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 GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Con sensibile anticipo rispetto ai Magi che non prima del 6 gennaio deporranno oro, incenso e mirra ai piedi della capanna, il professor Carlo Cottarelli, dalle colonne di Mondo Padano, ha già deposto generoso incenso ai piedi del palazzo comunale: Cremona è risalita nella classifica della qualità della vita e dunque complimenti ai reggitori e avanti così. Sorvolo su quanti e quali residenti possano condividere con pari entusiasmo la singolare esortazione. Mi terrò pertanto a prudente distanza da quella categoria di incerti contorni e ambigua sostanza che chiamiamo ‘qualità della vita’ e dagli opinabili criteri di chi ne stila le periodiche classifiche. Oserò al contrario qualche paradossale riflessione sulla qualità della vita là dove vita non c’è più e la parola stessa risulta tristemente impropria.

Pur convintissima che il rigore con cui viene punita la crudeltà sugli animali sia fra i più significativi indici della civiltà di un Paese, preventivamente avverto che sto per entrare contromano nel minato terreno della cosiddetta cultura animalista.  Quando la difesa dei diritti animali si esprime in forme di invasato e spesso grottesco fanatismo è ancora amore per gli animali o non piuttosto il riflesso di sprezzante disinteresse per gli umani? Rimugino il dubbio ogni volta che, nell’arduo sforzo di mantenere in decorose condizioni la cappella di famiglia posta sotto una cupola del cimitero monumentale, mi ritrovo a lottare con pietrificati strati di guano donato dalla colonia di piccioni che felicemente prospera e si moltiplica fra androni e corridoi. Vani gli sforzi degli addetti alle pulizie che volonterosamente raschiano, lavano e lustrano. Vane, anzi dannose, le reti antipiccione applicate alle cupole e di fatto utilizzate dai geniali pennuti come simpatiche amache su cui sostare osservando dall’alto l’umano formicaio  penosamente indaffarato con spazzoloni e raschietti. Non è propriamente polvere di stelle quella che ad ogni minima oscillazione delle reti piove sulla testa di chi sta sotto, costretto a respirarla.

Protocolli  sanitari in grado di  far chiudere un bar per un rubinetto del bagno a non perfetta norma, come classificano le condizioni igieniche in cui  ci si muove nelle aree coperte del cimitero cittadino?  Il personale dei suoi uffici accoglie con paziente rassegnazione le proteste ma al minimo suggerimento circa ulteriori soluzioni per l’allontanamento dei volatili non nasconde lo sgomento: “No, per carità, questo non si può fare, se no ci arrivano gli animalisti”.  

Mi chiedo se sia davvero il pacifico e dialogante Francesco d’Assisi il vero modello di questi inesorabili obiettori che, solo ad evocarli, mandano in panico chi teme di averci a che fare. Oddio, occorre riconoscere che anche senza il micidiale concorso dei piccioni, la parte monumentale e antica del nostro cimitero, tanto ricca di storia e arte, se la passerebbe maluccio. Basti dire che il parziale e recente rifacimento degli scaloni di accesso è avvenuto quando ormai fra le crepe dei vetusti gradini stavano spuntando alberi ad alto fusto. Decenni di abbandono al degrado e alle infiltrazioni di umido nelle coperture hanno irrimediabilmente compromesso strutture alle quali non si è mai riservato alcun adeguato stanziamento.

Che sia  meglio investire sui vivi che sui morti è ovviamente criterio non privo di qualche realistica saggezza. Ma male non sarebbe se nel  2025  ‘meno robba’ andasse dove già c’è ‘tanta robba’ e un pochino di ‘robba’ , magari memore dell’antica ‘pietas’, finalmente si dirigesse là dove il piatto piange da decenni.

Il guaio è che certi investimenti pubblici sono politicamente paganti, altri assai meno e non urtare i più suscettibili settori del proprio elettorato è da sempre criterio sovrano, forse non nobile ma certo funzionante. In fondo, il paralizzante potere ostativo dei ‘no’ pronunciati da un pugno di animalisti locali riproduce, nel suo piccolo, una delle più insidiose contraddizioni delle nostre democrazie: evidenze del buon senso condivise da stragrandi maggioranze sono spesso tenute sotto schiaffo da fanatiche minoranze urlanti. E così la spunta non chi ha ragione ma chi è più invasato e accecato dalle proprie soggettive e presunte ‘ragioni’.  Peccato, perché nemmeno i più intransigenti attivisti dovrebbero ignorare quanto più convincente e socialmente accettabile risulti la difesa di un principio se viene non solo platealmente proclamato a parole ma testimoniato con la coerenza dei fatti. Vengano dove i loro protetti fanno disastri, si rimbocchino le maniche e diano una mano a pulire e rimediare invece di scaricare sulle spalle altrui le conseguenze di astratti rigori ideologici, refrattari a qualunque obiezione.

A proposito: non toccherebbe alla politica, nel concreto delle sue scelte amministrative, tenere la barra dritta e garantire che le ragioni del buon senso in fine prevalgano? In qualche istante di delirante ottimismo mi capita di pensarlo. Ma è solo un istante, poi torno in me e mi domando perché mai classi dirigenti sempre più ‘piacione’ dovrebbero complicarsi a tal punto la vita. Se è vero infatti che, almeno per ora, i piccioni non votano, votano invece le zelanti truppe dell’animalismo militante. Il che basta e avanza a porre in un’autentica botte di ferro i discussi pennuti, ormai incontrastati padroni di tetti, piazze, monumenti, stazione ferroviaria e così via.

Evidente che  fra un camposanto e un ‘campo largo’ e allargabile non c’è partita. Né mai ci sarà, chiunque detenga le chiavi del Palazzo e il conseguente compito di  occuparsi della famosa ‘qualità della vita’.

 

Ada Ferrari

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