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Fine anno. Tempo di bilanci anche per la politica. Di pagelle.  E, come per gli anni precedenti, è d’obbligo la seguente premessa: voti e giudizi non entrano nel merito delle qualità e delle capacità degli individui. Non esprimono un giudizio sulla persona. Valutano l’azione politica e amministrativa relativa all’anno 2024. Non sono una sentenza divina. Non sono apodittici.  Non contemplano il ricorso al Tar perché nessuno è bocciato, promosso, rimandato.

Politica provinciale. Incasinata. Inclassificabile in occasione delle elezioni comunali e provinciali. Ininfluente in Regione. Ma niente paura: «Potrebbe andar peggio! Potrebbe … piovere!»  (Frankenstein junior). Voto 4

I partiti.  Sono i principali protagonisti di questo deserto.    Ridimensionati nel loro ruolo di corpi intermedi e di rappresentanza politica, svuotati dall’utilizzo pervasivo della tecnologia, che millanta un’utopistica democrazia diretta, hanno impiegato le loro risorse per l’assalto alla diligenza. Un arrembaggio per accaparrarsi poltrone e prebende.

Vergognoso lo scontro all’arma bianca per la spartizione dei posti nel Consiglio di amministrazione di Padania Acque. Indecente il replay di poche settimane fa per l’elezione del Consiglio di amministrazione dell’Ato (Ambito territoriale ottimale). Errare è umano, perseverare diabolico. E spudorato.

L’idea del tutti assieme appassionatamente – dal Pd a Fratelli d’Italia – per una lista unica alle elezioni provinciali è stato uno schiaffo alla democrazia. Al buon senso. Agli elettori.

La carenza di leader credibili, autorevoli e carismatici, raffredda la speranza di vedere l’uscita dal tunnel per il prossimo anno. E in quello successivo. Ma tranquilli: «Non può piovere per sempre» (Il corvo). Voto 3.

Il centrosinistra.  Ha riconquistato Comune e Provincia più per demerito del centrodestra che per virtù proprie. Ma se quel che conta è il risultato, la sufficienza non può essere negata.  Tra i ciechi anche gli orbi ci vedono. Voto 6

Il centrodestra.  Non conosce il gioco di squadra. Tafazziano seriale potrebbe trarre vantaggio dalla frequentazione di un gruppo di autocoscienza per masochisti anonimi. In alternativa, iscriversi a un corso intensivo e accelerato per apprendisti stregoni della politica.

Una seconda chance si concede a tutti. Si dice così, anche se di opportunità la coalizione ne ha sprecate molte. E allora?  Calma e gesso: con il tempo e con la paglia maturano le nespole. La paglia non è un problema. L’incognita è il tempo, ma le nespole locali non hanno fretta di maturare. Voto 5.

Il Pd. Abbandonata da tempo la weltanschauung del materialismo dialettico, passato a quella liberista e poi alla tecnicistica, è approdato infine a una concezione del mondo   stakeholderiana e di stampo cremonese. Non pisquani qualsiasi, ma rappresentanti di categorie influenti o di singoli potenti, i portatori di interesse sono giustamente più preoccupati dei propri affari che del bene comune.

 Il Pd sostiene il nuovo ospedale e l’autostrada Cremona-Mantova. Flirta con le multiutility. Coltiva ambizioni sbagliate che non sono quelle narrate da Moravia, ma poco dissimili.

Rincorre il centro e non disdegna accordi con l’ala destra. Ignora quella sinistra.

Il Pd, credibile quando era schierato con Cipputi, oggi, più padronale, lo è un po’ meno. Conformista e omologato, è la copia della Democrazia Cristiana.  Brutta, sia chiaro. Un surrogato. Un tarocco.   Voto 8 per gli antenati, 3 per nipoti e pronipoti. Media 5,5.

Fratelli d’Italia. Alle elezioni prende i voti, ma non il Comune. Cerca il colpevole, ma s’incarta.  Si straccia le vesti, ma il danno prodotto dall’Atacms che si è infilato nel retrobottega del partito è irreparabile e nessun emolliente può togliere il bruciore.

Finisce all’opposizione, che sotto il Torrazzo è poco più di un gin fizz. Partito ondivago sui temi caldi del territorio, traccheggia e condivide alcune posizioni del Pd. Partito d’ordine, appare confuso.  Partito di comari, ciancia. Ogni tanto starnazza. Non cambia.  Voto 7 per i consensi elettorali, 3 per la vulnerabilità del retrobottega. Media 5.

Forza Italia. È la più titolata erede della Democrazia Cristiana. Non batte i pugni sul tavolo. Se ci prova innesta il rallentatore. Della serie tàia e medéga. Quasi sempre sta in mezzo al guado. E ci rimane. Cacadubbi, difficilmente affonda il colpo. Quando ci prova e impone il proprio candidato per la presidenza della Provincia, fa un buco nell’acqua. Pare, a causa del fuoco amico. Non è una primizia. La storia insegna e di voltagabbana è ricca la cronaca politica.  E il saggio dice dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io. La Democrazia Cristiana non si sarebbe fidata delle promesse.  Una flebo di testosterone potrebbe giovare al partito. Voto 6 per la moderazione, 4 per l’ingenuità. Media 5

Lega. Giano Bifronte, risulta difficile collocarla nello scacchiere politico provinciale. A Cremona sta sul pero. A Crema sul melo.  Esprime alcuni buoni amministratori. I militanti sono tosti e motivati, ma non formano una falange oplita.

La dirigenza cremonese è sfocata e spesso la linea del partito sulle questioni locali è poco leggibile. Qualche volta contradditoria. Più efficiente quella cremasca. E’ ruota di scorta del centrodestra.  È il bambino messo in porta perché il più scarso della squadra e non è bello escluderlo. Non sta né in paradiso, né all’inferno. Sta nel limbo. Voto 7 per l’impegno dei militanti, 5 per i dirigenti. Media 6.

Il partito di Fabio Bertusi. Pokerista della politica, cavallo brado, scorrazza libero nell’ossimoro della prateria paludosa dei partiti tradizionali. Li tiene per le palle. Un capolavoro, la gestione delle elezioni provinciali.  Piazza i suoi pretoriani sia nella lista di centrosinistra che di centrodestra.  Vittoria assicurata prima del responso delle urne. 

Non è iscritto a nessuno partito, se non al proprio, di cui è segretario e presidente. Plenipotenziario. È tutto.  Per aderire non servono tessere, è sufficiente aspirare a un posto al sole. Ma anche all’ombra.

Si definisce di centrodestra, ma fa ottimi affari con il Pd.

Contoterzista della politica, fornisce i suoi uomini ai partiti ufficiali per raggiungere la maggioranza. In cambio del servizio chiede ai committenti qualche poltrona. Ma si accontenta anche di uno strapuntino. Che ottiene. Non è chiaro se siano ciula i partiti o troppo furbo lui. 

Showrunner del non eccelso spettacolo della politica locale, è inviso ai moralisti da strapazzo che credono ancora all’esistenza di Shangri-La. In realtà sono dei rosiconi. Dei sepolcri imbiancati. In politica non esistono né mammolette, né gigli immacolati. E l’illibatezza è un lusso che nessuno dei protagonisti si può permettere.  La politica è sangue e merda, ha spiegato Rino Formica. Bertusi lo sa benissimo e si attiene alla regola. Machiavelli è dalla sua parte.  E nessuno può scagliare la prima pietra contro di lui. Voto 8.

Luciano Maverik Pizzetti, presidente del Consiglio comunale di Cremona, è il riconosciuto leader del Pd. Kingmaker del centrosinistra, al grido di O Virglio o morte, ha issato il suo pupillo sullo scranno più alto del Comune.  Si è battuto come solo Tom Cruise è capace.  Ha esagerato e oscurato il cadetto. Dopo la vittoria ha proseguito nel ruolo di pedagogo. Sovraesposto sui media dell’establishment, surclassa il protetto in visibilità e autorevolezza. Domanda: perché non si è candidato a sindaco? 

Ha sostenuto la lista unica in Provincia, vista con favore dalle associazioni di categoria.  Una mossa per una pax pizzettiana da raggiungere senza incrociare le spade. Già, «Il modo migliore per vincere una guerra è assicurarsi la vittoria ancora prima di iniziare a combattere». (Sun Tzu)

La pax avrebbe permesso al top gun di guidare il territorio senza patemi d’animo.  Ma anche di ridurre l’obolo politico da pagare a Bertusi, con il quale condivide il pragmatismo estremo e la determinazione. Dal pokerista lo separano 25 anni di età a lui sfavorevoli e il cursus honorum a lui favorevole.

La realpolitik è scritta nel suo dna. Non ha remore ad allearsi e siglare accordi con chiunque, se vantaggiosi per i suoi progetti. Non chiede l’esame genetico e l’albero genealogico dei compagni di cordata e se ne impipa del colore del loro sangue. 

Un 8 come per Bertusi lo meriterebbe, ma il marcamento asfissiante a uomo del suo protetto, il progetto di lista unica e l’atteggiamento da io sono il verbo, voi non capite un cazzo gli tolgono 3 punti. Anche i miti fanno puttanate. Voto 5.

Andrea Virgilio, sindaco di Cremona. Troppo presto per giudicarlo in questo ruolo. Le prime mosse non sono state da urlo. Il doppio salto mortale carpiato sull’impianto di  biometano in via San Rocco incidono sul giudizio.  

La difficoltà a rompere il cordone ombelicale con Pizzetti non favorisce la sua autonomia e toglie carisma e autorevolezza Se il buon giorno si vede dal mattino, l’alba non è stata luminosa.  Può migliorare. Cinque anni sono lunghi. E i miracoli accadono.  Voto 5.  

Fabio Bergamaschi, sindaco di Crema.  Se all’eloquio fluido il Ben Affleck della Repubblica del Tortello mettesse maggior grinta eviterebbe maldicenze che lo vorrebbero commissariato dal Pd.  Pettegolezzo, ma si sa la calunnia è un venticello.  «Nelle orecchie della gente s’introduce destramente e le teste e i cervelli fa stordire e fa gonfiar». 

Ha inaugurato il sottopasso di via Stazione e la politica culturale e l’istruzione non sono male. La sua vice Cinzia Fontana è di primissima qualità.  Alcune lezioni di decisionismo dall’ex sindaca Stefania Bonaldi, partita come gazzosina alla menta e, in un battibaleno diventata techila bum bum, potrebbero aiutarlo. Merita un prolungamento del credito elettorale. Però deve sbrigarsi. Il tempo fugge. Voto 6.  

Filippo Bongiovanni, leghista moderato. A giugno è stato riconfermato sindaco di Casalmaggiore. E questa è già una freccia nel suo arco. Poi è stato uno dei promotori della rivolta che ha sortito il rinvio della nomina del Consiglio di amministrazione dell’Ato. Ed è un’altra freccia. C’è poco altro da aggiungere. Voto 7.

Marcello Ventura, coordinatore provinciale e consigliere regionale di Fratelli d’Italia. Per lui un 2024 di passione. Sul banco degli imputati per la gestione delle elezioni comunali e provinciali non ha fatto un plissé. È rimasto al suo posto.  

Sulla nomina del Consiglio di amministrazione di Padania Acque si è schierato con Pizzetti. Giorgio Almirante si sarà rivoltato nella tomba e non importa se il capo dell’allora Msi aveva partecipato al funerale di Enrico Berlinguer, segretario del Pci.

Incapace di coagulare il partito intorno a sé, il coordinatore di Fratelli d’Italia si barcamena. In Regione non si è grattato gli zebedei. Si è impegnato, ma non ha fatto la differenza rispetto ai precedenti consiglieri del territorio. Voto 4. 

Renato Ancorotti, senatore di Fratelli d’Italia. Impeccabile nel lavoro svolto a Roma. Deludente per quello non compiuto a livello locale. Ha sparato ad alzo zero sulla gestione del partito in più occasioni, ma i fatti sono rimasti in sospeso. Finiti nel cimitero dei buoni propositi. Tutti aspettavano un redde rationem tra i vertici e i militanti, ma passata la bufera non si è mossa foglia. Tutto va bene madama la marchesa.  Tanto rumore per nulla. 

Per lui giudizio più che positivo per l’attività di senatore. Negativo per quello che non ha fatto per ridare un’identità più definita e intellegibile al partito provinciale. Voto 5

Matteo Piloni, consigliere regionale Pd. Ubiquitario e presenzialista. Ufficio stampa efficientissimo presenza asfissiante sui social.  Non gli sfugge una virgola. Se viene chiamato risponde. Sulla concretezza della sua azione si può discutere. Comunque è preferibile il movimento all’inazione. All’inerzia. In perpetuo movimento è il Beep Beep della politica provinciale.   Voto 7.

Riccardo Vitari, consigliere regionale della Lega. Volonteroso, si impegna per il territorio. Manca d’esperienza, che non si compra al supermercato. È sulla buona strada. Se sono rose fioriranno. Anche per lui il tempo non gli è amico. Voto 6.

Gianni Rossoni, presidente dell’Area omogenea cremasca e sindaco di Offanengo. Un anno da ricordare. Ha ottenuto dall’assemblea dei sindaci della provincia l’approvazione della costituzione dell’Area omogenea cremasca. Passaggio che le permette di essere operativa a tutti gli effetti. Basta e avanza per promuoverlo con lode. Voto 8  

Alessandro Portesani, battitore libero, candidato sindaco di Cremona del centrodestra. Ha elaborato il lutto della sconfitta. Non si è stracciato le vesti. Non si è pianto addosso Ha evitato il dinamismo dispendioso e spesso improduttivo dei neofiti. Si è rimboccato le maniche. Lungimirante, guarda e si prepara per il futuro. Voto 7

Paola Tacchini, Cinque stelle.  Anche lei digiuna di amministrazione. Anche lei in trincea. Anche lei umile.  Con grinta e fermezza lavora per crescere e diventare un mastino dell’opposizione. Voto 7 

Andrea Bergamaschini, consigliere comunale Lega di Crema. Giovane, ma con idee precise. Sveglio, ha imparato veloce i fondamentali della politica.  Dai banchi della minoranza interviene con cognizione di causa. Per il Carroccio potrebbe risultare un buon investimento, ma è troppo presto per azzardare pronostici. Voto 6.

Roberto Mariani. Neo presidente della Provincia. Lo scivolone sulla nomina del consiglio di amministrazione dell’Ato non è stato un esordio felice. Sottolineato questo, sarebbe una forzatura assegnargli un voto.

Buon anno.

 

Antonio Grassi

 

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