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Ore 17.57 del 23 maggio 1992, cinquecento chilogrammi di esplosivo piazzati dalla mafia sull’autostrada, all’altezza di Capaci, fanno saltare in aria Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre degli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. A poco meno di 33 anni da quell’attentato che sconvolse l’Italia, aprendo una ferita che non si potrà mai rimarginare, un ex agente che all’epoca faceva parte della scorta denominata Quarto Savona Quindici ha rievocato a Cremona quel tragico evento. L’ha fatto in Sala Maffei della Camera di commercio, in mattinata davanti a un pubblico di studenti degli Istituti superiori cittadini, il pomeriggio di fronte a una platea eterogenea. Ha presentato l’incontro Roberto Frosi, presidente del Rotary Cremona Po che ha organizzato il convegno, promosso da Andrea Morandi nel 2019, poi rinviato a causa del covid 19.  Prima di lasciare spazio all’ospite, si sono avvicendati sul palco per i saluti e i ringraziamenti di rito Giandomenico Auricchio, presidente della Camera di commercio di Cremona, Mantova e Pavia, il vicesindaco di Cremona Francesca Romagnoli, l’assistente del governatore del distretto Rotary 2050 Domenico Maschi.

Luciano Tirindelli, (nella foto centrale di Mino Boiocchi con Roberto Frosi) trevigiano di nascita, trasferito a Palermo dopo l’arruolamento nella Polizia di Stato, faceva parte della scorta di Falcone, ma si salva perché quel giorno aveva cambiato turno. La sua battaglia contro la mafia trae da quella strage ancora maggiore forza oggi, nel messaggio di Falcone portato fra la gente, nelle scuole, ai ragazzi che hanno sentito parlare di Falcone e Borsellino solo dai loro insegnanti.

La battaglia contro la mafia sembra lontana, ma non è così. ”L’antimafia è nelle scelte di ogni giorno – ammonisce Tirindelli – nel non accettare compromessi, raccomandazioni, nel non girarsi dall’altra parte, nel dire no al bullismo, di cui tanto si parla. Figure come Falcone possono essere un esempio. Tra aneddoti e fatti di cronaca, il Giovanni Falcone raccontato da Tirindelli è anche quello della vita di tutti i giorni: intelligente, severo e instancabile professionista sul lavoro, ma anche amante della convivialità, allegro e scherzoso con gli amici coi quali si intratteneva a cena al ristorante ogni sera in una Palermo ostile, che lo isola e che non riconosce più, benché figlio di quella terra.

Tirindelli avvince ed emoziona il pubblico col suo racconto, alternando fatti di cronaca e aneddoti personali a giudizi severi, tra tutti quello inappellabile su Arnaldo La Barbera, all’epoca discusso capo della Squadra Mobile di Palermo. Promosso nell’agosto del 1988, a seguito delle dimissioni del suo predecessore Antonino Nicchi, La Barbera mise a segno una serie di arresti di latitanti eccellenti, tra cui rimase celebre quello di Totuccio Contorno, tornato clandestinamente in Sicilia. Ma subito dopo la strage di Capaci gli viene consegnata dal vice sovrintendente della polizia di Stato, Santo Catani, la borsa di Giovanni Falcone, una ventiquattrore in pelle di cui successivamente non si avrà più notizia. Stesso destino subì la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino, perito nella strage ordita dalla mafia in via D’Amelio. Nel 2010 nell’ambito del processo Borsellino quater,  spuntò il nome di La Barbera che, scrissero i giudici nella sentenza di primo grado, «…ebbe un ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa…».

Sul video proiettato in Sala Maffei appare il magistrato Nino di Matteo che invita ”a non accontentarci di verità parziali ma di pretendere, in primis noi cittadini, verità assolute, soprattutto in relazione alle sette stragi compiute dalla mafia tra il 1992 e il 1993”.

Il racconto di Tirindelli esplora anche aspetti della vita privata di Falcone. Indaga l’uomo e focalizza l’attenzione sulla difficoltà di vivere sotto scorta ad ogni spostamento: dodici persone armate che ti seguono come un’ombra e che ti precedono quando entri in un ristorante, creando imbarazzo tra i gestori e gli avventori. L’impossibilità di condurre un’esistenza normale investe emotivamente tutti coloro, familiari, colleghi di lavoro, conoscenti, che ruotano attorno alla persona sotto protezione.  Una frequentazione quotidiana così stretta e assidua genera condivisione di esperienze e sentimenti. A distanza di così tanto tempo dalla strage e dopo decine e decine di incontri pubblici come quello di ieri a Cremona e la sera alla conviviale del Rotary Cremona Po al Ristorante del Golf, intervistato dalla giornalista Nicoletta Tosato, Tirindelli si commuove ancora. Tradisce l’emozione che lo coglie durante il racconto e la rabbia per il clima ostile percepito all’epoca attorno a Falcone, tra i suoi colleghi del Consiglio Superiore della Magistratura. Lo indignano ancora le accuse, anche pubbliche, di protagonismo  per un magistrato esempio per tutti di integrità morale, quando accettò di collaborare con l’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli.

Tirindelli entra anche nella dinamica dell’attentato che distrusse due delle tre Fiat Croma blindate, risparmiando la terza e gli agenti che si trovavano a bordo. Azzarda un’ipotesi: Falcone poteva salvarsi, se solo il magistrato non avesse deciso di mettersi alla guida con la moglie al fianco, ma avesse preso posto sul sedile posteriore. Ma la storia non si fa con i se, né con i ma. E la storia non ha bisogno di eroi. Servono persone rette, limpide, coraggiose, oggi come allora, se vogliamo che le parole profetiche di Falcone si avverino: ”La mafia, come tutti i fatti umani, ha un inizio e avrà una fine”.

 

Vittoriano Zanolli

 

Fotoservizio Mino Boiocchi

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