A scuola con la 600

28 Ottobre 2022

Tra la fine degli anni ’50 e i primi ’60, la scuola per la quasi totalità degli alunni rappresentava un luogo austero e, per le punizioni a suon di ceffoni che venivano inflitte dai genitori ai figli il cui profitto, alle udienze, risultava insufficiente, anche un po’ pericoloso. Nessuno osava contestare l’operato dei professori. Erano autorizzati a esercitare, nei confronti della scolaresca, il diritto di alta e bassa giustizia come nel Medioevo. All’epoca, il diritto di critica verso l’operato dei docenti non era previsto neppure tra le reazioni più segrete. A distanza di parecchi decenni, due ex liceali, incontratisi per caso in un bar di Cremona, facevano a gara a riesumare dal deposito della memoria aneddoti legati a questo o a quell’insegnante. Carlo: ricordi quel professore di storia e filosofia che entrava in classe con la sigaretta tra le mani, estraeva dalla tasca il giornale, sedeva in cattedra e diceva ‘Fate quel che volete ma però tacete’? Passava così tutte le ore e solo verso la fine del trimestre si decideva a spiegare qualche filosofo per poi poter interrogare e mettere un voto. Tino: il venerdì le prime due ore erano dedicate al compito in classe di latino o di greco, a cui seguivano due ore di storia e filosofia. Io e altri due, con la complicità del bidello, a cui mia madre a Natale mandava qualche bottiglia di vino, scendevamo dallo scalone e due ore prima guadagnavamo la libertà gironzolando per la città, senza che il professore se ne accorgesse.  Per un anno il venerdì la scuola finiva alle 10,30! Carlo: lo ricordo, ma era un altro il professore; e quella di matematica, con quel giro d’occhi che sembrava farli uscire dalle orbite? Era sempre nera di umore come il grembiule che indossava e quando ti mollava un cinque, cioè quasi sempre, emetteva un lampo di soddisfazione. Tino: il professore di latino e greco, quando frequentavo la prima B, siccome non studiavo ma in scritto ottenevo la sufficienza, davanti alla mia scena muta sulle Egloghe di Virgilio, quasi si mise a piangere perché in scritto andassi bene e l’orale fosse disastroso.

Ai professori, in quegli anni, era lecito tutto senza che da nessuna parte si alzasse la protesta. Non era nemmeno pensabile che un genitore osasse far valere la propria ragione nei confronti di un professore, davanti al preside, anche quando l’;aveva. Una nota sul diario da far firmare a casa suscitava una sola reazione: due schiaffi, senza nessuna scusante, neppure se fosse stata plausibile. Certi insegnanti se per caso incontravano un alunno a passeggio per le vie della città o ai giardini pubblici, era certo che l’indomani sarebbe stato interrogato. Carlo: i professori più severi suscitavano sempre ilarità. Ricordi quando quell’insegnante, ex bersagliere, che veniva a scuola in bicicletta arrivando davanti al portone a gran velocità? E quando, sfiorando il gruppo di noi studenti fuori dal portone in attesa della campanella, salì con la ruota anteriore sul marciapiede, ma quella posteriore non scavalcò il bordo. La bicicletta sbandò e lui per tenerla in piedi ondeggiò con le gambe aperte per qualche metro prima di saltare giù, caricarsela sulla spalla destra e di corsa salire i gradini fino a metà dello scalone dove c’era lo spazio per le bici.  Fu una risata continua ricordando il passato scolastico.

Un ultimo ricordo di Tino. Quando portammo con la mia 600 l’insegnante di filosofia, su sua richiesta, al Santuario di Caravaggio, nel ritorno per la velocità corremmo alcuni pericoli. Professore, si è spaventato? gli chiesi alla fine del viaggio. Lui imperturbabile: ‘Sai guidare benissimo!’.

 

Sperangelo Bandera

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