Titolo che ben s’addice al contesto ambientale in cui mi sono ritrovato nel prosieguo della mia ricerca sui funghi della società Baldesio a Cremona, il 26 ottobre scorso.
Rispetto al progetto iniziale, ho ridotto l’arco temporale indagato: dai funghi del primo autunno, a quelli di un solo giorno, quel fatidico 26 ottobre.
Ma come? Proprio quel giorno di pioggia? Ebbene sì, perché la pioggia, anziché rappresentare una maledizione, si è rivelata un valore aggiunto, tante le trasformazioni suggestive dell’aspetto fungino suscitate.
La quantità di specie trovate, poi, è stata più che sufficiente per una presentazione esauriente e stupefacente, soprattutto nel finale, di quelle autunnali. Tutte diverse tranne una, quelle presentate, rispetto al precedente articolo. Eppure le condizioni climatiche erano le peggiori che potessero capitarmi quel mese.
Dopo un’oretta di nubi calme ma minacciose, pioggia a dirotto, incessante, ingravescente, da portare allo sfinimento. Ma non avevo altra scelta: quella era una delle mie due uniche mattine libere a ottobre.
Dicono tra l’altro che non bisogna cercare i funghi sotto l’acqua, perchè li deteriora, li fa marcire; e poi che essi nascono qualche giorno dopo le piogge, col sole. Affermazione ampiamente smentita in quanto quell’acqua ha conferito ai funghi una lucidità, una brillantezza, accentuata dall’uso del flash, che raramente capita di vedere col tempo asciutto, e quando vi sono tornato, il giovedì pomeriggio successivo col sole, molte di quelle specie erano già scomparse e di nuove ne ho viste ben poche.
Non ho trovato l’Amanita phalloides, quel giorno di pioggia, ma in compenso ho trovato questo piccolo gioiello (foto 1) in elementi sparsi su muschio di corteccia di latifoglia, vivace nei colori dal rosso al giallo ocraceo. Splendido esemplare di Galerina autumnalis , di dubbia sinonimia con la specie marginata. Poco cambia essendo entrambe mortali, allo stesso modo dell’Amanita. Ma a lasciarle stare nulla di male fanno, per cui la loro velenosità non deve distrarci dall’ammirare la bellezza del fungo, amplificata dalla pioggia.
Nascosta tra le foglie cadute, la Lepiota subincarnata/ josserandi (foto 2) si faceva notare con quel cappello lucido, rosso al centro e già sbiancato in periferia, ben riconoscibile sebbene avesse perso le squame dilavate dall’acqua. Anch’essa mortale, allo stesso modo delle precedenti.
Il 20 novembre 2023, a Spino d’Adda morì una donna dopo aver mangiato dei funghi raccolti in giardino. Non potendo accedere agli atti, mi limito alla cronaca, secondo cui non era chiara la natura del fungo. Perciò si pensò all’Amanita phalloides. Ma l’Amanita non è tipica dei giardini, è più boschiva, a differenza delle piccole lepiote, per cui è più probabile che fosse questo il fungo responsabile dell’avvelenamento mortale.
Meno comune quest’altra lepiota, la brunneoincarnata (foto 3), che si caratterizza per il gambo ornato da cercini bruni concentrici e grazie alla pioggia sembra assumere un aspetto glutinoso, caramellato. Anch’essa è mortale, similmente ai funghi precedenti: stesso meccanismo dell’Amanita.
Insomma tutt’altro che incoraggiante sembrerebbe quest’escursione, e invece si deve rimarcare il concetto che bisogna cambiare prospettiva, e cioè smetterla di pensare all’eventuale commestibilità come criterio fondamentale di approccio ai funghi, se vogliamo apprezzare la loro meravigliosa bellezza che cambia a seconda delle condizioni climatiche.
Tornando alle specie “arboricole”, un bel giorno Vittoriano mi mandò la foto di un fungo chiedendomi se poteva essere dannoso per le piante. Niente affatto e per l’uomo è immangiabile. Trattasi della Mycena hiemalis (foto 4) molto diffusa sul muschio arboreo in società, a creare delle bianche e diffuse ornamentazioni sui tronchi, il cui candore e la cui lucidità quasi trasparente per la sottigliezza del fungo venivano esaltate dall’azione combinata dell’acqua e del flash.
Pressoché intatti, nonostante la pioggia e grazie anche alla copertura arborea, questi piccoli esemplari della più rara Mycena pseudocorticola (foto 5). Tipicamente campanulati e di un grigio tendente al bluastro, in colonne serrate dall’aspetto solenne, come tante piccole campane di un santuario naturale.
Bella forza, però, a reggere alla pioggia scrosciante protetti dalle piante. Provare a farlo da soli in mezzo all’erba, completamente esposti, come questo stupendo Volvopluteus gloiocephalus (foto 6) assolutamente integro, dal grande cappello convesso e il largo e basso umbone, su un lungo gambo che non si scompone minimamente mentre l’acqua la si nota depositarsi sulle foglie circostanti illuminandole in maniera puntiforme.
Diverse Clitocybe s’erano insediate nei prati, tra cui la rivulosa (foto 7), inizialmente ricoperta sul cappello da una bianca pruina che poi scompare vuoi anche per l’acqua, svelando la cuticola crema rosata sottostante, in forma di chiazze irregolari o anelli concentrici. Il nome rivulosa deriva da “rivus” cioè ruscello, ad indicare l’ambiente umido in cui predilige crescere. Più umido di così come quel giorno!
Del Lyophyllum loricatum (foto 8), la pioggia esalta l’aspetto untuoso, come lubrificato del cappello glabro beige scuro, dalla tipica consistenza elastica, gommosa e che cromaticamente contrasta splendidamente con le lamelle e il gambo bianchi. Gli esemplari sono raccolti in cespi ed in ottime condizioni.
L’igrofaneità, cioè la capacità di assorbire acqua ed espellerla modificando il proprio colore, è una delle caratteristiche di questo fungo, il Gymnopilus foetidus (foto 9) e di altri già visti. Di uno stupendo colore rosso quasi laccato, il cappello del Gymnopilus, grazie alla pioggia e vistosamente solcato. Si noti poi il gambo nero nella parte inferiore. Pioggia che non fa scomparire l’odore di cavolo marcio, donde il nome foetidus, per cui questo fungo, come altri, può essere percepito olfattivamente a distanza prima ancora di essere visto.
Il Suillus collinitus (foto 10), una boletacea tipicamente simbionte del pino, ha di per sé già il cappello vischioso che lo distingue dai porcini. Figuriamoci sotto l’acqua quanto questa vischiosità era aumentata al punto da diventare collosa. E infatti le foglie che vi dovessero cadere sopra, vi rimangono adese. Miracolo della natura, o meglio dell’acqua. Tipicamente non virante nel colore in tutte le sue parti, presenta una distintiva colorazione rosa alla base del gambo.
Dell’Hortiboletus rubellus ne avevo già parlato. Lo ripropongo (foto 11) per l’evidenza di due caratteri tipici; il colore rosso lampone del cappello ben visibile nei piccoli esemplari, donde il nome di specie, e il viraggio cromatico al blu di alcune sue parti, in particolare del gambo e dei pori. Viraggio che è prodotto dalle contusioni tra cui perché no anche il tocco non sempre leggero della pioggia.
Questa ricerca non poteva che concludersi con quello che, tra i funghi visti non solo quel giorno ma, in generale, meglio interpreta etimologicamente la metafora dell’acqua e cioè la Lacrymaria lacrymabunda (foto 12), in cui si assiste a un ribadire dello stesso concetto nei suoi due nomi propri, tanto è fondamentale.
Sì un fungo che versa lacrime, vuoi per liberarsi dei liquidi in eccesso, vuoi per diffondere le spore che ne modificano il colore. Nulla ha a che vedere questo liquido, che rappresenta uno dei più interessanti misteri della micologia, con il lattice dei lattari, il quale fuoriesce dalle lamelle per traumatismo, mentre l’essudato della Lacrymaria è spontaneo. E ben la si vede in una foto di repertorio (foto13) piangere in maniera straordinaria da tutte quante le lamelle.
Perciò è chiamata anche fungo della vedova piangente. Visto con quali funghi avevo iniziato l’articolo, possiamo proprio dire “vedova per funghi”.
L’accumulo dell’acqua sulle lamelle avviene in tempi diversi per cui il loro colore appare screziato, non uniforme, specificatamente definito marezzato. Ma questo aggettivo deriva dal mare, a richiamare il colore variegato delle onde del mare, e il mare altro non è che una raccolta immensa di gocce d’acqua, di lacrime.
Fantastico! Cielo, terra e mare unificati grazie ai funghi!
A cosa m’ha portato questo “giorno di pioggia”!
E se qualcuno piangesse veramente da lassù quando piove? Di motivi ce ne sarebbero…
Stefano Araldi
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