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Cremona, Spoon river del commercio.  «Addio alle luci della città. Negozi: scenario da resa» (La Provincia, 29 gennaio). «La città del Torrazzo tra le 20 con la maggior perdita di attività: è seconda in Lombardia» (La Provincia, 2 marzo).  «Corso Garibaldi, sono 40 i negozi chiusi. Da porta Milano a via Palestro, le vetrine spente e le saracinesche abbassate non si contano più» (Cremonasera, 15 luglio). 

Continuare con il rosario dei titoli non aggiungerebbe nulla di significativo a quelli citati. Inutile recitare i misteri gaudiosi, gloriosi e luminosi. In corso Garibaldi e dintorni non si incrociano gaudio, gloria e luminosità. Ma prefiche in abbondanza. Con un epitaffio per ogni saracinesca abbassata, gli Edgar Lee Masters locali potrebbero comporre l’Antologia di Spoon River del commercio cittadino. 

Facile anche scrivere la sceneggiatura per Cremona, città dei negozi morenti, accompagnata nei titoli di coda da un nostalgico e amaro Bruce Springsteen: «Erano arrivati i tempi difficili nella mia città … Adesso sulla strada principale ci sono solo vetrine imbiancate e negozi vuoti/Sembra che nessuno voglia più venire qui» (My Hometown).

Per i fatalisti, gli abulici, gli accidiosi, per teste di rapa o di altro tipo meno apprezzato, fautori della teoria è un problema di tutte le città, la questione è secondaria. Inutile preoccuparsi.  Questa idiozia, fa il paio con la fesseria mal comune, mezzo gaudio. Mezzo gaudio un paio di palle. È sfiga cosmica per gli operatori del settore.  Grossa grana per le associazioni di categoria. Incubo per politici e amministratori locali. 

La chiusura dei negozi e la desertificazione del centro storico sono il sintomo macroscopico di una patologia grave, ormai endemica, che ha colpito la città. Crisi sistemica che si somma ad altre meno appariscenti e più subdole. Forse anche più pericolose, perché non percepite o sottovalutate. Metterci una pezza che non sia peggiore del buco è un dovere, ma quanti remano in questa direzione?

Quali sono le cause scatenanti la malattia? Perché ha attecchito e proliferato? Quale la terapia? 

Non è semplice rispondere se si scartano le motivazioni usa e getta, le litanie qualunquiste sulle inadempienze della politica, le arringhe sull’inaffidabilità delle istituzioni.  Le banalità dei tuttologi social.  

Se si escludono repliche da talk show. Se non si ricorre al codardo e comodo sono tutti colpevoli, pilatesca formula per concedere l’indulgenza plenaria e assolvere oves et boves et universa pecora. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Tutti felici e contenti. Ma tutti con il cerino acceso ancora in mano, fermi al punto di partenza. Ingiusto accusare le associazioni di categoria di immobilismo e di risparmio di energie e di risorse nel tentativo di tamponare l’emergenza. Tutt’al più di scelte poco oculate.

Un paio di mesi fa la Confcommercio Cremona ha promosso il progetto Urban Data per il commercio locale, dashboard innovativa al servizio del territorioLa sperimentazione, inserita nel programma nazionale Cities per il rilancio delle economie di prossimità, punta a contrastare la desertificazione commerciale. A valorizzare i centri urbani attraverso strumenti digitali e analisi avanzata dei dati. 

«I dati – ha infatti sottolineato Andrea Badioni, presidente Confcommercio provinciale –   sono la chiave per leggere il presente e costruire il futuro. Con questo sistema, trasformiamo intuizioni in azioni concrete. Offriamo alle amministrazioni locali e agli operatori economici un supporto reale, fondato su numeri affidabili, per orientare le decisioni in modo tempestivo ed efficace» (www.confcommerciocremona.it, 12 maggio).

La spinta per affrontare la crisi si troverebbe quindi nella pervasività della tecnologia e nell’utilizzo della lingua inglese. Nessuno lo dubita. Però lo stesso Badioni, all’inizio dello scorso anno, dichiarava: «Non servono soldi per il commercio locale ma idee e progetti che devono essere sviluppati in sinergia tra tutti i soggetti coinvolti dal problema» (Cremonaoggi, 8 febbraio 2024). Da soli non si va da nessuna parte.  È questa la discriminante tra la possibilità di vincere o di perdere. Ma è anche una chiamata alle armi di politici e amministratori pubblici.

Ispiratori e protagonisti della trama del romanzo della città detengono gli strumenti per modificare la storia.  Per determinare lo sviluppo futuro della città.  Per favorire o frenare il rilancio del commercio di prossimità. Per permettere di aspirare a un centro storico vivo, diverso dall’attuale, agonico, pronto per l’estrema unzione.

Sono i sarti delegati a cucire la famosa pezza non peggiore del buco da chiudere e da loro stessi causato. 

Non bastano parole e promesse di circostanza. È insufficiente la somministrazione di sintomatici al paziente.  Serve una terapia radicale. Occorrono la schiena dritta e il coraggio di ascoltare non genuflessi e adoranti gli stakeholder di riferimento. Di non considerarli oracoli. Di non essere schizofreniche palline da flipper.    

«Uno dei grandi errori- spiega Badioni – ad esempio è l’abbandono della nostra città: il non valorizzare il nostro meraviglioso centro storico. Si è preferito investire sul nuovo e all’esterno della città».  E pensare a Francesco De Gregori è un attimo. «E tu da che parte stai? Stai dalla parte di chi ruba nei supermercati o di chi li ha costruiti rubando?» 

Il timore che l’Amministrazione in carica sia incapace a porre le basi, per modificare la poco rassicurante narrazione mainstream non è peregrino. L’appalto Saap, l’ultima di una serie di vicende da cartellino rosso, la inchioda alla propria inadeguatezza.  Non per la gestione dell’operazione: errare è umano.  Ma per la reazione alla conclusione che conferma la perseveranza nell’errore e la rende diabolica.  Di fatto, vengono negate le proprie responsabilità. È un tutto va bene madama la marchesa che fa a pugni con la realtà. 

«Se la maggioranza vuole essere credibile e corretta non può rappresentare una verità diversa da quella accertata attraverso una sentenza non appellata» (vittorianozanolli.it, 18 luglio) chiosa la consigliera comunale di minoranza Maria Vittoria Ceraso.  Pleonastico aggiungere altro.

Prima di chiudere un’annotazione marginale, ma curiosa.  ll Documento di indirizzo della progettazione del nuovo ospedale prodotto dall’ASST di Cremona prevede alle pagine 43, 74 e 119 spazi commerciali con botteghe e negozi di quartiere. Dal centro storico al centro dell’ospedale. L’evoluzione sanitaria raggiunge il cuore della città.

Infine gli interrogativi rimasti in sospeso. Anni fa, i boomer, quelli oggi più stagionati, scrivevano: «Tutti vogliono respirare e nessuno può respirare, e molti dicono respireremo più tardi».

Questa è la malattia: rimandare il respiro a un domani che non sarà un altro giorno. 

Nell’Antologia di Spoon River, Alexander Throckmorton ammonisce: «Quando ero giovane, avevo ali forti e instancabili, ma non conoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi le montagne, ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione».

Questa la terapia: imparare in fretta, affrontare e risolvere il problema prima che sia troppo tardi. Lapalissiano. Già, ma ripeterlo giova. Per evitare di continuare a leggere «Negozi in centro storico. In 12 anni perse 114 attività» (Cremonaoggi, 25 marzo). E non bastano i Giovedì d’estate, ancorché encomiabili a rianimare l’ammalato. Urge affondare il bisturi nel corpo del paziente. In bocca al lupo.

 

Antonio Grassi

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