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Posizione di metà classifica per l’ospedale di Cremona, al 70° (su 133 strutture) secondo Newsweek e che precede giusto giusto l’ospedale di Bagno a Ripoli, quello di Camposampiero, quello di Cittadella, quello di Lodi e persino Desenzano del Garda e Castel Volturno.  Ovviamente anche quello di Mantova che, vale la pena sottolineare, è in zona retrocessione, visto che è al 122° posto e preceduto dal Cottolengo di Torino e dall’ospedale Maria Cecilia di Cotignola, Comune italiano di 7.362 abitanti in provincia di Ravenna. Però, come sappiamo, a Mantova c’è un DEA (dipartimento emergenza urgenza accettazione) di II livello, vale a dire il massimo che un ospedale possa offrire alla popolazione di riferimento, mentre a Cremona un DEA di secondo livello non c’è e non ci sarà mai, almeno sinché rimane in vigore la legge che prevede un DEA di secondo livello per un bacino di utenza compreso tra 600.000 e 1.200.000 abitanti: se gli abitanti della provincia di Cremona sono 372.000 e quelli di Mantova 400.000, è facile fare la somma e rendersi conto che nella bassa Padana due DEA di secondo livello proprio non ci possono stare.

Chi mai e per quale motivo avrà deciso di fare un DEA di secondo livello a Mantova? Io un’idea ce l’avrei, visto che ormai la politica sanitaria è diventata una cosa seria, basata sui dati oggettivi e sui risultati ottenuti, non certamente su decisioni politiche e favori ad amici ed alleati, né tantomeno sugli interessi di quelli che vengono oggi definiti stakeholder. Basta vedere le motivazioni con le quali si costruirà il nuovo ospedale di Cremona: qualcuno dice che la nuova struttura si  inserisce in una visione olistica della salute e del benessere della persona, integrato nel  contesto socioculturale e in grado di offrire  spazi di interazione sociale e per lo svago, mentre altri, in maniera più spiccia, sostengono che si fa perché si deve fare. Una logica inoppugnabile, considerando che l’assistenza ospedaliera la fanno i muri, non certo il personale e neppure la sua organizzazione.

Tornando alla classifica di Newsweek, al primo posto tra gli ospedali Italiano c’è il Niguarda di Milano, costruito nel 1939, ben prima di quello di Cremona. Strano, è più vecchio del nostro, è strutturato con edifici staccati tra di loro e in certe sue parti avrebbe bisogno quantomeno di una mano di pittura e di intonaco e però è un punto di riferimento a livello internazionale. C’è da dire che, per quanto sforzi la mia memoria, è sempre stato un ospedale all’avanguardia, ben prima che la politica ci mettesse le mani e capire il perché non è difficile: ha sempre puntato su medici e personale sanitario di eccellenza che, a loro volta, hanno stimolato un bellissima competizione professionale. L’unica cosa della quale ci si può stupire è che sia rimasto eccellente sino ad oggi, nonostante il ferreo controllo da parte dei partiti.

Con le dovute proporzioni, a  Cremona invece la sanità la fa esclusivamente la politica. Li abbiamo sentiti tutti a sostenere la costruzione di un nuovo ospedale: politici regionali, politici europei, politici locali, industriali, architetti, idraulici e capomastri,  tutta gente esperta di politica sanitaria e di assistenza ospedaliera. Di certo nessuno di loro ha ancora capito che la sanità e l’assistenza la fanno le persone e la loro organizzazione e che i muri da soli servono ad appendere i quadri e magari gli ex voto. Speriamo di non averne bisogno.

 

Pietro Cavalli

L'Editoriale

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