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A Cremona non è bastato Luciano Maverick Pizzetti, con il supporto di Italia Viva, per portare alla vittoria Andrea Virgilio, nella sfida contro Alessandro Portesani

Il top gun ha contribuito a limitare il passivo della momentanea sconfitta del suo allievo prediletto, ma non ha raggiunto i numeri che gli venivano accreditati. Non ha fatto la differenza sperata. Non ha chiuso la competizione.

 Il 7 per cento dei voti della lista Pizzetti è comunque rilevante.  Manna piovuta dal cielo per il cadetto che, sotto la sua ala, mira al grado di generale a quattro stelle. 

La settimana prossima, il 23 e 24 giugno, si giocheranno i supplementari.

Se il Virgilio vincerà, Pizzetti consoliderà la sua fama di regista della politica locale. Di deus ex machina.  Diventerà il kingmaker dell’Amministrazione comunale di Cremona, funzione centrale nell’elezione del presidente del consiglio provinciale.  Prevista per il prossimo 29 settembre, la nomina avverrà con il perverso voto ponderato imposto dalla legge Delrio.  Con un meccanismo che relega i piccoli Comuni nel sottoscala. Che li rende orpelli con la prerogativa di contare un cazzo. Con Casalmaggiore, Castelleone e Pandino gratificati con un boccone di pane. Con Cremona e Crema, lanzichenecchi che si pappano tutta la ciccia. Con l’elezione del presidente decisa a tavolino, presa per il culo istituzionalizzata.

Se Virgilio sarà sconfitto, la reputazione di Pizzetti verrà scalfita, ma non compromessa. Un graffio o poco più.  La débacle elettorale del suo protetto diventerà per lui un incidente di percorso.  Per una volta, sarà un perdente di successo.  Lo sfiorerà il tarlo d’avere imboccato la parabola discendente della sua carriera politica. O forse no. Ma è dettaglio ininfluente. Personale.

Situazione più complessa per Virgilio. Se sarà sindaco, nella testa degli elettori aleggerà il dubbio di un Pizzetti regista e mazziere. Convitato di pietra, il fantasma del Maestro accompagnerà l’allievo in ogni decisione, sia essa giusta o sbagliata.  

Se sconfitto, Virgilio sarà il passerotto implume al quale è stato impedito di mettere le ali per spiccare il volo. Sarà il secchione mai uscito dall’ombra del guru che l’ha forgiato. Sarà l’ottimo travet, preciso ed educato, non assurto a leader.

L’ambiguità che circonda Virgilio è frutto di una campagna elettorale confusa. Incentrata sul top gun invece che sul cadetto, la grancassa della propaganda ha privilegiato il committente-sponsor e non il prodotto.  Il brand Pizzetti ha surclassato il marchio Virgilio.

Maverick ha oscurato il suo tirocinante. Ha assunto il ruolo di superstar del centrosinistra. Ha spinto il candidato sindaco sulla sedia del comprimario.  Lo ha retrocesso.  Pizzetti al proprio fianco è tanta roba. Primo della classe, ti aiuta a capire il giro del fumo.  Ti fa copiare i compiti. Ti lancia in orbita.

Ma è ingombrante. Invadente. Indigesto.  E il troppo stroppia. 

Il messaggio: o Pizzetti o morte, ha prevalso su: o Virgilio o morte. E nella comunicazione vale ciò che coglie il ricevente. Non quello diffuso dall’emittente.

E questo pezzo con Pizzetti protagonista e Virgilio un passo indietro dimostra la pervasività di Maverick.  La sua presenza subliminale.

Virgilio, fede Pd, condottiero del centrosinistra nel suo programma si è fermato al centro. Guarda caso, si diceva un tempo, collocazione alla quale Pizzetti aspira.  Quel centro che Maverick studia.  Che vezzeggia. Che corteggia.  Che fila. 

Virgilio  sembra più interessato agli imprenditori che ai lavoratori. Più attratto dai manager, che dai pendolari, trilocale, mutuo, moglie commessa par time, due figli e 1700 euro al mese totali. Più intrigato dall’establishment che dal popolo. Più focalizzato sugli investimenti delle multiutility che sul bene comune. Può essere la scorciatoia per raggiungere il suo obiettivo, ma qualcosa non torna.  Non quaglia con una politica di centrosinistra. Incompatibile con quella di sinistra, sinistra.

Poi  la continuità, con la giunta Galimberti.  È il passato che ti trapassa. Che ti trafigge. È il peccato originale, che Virgilio non può cancellare. Che gli è permesso rimuovere, ma non seppellire nell’oblio.

Alessandro Portesani, candidato del centrodestra, ha vinto il primo round per poco più di un punto percentuale (43,2 per cento contro 41,9). Poche centinaia di voti. Dovrà mantenerli e incrementarli. Impresa non semplice. Non titanica. Non impossibile.  Ha condotto una campagna elettorale lineare. Chiara. Non aggressiva, ma non loffia.

 Si è presentato in modo semplice: Io sono Portesani, votatemi. Ha evitato atteggiamenti da marchese del Grillo. Non ha preteso d’essere l’unto del signore. Neppure il fenomeno.  Non ha esibito santi in paradiso, né papaveri locali. Ha scalato quel Golgota che è la campagna elettorale, aiutato da pochi cirenei e alcune pie donne. Senza amministratori di sostegno. 

Non ha sparato grandi cazzate.  Non si è lanciato in voli pindarici. Ha svolto il compitino senza picchi eccelsi, ma neppure disastrose cadute agli inferi. 

Non supereroe Marvel, più simile agli antieroi di Robert Aldrich, gli manca la durezza di Sam Peckinpah.  Politicamente poco scafato, è troppo accomodante, ma nessuno è nato imparato. Indirettamente, involontariamente, inconsapevolmente ha rischiato d’essere colpito dal fuoco amico di Marcello VenturaIn piena campagna elettorale il coordinatore provinciale e consigliere regionale di Fratelli d’Italia ha condiviso anche nelle virgole la posizione di Pizzetti sulla nomina del consiglio di amministrazione di Padania Acque. Posizione antitetica a quella di Forza Italia e Lega.  Stessa situazione sulla scelta dei vertici di centro padane. 

Maria Vittoria Ceraso, Ferruccio Giovetti, Paola Tacchini e Angelo Frigoli, gli altri quattro candidati sindaco esclusi dal ballottaggio hanno interpretato la loro parte con dignità e coerenza. 

In questi giorni Virgilio e Portesani li incontrano e li lisciano. Tentano di sedurli. Si sbilanciano con promesse.  Sollecitano  l’apparentamento, l’endorsment.  Il gesto rivelatore. Il ciglio alzato che Ancellotti ha dimostrato portare bene. 

Mercoledì Virgilio e Portesani si sfideranno in un confronto pubblico in piazza del Comune.  Può essere il momento della verità, oppure melassa ininfluente. La differenza tra le due alternative è legata alle domande, alle risposte, alla volontà degli intervistatori di incalzare i due candidati se dicono minchiate palesi o svicolano dalla questione posta. 

 La disfida acquisirà valore se tratterà dell’incremento di alcuni tumori in città, delle polveri sottili, del Cesio 137, dello studio epidemiologico, del biometano, del nuovo ospedale, dell’autostrada Cremona-Mantova, dei treni, dell’inceneritore, dei rapporti con A2A. Delle altre rogne sulle quali si preferisce sorvolare.   

Resta il nodo dell’astensione. Al primo turno in città si è recato alle urne il 58,73% degli elettori aventi diritto al voto, l’8,46% in meno rispetto a cinque anni fa. Gli elettori del primo turno ritorneranno tutti ai seggi? L’incognita potrebbe esser la variabile che determinerà il risultato. Che deciderà il prossimo sindaco di Cremona.

Il 23 e il 24 giugno è l’occasione per passare dalle critiche in piazza all’azione. Per abbandonare l’isteria e il qualunquismo da social e prendersi la responsabilità di partecipare.

Delia, la protagonista di C’è ancora domani, ha contribuito alla rivoluzione dell’Italia e realizzato la propria con una croce su una scheda.  Perché rinunciare a questa opportunità? 

 Se non si possono cambiare le scelte dagli amministratori pubblici, si possono però cambiare gli amministratori pubblici. Con il voto. 

Senza l’aiuto di Maverick. Senza dimenticare la storia del re travicello.  Senza paura.

E poi gas con Don’t Stop Me Now. 

 

Antonio Grassi

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