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Le guerre  vicine a noi sembrano non voler finire; la tanto sospirata tregua  prende corpo con assurda lentezza, probabilmente perché si fatica ad ammettere che l’uso ostinato della forza è indice solo di grande debolezza. 

Il ricorso alle armi si accompagna sempre ad un uso smodato di parole:  insulti,  accuse e  menzogne, in altre parole  alla politica. Come mille altre volte in passato, anche questa volta è  successo; ci hanno mentito come solo i lestofanti, gli imbonitori  e i ciarlatani sanno fare: la Nato dichiara di non volere espandesi e poi ci prova con l’Ucraina, la Russia dice che si sente assediata e invece vuole ripristinare l’impero, Israele  ratifica di rispettare i confini e intanto manda i coloni a occupare nuovi territori, i terroristi islamici in nome della libertà  sono pronti a portare migliaia  dei loro fratelli ad una inutile morte. 

Insomma la prima vittima della guerra è la verità.

Sembra che siamo condannati a recitare  lo stesso copione e che dobbiamo sempre ripetere le parole di Jean Paul Sartre  “l’inferno sono gli altri”  (A Porte Chiuse). 

Da parte mia mi ostino a pensare che lo sguardo verso vincitori e vinti ci porta a provare pietà per entrambi e a null’altro. 

 “Nella Letteratura c’è il senso di tutto” diceva Borges, un’affermazione di cui mi sono ricordato rileggendo l’incontro fra Priamo, che chiede la restituzione del  corpo del figlio, e Achille. 

Il vecchio re non appare come sopraffatto dalla forza del guerriero. Anzi, questo incontro ci parla del superamento della violenza bruta attraverso il dolore che accomuna i due protagonisti.

“...(Priamo) in Achille fece sorgere il desiderio di piangere per suo padre, prese il vecchio per mano e lo accostò dolcemente  a sé; tutti e due ricordavano… quando Achille fu sazio di lacrime…prese il vecchio per mano e lo fece alzare e compiangendo i capelli e la barba bianca del vecchio, si rivolse a lui con queste parole: infelice, quanta sventura hai patito nell’animo”. (IL.  XXIV, 507-518. trad. di MG Ciani).

Dunque è la comprensione emotiva che unisce i due personaggi: Priamo è reso fragile dai tanti lutti di cui Ettore è il più recente, mentre  Achille rivive la fragilità dell’infanzia di cui sente una profonda nostalgia. 

Alla fine del dialogo  fra i due scende un silenzio in cui non si odono più parole, rumori dell’accampamento e il clangore delle armi. Il mondo smette di respirare per un attimo in cui il lettore  assapora  l’eternità che solo le emozioni possono dare. 

Proprio su questo passo dovremmo soffermarci e riflettere, sperando finalmente  che le idee si schiariscano un po’ e che il copione che ci apprestiamo a recitare sia finalmente diverso, anche perché Omero questo copione  lo aveva già scritto secoli fa, ma a noi è ancora in gran parte sconosciuto.   

 

Giuseppe Pigoli

L'Editoriale

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