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Nella nostra provincia Fratelli d’Italia è un gigante di cartapesta.  Fa il pieno di voti e naviga a vele spiegate nella pozzanghera della politica locale. Surfa sull’onda del successo elettorale, ma la gestione del partito fa acqua. È un colabrodo. Con alcuni dirigenti non all’altezza del ruolo e molti pretendenti a indossare la corona senza i numeri per meritarla, Fratelli d’Italia assomiglia a un pollaio. A un vespaio. A un ginepraio. 

Troppi presunti galli e qualche Lady Macbeth in sedicesimo, con grandi ambizioni e dilettantesca strategia politica, non favoriscono la costruzione di un’immagine di partito coeso, sicuro e rassicurante.

Forte del consenso degli elettori, Fratelli d’Italia rivendica legittimamente la guida del territorio, ma intanto annaspa nel governo del proprio orticello.  E viene da suggerire: medico, cura te stesso. 

Crema, senza coordinatore, attende lo specialista esterno, il commissario, che si occupi dei suoi malanni.  A Cremona i rapporti con gli alleati di Forza Italia e Lega non sono idilliaci e non s’intravede un clinico capace di risolvere il problema. Al contrario, le relazioni sono ottime con il Pd.

A metà febbraio la partecipazione al congresso per l’elezione del coordinatore di Crema era stata un flop. Il circolo contava 397 iscritti aventi diritto di voto. All’assemblea congressuale aveva partecipato una ventina di militanti. La sala Alessandrini che ospitava l’assise appariva desolatamente deserta (Vittorianozanolli.it, 4 maggio).  L’accordo sul nome del nuovo ammiraglio era stato trovato al termine di un’estenuante e kafkiana trattativa tra le varie anime del circolo.  Allegato al nome del predestinato al comando, un documento di una cartella e mezza, concordato e sottoscritto tra le componenti Nuovi Tesserati Rinnovo Tesserati.  Capestro e museruola, il patto stabiliva nel dettaglio le regole comportamentali del futuro comandante.  Di fatto, istituzionalizzava la figura del coordinatore in libertà vigilata, con l’obbligo di condividere ogni uscita pubblica con il proprio vice. Bontà dei firmatari, al kamikaze venivano risparmiate le modalità per fare pipì, che comunque doveva finire sempre dentro il vasino.  Il testo, degno del Comitato centrale sovietico, pistola puntata alla tempia del capo in pectore, permetteva sì l’elezione del nuovo coordinatore, ma contemporaneamente e con lungimiranza  anticipava il fallimento della missione.

Stefano Foggetti garantiva per i vecchi iscritti, Fabio Bertusi per i nuovi, tra i quali l’emergente Susanna Guerini Rocco.  Il primo è l’ex coordinatore provinciale di Fratelli d’Italia.  Il secondo è il pokerista e kingmaker della politica locale. 

Renato Ancorotti, senatore e punta di diamante locale del partito, aveva disertato l’appuntamento e rimarcato l’assenza degli alleati di Lega e Forza Italia.

Giovanni De Grazia, allora coordinatore dimissionario, si era limitato a un augurio di buon lavoro di circostanza ad Alberto Bonetti, neoeletto coordinatore, troppo generoso e ammirevole ad accettare il ruolo di vittima sacrificale per non penalizzare il partito.

«Per i bonettiani, il direttivo resettato aveva il potere e il diritto di operare.  Per gli oppositori era in stand-by, surgelato come spigola e merluzzo acquistati al supermercato» (Vittorianozanolli.it, 4 maggio). Solamente le anime candide e coloro che credevano ancora a Babbo Natale o al mago Otelma s’illudevano che il castello costruito sulla sabbia avrebbe resistito. Incubo riuscito, l’operazione è durata lo spazio di un’avventura balneare degli anni Sessanta. Poche settimane fa, dopo pochissimi mesi da coordinatore, Bonetti si è dimesso e il direttivo in blocco lo ha seguito (Cremaoggi, 15 ottobre).

La decisione non ha provocato alcun fremito. Non un accenno di polemica. Non un embrione di dibattito. E ora, con tranquillità, il partito aspetta l’arrivo del guaritore. Tutto scorre senza sussulti. Già, «fatti li cazzi tua», consigliava Antonio Razzi quando era senatore, paradigma generalizzato della politica di oggi.

Anche a Cremona il partito non nuota in acque calme, ma non si intravedono increspature. Nel capoluogo provinciale, il mare meloniano è sempre liscio come l’olio, ma sotto la superficie dell’apparente bonaccia si agita un incessante bradisismo non segnalato dai sismografi della politica. O, se rilevato, viene sottovalutato. Spesso è ignorato, quasi mai è fonte di preoccupazione e le scosse percepite sono tecnicamente definite minchiate, puttanate, stronzate dai puristi della lingua e dai pretoriani del partito. 

Ma nessuna meraviglia. La patria dei violini è la capitale del profilo basso. Della voce impercettibile e dei sussurri.  Sotto il Torrazzo i contrasti si smussano e le polemiche vengono tacitate con la sordina. E Fratelli d’Italia non si scosta da questa tradizione. Cremona ha brevettato lo «stum schiss» e reso ordinario il «non facciamo casino». Laureata nel silenziare mugugni e malumori, concilia il diavolo e l’acqua santa, la destra con la sinistra e con il centro, il mondo tutto. Il feeling in atto, quasi uno scambio di amorosi sensi, tra meloniani e piddini è un capolavoro di politica scadente e di spartizione del potere. Nessuno si fa male e le prebende sono assicurate ai fedelissimi del partito.

Il capoluogo provinciale è slow, non rock.  È il piano bar, non il concerto allo stadio. È Fred Bongusto, non Vasco Rossi. E se Crema si trova immersa nel pantano, in riva al Po non si piange, però esprime dispiacere e solidarietà verso la malcapitata consorella.

I cremaschi sono più ingenui, ma più pragmatici. I cremonesi più machiavellici, ma più fumosi. Vincono quasi sempre il confronto politico. Perdono in quello operativo. Imbattibili nell’accaparramento delle poltrone, lo sono molto meno nella realizzazione dei progetti.

A giugno dello scorso anno si sono tenute le elezioni del sindaco di Cremona. Ha vinto Andrea Virgilio, Pd.  Alessandro Portesani, civico, sostenuto dal centrodestra, ha perso per 192 voti.  Una quisquilia, una bazzecola, una pinzillacchera direbbe Totò. Nel mirino di Forza Italia, Lega e Udc finisce Fratelli d’Italia accusata di tradimento.  

Ancorotti non si tira indietro. Commenta: «La leadership è una dote innata, non un privilegio di vendita. Spetta all’amministratore delegato rispondere in prima persona degli insuccessi dell’impresa» Poi: «Non basta rastrellare voti o tessere di partito per diventare leader, in stile Cetto La Qualunque, a maggior ragione se si falliscono gli appuntamenti che contano davvero» (La Provincia,29 giugno).

L’amministratore delegato di Fratelli d’Italia è il cremonese Marcello Ventura, coordinatore provinciale del partito, nonché consigliere regionale. Se questo è lo stato dell’arte, diventa facile gigioneggiare su Fratelli coltelli, ma è da bulli e sarebbe una vigliaccata insistere su questo aspetto.

A settembre, tre mesi dopo, il medesimo copione veniva recitato per le elezioni del presidente della Provincia. Vince il centrosinistra con Roberto Mariani, Pd. Asfaltato il suo competitor di centrodestra, il forzista Alberto Sisti.

Ancorotti imbraccia l’M4 e spara alzo zero sul modo con cui si è proceduto nella formazione della lista e sulla conduzione della campagna elettorale.  Se la vittoria è di tutti, la sconfitta è del generale. Pleonastico aggiungere altro.  Ma Ancorotti non è l’angelo vendicatore, non è Armonica di C’era una volta il West. Frena. Non affonda il ferro nel cuore dei presunti responsabili della batosta elettorale. Nei giorni successivi getta acqua sul fuoco da lui acceso. Con una metamorfosi esemplare si trasforma da giustiziere a pacificatore. Da pubblico ministero a sacerdote ecumenico e un po’ paraculo.

«A questo punto – spiega – ci vuole qualcuno che rimetta insieme le varie anime del partito. Ci sono antichi rancori che esistono un po’ in tutti i partiti, immagino anche nel Pd, solo che c’è chi lo dimostra di più e chi di meno» (Cremonaoggi, 24 ottobre 2024).  Ma se il veleno è nella coda, la chiusura della dichiarazione è un capolavoro di perfidia. «Adesso la questione va ridimensionata. Bisogna rimettere insieme un partito che può contenere anche idee diverse. Ma c’è un discorso di lealtà. Se a qualcuno non va bene e vuole votare col Pd, allora si prenda la tessera del Pd».

Non basta. Ventura non partecipa agli inviti per le manifestazioni dell’Area Omogenea cremasca.  Al contrario i suoi colleghi Riccardo Vitari (Lega) e Matteo Piloni (Pd) sono sempre presenti. Peccato, formerebbero un bel trio seduti in prima fila: i Qui, Quo, Qua provinciali. Non basta. Dopo l’elezione di sei consiglieri del centro destra in Provincia, i tre rappresentanti di Fratelli d’Italia, capitanati da Attilio Zabert, hanno costituito un gruppo separato da Forza Italia e Lega. Meglio soli che male accompagnati? Ah, saperlo.  Non basta. Anche sulla triste e non edificante vicenda di Centro Padane Engineering Srl i meloniani hanno preso una posizione diversa da Forza Italia e Lega.

Fratelli d’Italia in Provincia è un gigante di cartapesta. Un vorrei, ma non sono. Un bodybuilder della politica. Tanti muscoli e poche teste. Ma la sintonia con il Pd può aiutarlo. Può ricorrere ad Antonio Gramsci: «Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perdutobisogna rimettersi tranquillamente all’operaricominciando dall’inizio».

Auguri. Di cuore.

 

Antonio Grassi

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