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Forse non ci crederete ma esiste un ospedale nel quale chi ha bisogno di una visita senologica basta che si presenti in reparto, senza prenotazione, senza impegnativa, senza raccomandazione, senza lista di attesa. Forse non ci crederete ma esiste un ospedale il cui direttore generale non se ne sta chiuso nel suo ufficio ad obbedire alle direttive dei  politici che l’hanno nominato e a coltivare il proprio cerchio magico, ma gira per i reparti, parla con il personale, condivide il loro lavoro, si impegna a migliorare l’assistenza e non esclusivamente le pubbliche relazioni. Forse non ci crederete, ma esiste un ospedale in grado di attirare i professionisti più capaci e più motivati e dove i giovani, se hanno talento e motivazione, non vengono emarginati perché troppo bravi. Forse non ci crederete, ma esiste davvero un ospedale nel quale i dipendenti e il direttore generale si stimano reciprocamente e si impegnano per far funzionare al meglio la loro struttura. Che, vale la pena di sottolinearlo, riceve gli stessi fondi di qualsiasi altra struttura sanitaria del Sistema Sanitario Nazionale.

Forse non ci crederete, ma stiamo parlando dell’ospedale pubblico di una cittadine non più grande di Cremona, in una Regione, il Piemonte, che certamente ha un’offerta sanitaria inferiore alla nostra, anche perché da quelle parti  la sanità privata non è così incoraggiata come in Lombardia.

Si tratta dell’ospedale di Cuneo, un posto dove ignorano l’esistenza di torrone e cotechino, ma che è stato classificato come l’ospedale migliore d’Italia, secondo i dati Agenas. Un ospedale con alcuni limiti (è costruito all’interno della cerchia urbana di una regione dove mangiano la bagna cauda e il Castelmagno e snobbano provolone e grana padano) ma che dimostra come per far funzionare bene l’assistenza ospedaliera è necessario puntare su  motivazione e coinvolgimento del personale, attrezzature, organizzazione. Ma soprattutto mettersi in testa che un ospedale è un luogo dove si cura e si assiste chi sta male, non uno strumento per arricchire stakeholder e far girare quattrini.

Forse non ci crederete, ma la data di nascita di questo ospedale, il migliore d’Italia, risale al 1960. Il che dimostra, ancora una volta, che non è l’età di costruzione di un edificio quello che qualifica un Ospedale, bensì la capacità di chi lo dirige e di chi lo fa funzionare.

Certamente invece crederete che queste righe rappresentino parole al vento, in una realtà, la nostra, dove chinare la testa e stare zitti rappresenta la virtù più apprezzata. Salvo farsi curare da un’altra parte.

 

Pietro Cavalli

L'Editoriale

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