, al grido modulato e ripetuto di “Gelati!”.
Uno di questi ambulanti “fai da te” escogitò un curioso espediente per incrementare le vendite del suo gelato, che nel mese di luglio del 1945 erano scarse, paradossalmente a causa della calura insopportabile. La gente cercava refrigerio standosene in casa e, quando arrivava il gelataio, soltanto qualche bambino usciva di casa per mangiare una parigina, come veniva chiamato il cono di gelato. Mentre aspettava invano, appoggiato al carrettino parcheggiato nell’abituale punto vendita all’altezza del quartiere Maristella, all’ombra delle alte querce che fiancheggiavano la strada provinciale per Ostiano, ebbe un’idea. Per realizzare il suo disegno, gli serviva un aiutante e ne parlò a un cugino. Quest’ultimo, accovacciato nel letto asciutto della roggia e nascosto dall’erba alta cresciuta sulle rive, avrebbe dovuto, manovrando uno specchietto, riflettere un raggio di sole sulla sommità delle querce. Contemporaneamente lui avrebbe gridato al miracolo, sarebbe accorsa gente e, complice il solleone avrebbe venduto una gran quantità di gelato. L’evento miracoloso si sarebbe dovuto ripetere per alcune domeniche, nel primo pomeriggio quando il sole era di fuoco. L’operazione scattò di lì a qualche giorno, l’ultima domenica del mese. Mentre tra le foglie tremolava la spera di luce riflessa dallo specchietto manovrato dal cugino ben nascosto a poca distanza, “Miracolo! Miracolo!”: il gelataio si mise a gridare a squarciagola nel silenzio del primo pomeriggio richiamando l’attenzione. Poi ancora, con quanta voce aveva in gola: “La Madonna! La Madonna!”. Dai caseggiati vicini si riversarono in strada alcuni abitanti ai quali se ne aggiunsero altri e altri ancora: in poco tempo la piccola folla teneva incollati gli occhi alla cima delle querce dove faceva capolino, contro il fogliame, la luce tremolante lanciata dal cugino. Ma la Santa Vergine tardava a mostrarsi sotto il solleone, la sete aumentava e gli accorsi, sudati, incominciarono a cercare un po’ di refrigerio dissetandosi con i coni di gelato. La richiesta fu superiore a ogni previsione e in poco tempo la scorta di panna e cioccolato finì e quella di limone scarseggiava. Nonostante l’attesa si fosse protratta fino quasi alla sera, la Madonna non apparve.
Visto il successo di vendita, i due decisero di ripetere la messa in scena la domenica successiva, ma con una variazione del tutto imprevista. Alle grida che invocavano il miracolo esortando la Vergine ad apparire, si aggiunse l’invito a gustare la novità dei “Gelati Ratati!”. Lo slogan ripetuto ad alta voce, aveva, come spesso capita a frasi incomprensibili, incominciato a fare presa sulla gente e a esercitare una forza persuasiva. Era avvenuto che la sera prima, durante la preparazione del gelato che sarebbe stato venduto l’indomani, nel mastello che conteneva l’impasto ormai pronto per essere raffreddato, s’era introdotto un piccolo ratto, che fu lesto a scappare. La perdita del prodotto, per le finanze del gelataio, sarebbe stata eccessiva e quindi continuò la preparazione  nonostante l’irruzione del topolino, convinto che nessuna conseguenza negativa avrebbe avuto sulla qualità del gelato. Al grido di “gelati ratati” intendeva mettersi a posto la coscienza. La partecipazione e la religiosità della gente diedero gli effetti sperati e mentre continuavano le evoluzioni del raggio di luce che il cugino disegnava sul fogliame, qualche vecchietta, forse in preda a un colpo di calore, incominciò a mettersi in ginocchio, affermando di vedere l’immagine della Madonna. Fu un’allucinazione collettiva, altre donne si inginocchiarono e Colomba, una donna di Azione Cattolica, nota per la sua conoscenza del repertorio di canzoni di chiesa, incominciò a intonare “Mille volte benedetta o dolcissima Maria…”. Si unirono altre voci creando un’atmosfera tanto suggestiva quanto contagiosa. Vi pose fine una nube estiva che, con la sua ombra, impedì allo specchietto di continuare a riflettere il raggio di sole, interrompendo anche l’effetto miracolo. Tutti rientrarono nelle case, appagati dall’apparizione della Vergine che credevano di avere visto tra le querce. Il vero miracolato fu il gelataio, il quale con il ricavato delle vendite riuscì ad acquistare un camioncino Fiat 1100/103 usato, nel cui cassone fissò i recipienti di rame destinati a contenere il gelato da trasportare negli abituali punti di vendita.
Sperangelo Bandera

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