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Città insicure, i politici agiscono sugli effetti, mai sulle cause

10 Novembre 2024

Trentacinque anni fa L’attimo fuggente entrava nella storia del cinema. In una delle scene più iconiche del film, uno straordinario Robin Williams, nel ruolo del professor John Keating, in piedi sulla cattedra, osservava la classe e invitava gli studenti a imitarlo. 

«Sono salito sulla cattedra – spiegava – per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù».

A tutt’oggi il suggerimento non risulta scaduto, ma è poco ascoltato, soprattutto dai politici. Quelli locali altrettanto disinteressati dei nazionali. Sordi, non sentono neppure con l’Amplifon di ultima generazione.

Il professor Keating invita a diffidare delle decisioni preconfezionate e del pensiero dominante. A essere autonomi rispetto alla narrazione mainstream. Incita a non scegliere a scatola chiusa. Incoraggia a ragionare in modo autonomo.  Sprona a non portare il cervello all’ammasso. 

Stare in piedi sulla cattedra non è esercizio difficile e può offrire numerosi vantaggi. Evita di mangiare la solita insipida minestra. Può permettere di individuare soluzioni nuove.  Può fornire l’opportunità di una libertà di giudizio non inquinata dalla propaganda o condizionata dall’ideologia. Ma è pericoloso per l’establishment.

Violenza, vandalismi, aggressioni, risse, teppismo impongono misure di sicurezza adeguate. I cittadini chiedono risultati tempestivi e percepibili. La politica li accontenta, ma non sale in piedi sulla cattedra.  

I cittadini sollecitano l’incremento del numero di telecamere, il potenziamento delle forze dell’ordine da sguinzagliare sul territorio, l’inflessibilità nel sanzionare i trasgressori. Un pacchetto di interventi tosto e incisivo che aiuterebbe a ridurre i comportamenti fuorilegge e borderline e a identificare i colpevoli, ma poco incisivo sulla riduzione-eliminazione delle cause di queste azioni.  La triade è un deterrente, non la soluzione. 

L’implementazione delle telecamere è utile, ma non è la medicina miracolosa per la sicurezza provinciale.  L’orwelliano grande fratello non è la panacea, ma un salasso garantito   per le casse comunali, che pagano gli occhi supplementari e l’oculista per gestirli e mantenerli efficienti. E quest’ultimo non è uno specialista che concede sconti. L’investimento è giustificato dal rapporto costi/benefici? Non sarebbe più proficuo impiegare parte di queste risorse per interventi meno eclatanti e dai risultati non immediati, ma finalizzati a incidere sull’origine di queste azioni?  E qui si pone il primo problema.

Discorso analogo, ma infinitamente assai più complesso è il potenziamento delle forze dell’ordine dislocate sul territorio. Coinvolge lo Stato e implica interventi strutturali.  Senza contare che la presenza di troppi poliziotti e carabinieri, se da un lato tranquillizza i cittadini, dall’altro potrebbe creare ansia e preoccupazione, invece che senso di sicurezza.

La provincia di Cremona non è un territorio dove imperversano malaffare e violenza.  Non è vaccinata contro queste intemperanze e nessuno lo discute, ma non presenta una situazione post apocalittica e distopica. Non è la New York di John Carpenter e di Jena Plissken.  Diventa fuorviante porre la questione sicurezza in termini catastrofici con il pericolo di trasformarla in paranoia del controllo. Più proficuo sarebbe seguire la strada manzoniana dell’adelante, Pedro, con juicio, si puedes.  Cercare la soluzione con meno concitazione e maggiore razionalità. E questo è il secondo problema.

Politici e amministratori locali conoscono il notevole impatto mediatico e il relativo consenso prodotto dal triangolo: più telecamere, più forze dell’ordine, più pugno di ferro. Lo cavalcano, soddisfatti dagli effetti speciali prodotti. Strappano l’applauso dei cittadini e archiviano la grana, che però nella sua essenza persiste. Lo spot oscura il nocciolo della questione. E questo è il terzo problema 

I politici non salg0no in piedi sulla cattedra.  Non vedono il reale nodo gordiano da sciogliere: il disagio sociale declinato nelle varie espressioni e in differenti categorie: giovani, anziani, drop-out. O più cinicamente lo colgono, ma preferiscono fingersi orbi. Scelgono di vincere facile e in fretta.  Preferiscono evitare rischi. Puntano sui pochi maledetti e subito.  E questo è il quarto problema.

Sciogliere il nodo gordiano non significa cassare l’opzione telecamere e contestare tout court un più capillare pattugliamento del territorio.  Significa salire in piedi sulla cattedra e prendere in considerazione anche le opzioni per ridurre il disagio sociale.

Significa lavorare su alcune delle cause che generano situazioni di violenza e prevaricazione. Più in generale, che inducono  fenomeni antisociali e fuorilegge.

Significa stanziare fondi per l’applicazione della legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. 

Significa garantire alle persone e alle famiglie qualità della vita, pari opportunità.  Significa assicurare non discriminazione e diritti di cittadinanza. 

Significa prevenire, eliminare o ridurre le condizioni di disabilità, di bisogno, di disagio individuale e familiare, derivanti dalla inadeguatezza del reddito, da difficoltà sociali. Significa evitare condizioni di non autonomia. Significa – forse – anche ridurre violenze, furti, pestaggi, risse. 

Salire in piedi sulla cattedra implica decisioni coraggiose. Controcorrente, se necessario.  «Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso». Parola del professor Keating che cita il poeta Robert Frost.

E questo è il quinto problema. Irrisolvibile in provincia di Cremona, terra di stum schis e di liste uniche. Di tutti insieme appassionatamente. Così è. Purtroppo. 

 

Antonio Grassi

 

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3 risposte

  1. Ha ragione Grassi, Cremona, terra di trasformismo, di doppiogiochismo, di consociativismo. Basti vedere come sono state gestite le elezioni del consiglio provinciale e come ci si appresta a gestire quelle dei CDA delle partecipate gettando l’amo non tanto all’ opposizione ma alle terze vie che si sono fatte avanti sotto silenzio al tempo delle elezioni e che ora presentano il conto. Sono convinto che se Cremona non ci libererà al più presto di certi personaggi finirà sempre più nella palude

  2. Da che mondo è mondo i giovani si menano, da che mondo è mondo gli anziani non ricordano di essere stati giovani. Il “disagio sociale” è responsabilità degli anziani, non dei giovani. Quello che gli anziani hanno costruito e il come l’hanno fatto oggi li spinge ad invocare forze dell’ordine e interventi di sostegno psicologico e sociale. Non funziona, non può funzionare. Perché invece non coinvolgere i mafiosi del nostro territorio per dare una mano ai poveri poliziotti? Estendere il ruolo sociale della mafia ( o ndrangheta) magari può essere utile, sia a noi che a loro. Tanto non cambierebbe molto rispetto ad ora, visto che i comportamenti mafiosi sono la consuetudine e in più qualche cazzotto salutare potrebbe ridurre le preoccupazioni degli anziani per bene.

    1. Mi sembra delirante quello che dice. Che sia sempre successo un po’ tutto….è vero, ma questi extracomunitari che ronzano e sottolineo ronzano per le città, non hanno rispetto di niente e nessuno.

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