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Abbiamo letto i testi di tutte le canzoni in gara da oggi al 75° Festival di Sanremo che si conclude sabato 15 febbraio. C’è tanto amore, tanto, tanto amore. Un po’ di depressione, l’Alzheimer, il fratello, il telefono, i social, poca attualità. Pochi cantautori e tanti tormentoni, per scaldare i motori verso l’estate. Ormai, Sanremo è un apostrofo rosa fra le hit estive, un intermezzo commercialmente appetibile per radio, siti di divulgazione musicale e major discografiche. La vita si ferma per una settimana. Alla fine lo fischiettano tutti. Resta un fenomeno di costume. Ci piaccia o meno, è uno spaccato dell’Italia e una sospensione dalle bagarre politiche e dai disastri economici che purtroppo restano ben oltre i cinque giorni di Sanremo.

Faremo una carrellata leggera, sperando di non aver dimenticato qualcuno.

Achille Lauro racconta un amore un po’ retrò in “Incoscienti giovani”. C’è tormento ed elegia. Toni estremi: “Se non mi ami muoio giovane”. Sembra un rullino di vecchie foto, quelle che decenni fa tenevamo in un raccoglitore. Immagini lontane: il padre di schiena, la Peugeot dove dormire, la telefonata dall’autogrill. Lauro non ha paura di sembrare vecchio, lui così moderno.

Bresh tono cantautorale con “La tana del granchio”, sembra l’immagine di un luogo in cui l’uomo mette a fuoco e coltiva i suoi tormenti. Qualche effetto sinestesico. I vestiti al sole sembra di vederli e sentirli. Nel ritornello deve aver voluto omaggiare Jovanotti: la chitarra che non suona, una borsa piena di buchi. La chitarra di Jovanotti suona e i suoi buchi sono nelle tasche, ma l’eco è prepotente.

Brunori Sas l’unico vero cantautore al festival 2025 porta una canzone “L’albero delle noci” dedicata alla figlia di 3 anni. Nell’incertezza di essere all’altezza del compito di padre trae da lei la forza per allargare ”l’architettura e le proporzioni del cuore”. Metafore dal cosmo, dall’economia, dalla quotidianità. “Vorrei cantarti…. La notte che arriva nel giorno che muore”. Del resto l’amore per un figlio non conosce confini.

Clara canta “Febbre”. E pretende tanto. Vuole solo un amore febbrile. Canzone debolissima. Tanti termini stranieri: glitch, chic, enfant. Creano un effetto velocità. Ma lasciano perplessi. “Non dire je t’aime, dimmelo se ciò che provi è solo febbre”. Nasce già tormentone, la prova generale per quello che lancerà in estate.

I Coma Cose tornano a Sanremo per la terza volta con “Cuoricini”, cantando l’amore al tempo dei social, fra alti e bassi. “Quegli occhi sono due fucili, due fucili che sparano sui cuoricini, cuoricini”. Il messaggio è semplice e fine a sé stesso come la canzone. Meglio dirsi addio di persona.

Semplice anche l’approccio testuale interpretato da Elodie alla sua quarta volta al Festival. Porta “Dimenticarsi alle 7”. Canta la malinconia che pervade gli animi dopo aver fatto serata, in mezzo a gente sconosciuta “quanta gente passa e se ne va che non sa chi sei”. Il testo è fin troppo bello considerando la debolezza del messaggio.

Fedez canta la depressione. Ha il merito di trattare un argomento spinoso e decisamente poco allineato ai temi cari al festival. “Battito”, questo il titolo, ha un testo interessante e empatico. “Forse mento, quando ti dico sto meglio, dentro i miei occhi guerra dei mondi, tu mi conosci meglio di me”. Gli autori fanno un uso efficace del lessico sanitario, evitando l’effetto lamento e l’autocommiserazione. Parlarne crea un distacco che è terapeutico.

Da Francesco Gabbani ci si aspetta molto. Invece…. Il suo inno alla vita “Viva la vita” è banale. Vale la pena ricordare sempre che la vita è bella, ma si poteva fare lo sforzo di trovare un titolo che non evocasse così smaccatamente “Viva la vida”, straordinario pezzo dei Coldplay, a meno che non si fosse certi di fare di meglio. Il sorriso e la freschezza di Gabbani in ogni caso aiutano sempre.

“Fango in paradiso” per Francesca Michielin, anche autrice. Racconta la fine di un amore, un addio chiusi in macchina. “Quasi zero poesia, solo pratica”. Il suo lavoro ha qualcosa di pretenzioso. “Chissà con chi farai un figlio”. Ma sa di già visto. Essere originali con un tema così abusato diventa difficilissimo.

Alle prese con il telefono anche Gaia, già vincitrice di Amici. “Chiamo io, chiami tu” è il suo titolo. Il testo è diretto e ritmato, mette allegria, è vacanziero, porta spensieratezza, vien voglia solo a leggerlo di ballare. Parole corte e disimpegno. Ci sta.  L’edera deve essere la pianta eletta a simbolo del festival, la cita nei versi Gaia e anche la Michielin. Omaggio a Nilla Pizzi?

Giorgia canta “La cura per me”. Un’altra dalla quale ci si aspetta tanto. Firma il pezzo anche Blanco. Parla di un amore che è agape, il nostro prossimo è la cura. Ma c’è “la paura”. Gli altri sono davvero una cura. Peccato il pezzo rievochi un capolavoro insuperabile come “La cura” di Battiato. Un’opera irreplicabile, perché perfetta. Queste allusioni non fanno bene a un progetto che dovrebbe aggiungere una novità.

Irama si racconta in “Lentamente”. Testo grintoso, maschile, muscolare. Parla di un amore clandestino che implode per autocombustione. Troppo fuoco. Toni sempre alti, pompati all’altezza del messaggio che vuole esprimere.

Joan Thiele porta “Eco”. La giovane è anche fra gli autori. Il pezzo è dedicato al fratello, maneggia temi delicati, accenni a una famiglia che appare disfunzionale. Il fratello è il suo porto, che le fa vincere le insicurezze. “Questa mia vita è il mio viaggio ed io traccio da sola le scelte che faccio, ma se ci sei tu ho più coraggio”. Testo intimo. Da psicoterapia.

Lucio Corsi, cantautore toscano, porta “Volevo essere un duro”. Gioca la carta autobiografica, con ironia. Perché la realtà è spesso lontana dai nostri sogni. “Quanto è duro il mondo per quelli normali, che hanno poco amore intorno o troppo sole negli occhiali”.

Rientro per Marcella Bella al Festival con “Pelle diamante”. La signora della canzone resta nella sua confort zone con una canzone di autodeterminazione femminile. Ritornello ripetuto ossessivamente per un messaggio chiarissimo: io sono “forte”. Per una donna che non deve chiedere mai. Ah già ma quello era il claim della pubblicità di un dopobarba.

Arriva ora un veterano, un cantante dal quale in assoluto ci si aspetta di più. Massimo Ranieri interpreta “Tra le mani un cuore”, fra gli autori Nek e Tiziano Ferro. Un testo teatrale, enfatico, molto passionale, sembra un abito cucito su misura. Del cuore occorre avere rispetto, un rispetto quasi devozionale. Interessante l’uso dei termini cristiani: altare, Dio, il segno della croce. Toni alti.

I Modà, ultimamente un po’ defilati, ripartono dal Festival con “Non ti dimentico”. L’autore è il front man, Kekko Silvestre. La loro freschezza è di solito un marchio di fabbrica. “Sembravi una canzone che mi squarciava il petto. Un quadro di Kandinsky dove immaginarmi tutto”. Ma sembra di averla già sentita.

“Se ti innamori muori” è il pezzo di Noemi. Fra gli autori c’è Mahmoud. Anche lei si interroga sulla maternità, senza venirne troppo a capo. Testo non efficace, sulla paura di innamorarsi. Del resto innamorarsi è una malattia. L’amore è la cura. Dovrebbe mettersi in società con Giorgia, per completare l’opera.

Olly presenta “Balorda nostalgia”. Già il titolo ricorda la nostalgia canaglia di Albano e Romina e non viene voglia di proseguire. Dopo averlo letto cosa possiamo dire? E’ il rimpianto di un amore che non c’è più. E’ un amore semplice. Tutte le immagini e i ricordi sono molto basici. Quadretti domestici e popolari.

Rkomi porta “Il ritmo delle cose”. Denuncia la povertà del mondo digitale, puntando il dito contro pornografia, consumismo online, videogames ecc… Un manifesto contro un mondo che “E’ l’inferno a fuoco lento, amore senza sentimento, è un violento decrescendo”. Queste canzoni sono segno dei tempi, restano come testimonianza di un’epoca.

Rocco Hunt con “Mille vote ancora”. Uno dei primi rapper a mescolare italiano a napoletano. Nel 1972 Massimo Ranieri incise il brano “L’erba di casa mia”. Cantava la nostalgia dell’infanzia, della propria terra. La canzone è un capolavoro. “Mi ricordo una via, un bambino giocava”, inizia così. Il brano di Hunt fa il verso: “Mi ricordo una strada, un bambino che sogna”. Mutatis mutandis.

Passiamo a Rose Villain che sogna di fare “Bonny e Clyde” con il suo innamorato e il favore della notte. Con “Fuorilegge” per amore. “Sento il tuo nome e inizia a piovere fuori e dentro di me”. Testo semplice, per un pubblico adolescenziale.

Sarah Toscano, alla sua prima volta fra i big, scomoda Federico Fellini per il suo “Amarcord”. Riferimento alto per un testo dolce e soffice. “C’è un vento che mi porterà, mi scioglierà le trecce, di una vie en rose come Edith Piaf. La giovanissima cantante vuole impressionare, sparando alto, l’effetto sui giovani che non conoscono né Fellini né Edith Piaf è assicurato.

Serena Brancale, cantautrice, porta “Anema e core”. Il testo è molto ritmato, si sente che spinge un sound che all’ascolto sarà sicuramente accattivante. Pertanto le parole, il messaggio, sono funzionali alla musica. In sé è un bene. Il significato si perde. Resta un significante. “Dammi un bacio, su un taxi cabrio”. E buon divertimento!

Shablo con Guè, Joshua, Tormento presentano “La mia parola”. C’è lo street food e c’è la street song. “Chiuso fra cemento e smog, è una street song, qui la gente muore e vive, senza soldi e senza alternative”. Il flusso delle parole è fluido, ma per garantire il ritmo vengono usate tante parole inglesi monosillabiche. Per raccontare tutti gli stilemi tipici dei rapper.

Simone Cristicchi dedica alla mamma la canzone, di cui è coautore, “Quando sarai piccola”. “Quando sarai piccola ti stringerò talmente forte, che non avrai paura nemmeno della morte”. Interprete sensibile Cristicchi, il testo è veramente commovente. Immagini fedeli alla malattia della mamma descritta con dolcezza e armonia. Toccante.

I The kolors scelgono di essere espliciti: “Tu con chi fai l’amore”. Dubbi da innamorato che si fida poco, prendendosi tutti i rischi degli incontri occasionali. Già a leggerla vien voglia di ballare. Anche qui non manca qualche francesismo. Forse perché rendez-vous è più figo di appuntamento.

Tony Effe porta il romanesco all’Ariston con “Damme ‘na mano”. Roma è personificata in una donna. Il ritornello è in romanesco. Un po’ Roma non fa la stupida stasera e un po’ Roma capoccia, ma con minore elegia e più grinta. Scrittura nervosa. Immagini carine di una città infingarda, pericolosa di notte, una Eva pronta a mangiare la mela, ma che sa tendere la mano.

“Grazie ma no grazie” è l’ultimo brano in gara. Scrive e canta Willy Peyote. Ho letto l’incipit fino a “La ami come se lei ricambiasse e ch’hai provato più volte dei Jalisse”. Che brutta similitudine! Il resto ha anche l’intenzione di trattare temi attuali: dice di no a chi non riesce a trovare il modo di confrontarsi anche con idee opposte. Chi prende tutto un po’ sul personale. Da rileggere in un momento di maggiore serenità.

 

Francesca Codazzi

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