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Baby gang, vandalismo, violenza. Il centro di Cremona raccontato dall’informazione locale e amplificato dai social appare periferia degradata di una qualsiasi città metropolitana. Location per romanzi e film post apocalittici.  I cittadini hanno paura. Chiedono alle istituzioni protezione tout court. Reclamano pugno di ferro senza guanto di velluto. E se c’è anche un pitbull digiuno da tre giorni al guinzaglio, tanto di guadagnato. 

Poi ci sono i fortunati che, bontà loro, vivono in città solo lo stretto necessario e snobisticamente sottolineano che tra amici e conoscenti l’argomento del giorno è la scelta del posto dove scappare. Sorprende che non l’abbiano ancora trovato. Esiste infatti un solo luogo, noto a tutti, dove i depressi possono rifugiarsi e sgravarsi dell’angoscia che li affligge. E, dopo la liberazione, si ritrovano più leggeri e sereni. Senza dimenticare che nessuno li obbliga a lasciare la loro oasi di benessere e tornare a Cremona che, oltre ad essere insicura, è sporca e con l’aria inquinata. 

Questi privilegiati sono i viaggiatori sulla carrozza all’inizio di Giù la testa. Oppure la gente per bene della storica e dimenticata Contessa di Paolo Pietrangeli, riproposta poco meno di trent’anni dopo dai Modena City Ramblers. Sono, appunto, i fortunati che non hanno il piccolo grattacapo degli sfigati – sempre più numerosi – con l’affitto o il mutuo da pagare e l’ansia di arrivare a fine mese. E non posseggono incontaminate isole alternative dove rifugiarsi lontano da tutti e da tutto. Sono i fortunati che ignorano, o fingono di ignorare, la realtà di chi si trova nell’avvilente condizione di presentare l’ISEE ai servizi sociali per accedere a un aiuto del comune o dello stato. 

Il consiglio comunale di Cremona ha approvato un ordine del giorno con la richiesta a Roma di inviare in città l’esercito per presidiare la stazione ferroviaria e quella dell’autobus. Rare voci fuori dal coro hanno contestato questo approccio semplicistico al problema. Sussurri nel deserto volati via tra l’indifferenza dei maggiorenti e un’alzata di spalle del popolo.

Il sindacato di polizia ha espresso la propria opinione. Con equilibrio ha spiegato che i soldati aiutano e il potenziamento delle forze dell’ordine stabili e formate è mossa saggia. Tutto questo è un copione vecchio. Consunto. Una sceneggiatura scontata per un b-movie. Per un poliziottesco italiano degli anni 70, adeguato all’attualità. 

Ora, se la sicurezza è un problema complesso, allora l’approccio per affrontarlo è un problema altrettanto complesso. E poiché non esiste una soluzione univoca ad un problema complesso, sorge un terzo problema. Che ne genera un quarto legato alla comprensibile esigenza dei cittadini e della politica di intervenire con successo per ripristinare la normalità nel più breve tempo possibile. E si potrebbe continuare. 

Pochi, maledetti e subito può funzionare, ma finiti i pochi, il vulnus si ripresenterebbe dall’inizio. Come nel gioco dell’oca. Si ritornerebbe alla partenza e si ricomincerebbe. Nessuno dubita che alcune di queste difficoltà siano state considerate e discusse. E perché no? approfondite, ma con il limite di non allontanarsi dalla narrazione mainstream. 

In queste settimane i trombettieri del regime hanno consumato tutto il loro fiato per raccontare una città insicura e per diffondere proposte tali da rendere Cremona un Paradiso terrestre. La Bibbia però insegna che Adamo ed Eva non sono tornati indietro. E gli autori dello spartito lo sanno.

La propaganda di regime ha tranquillizzato i cittadini e promesso sicurezza e normalità. Per settimane è stato imposto all’orchestra di suonare ogni giorno il medesimo e monotono concerto, mantra ossessivo sulla città assediata da bulli, malviventi, mangiapane a tradimento, vandali e il resto della fauna di derelitti e bastardi. 

Per settimane è stata suonata la grancassa sulla necessità, divenuta imperativo categorico, di un controllo più puntuale e capillare del territorio. Per settimane è stata reiterata la volontà di aumentare il numero di telecamere da dislocare nei punti nevralgici e più fragili della città.  Per settimane è stata enfatizzata la richiesta di militarizzazione del territorio. 

Non è mancata la scomunica e il marchio di populista e oscurantista per chi ha obiettato sulla efficienza ed efficacia del binomio grande fratello e soldati. Per chi ha evidenziato il limite oggettivo di un intervento di questo tipo, se non viene sostenuto con una progettualità mirata ad eliminare l’origine più profonda del disagio e delle sue nefaste conseguenze. Un’overdose di telecamere e di militari abbassano la febbre, ma non eliminano il virus.

Questo non significa che siano state cestinate soluzioni più complesse, con tempi di realizzazione lunghi e risultati lontani.  Probabilmente è stato dedicato loro l’attenzione di un’inquadratura con il drone. Una panoramica suggestiva e via andare. Un giro di valzer. La progettualità complessa è per politici lungimiranti. Per leader veri che non temono il confronto, merce sconosciuta a Cremona. 

Ha prevalso il monologo unidirezionale. È mancata la discussione franca e dialettica. Assente uno stimolante e costruttivo confronto, è venuto meno anche un accenno di polarizzazione. È stata cancellata la posizione intermedia, il in medio stat virtus, fulcro della mediazione politica.  Ma questo anche per demerito di una minoranza tremebonda e cacadubbi. 

Nessuna meraviglia. È la realtà. È l’attuale cifra della politica cittadina e provinciale.

 Sulla vicenda sicurezza-insicurezza è impossibile non rilevare il silenzio quasi tombale del segretario Pd.  Michele Bellini ha pubblicato sul numero pasquale del bollettino delle parrocchie di Sant’Agata, Sant’Agostino e Sant’Ilario, due interventi. Uno sullo scenario geopolitico attuale l’altro sulle origini del sogno europeo di Spinelli e De Gasperi.  Poi ha scritto in condominio con Luciano Maverik Pizzetti un editoriale sul tema delle riforme che cambiano l’equilibrio della Repubblica (Cremona0ggi, 13 maggio).  La settimana scorsa ha firmato un appello sull’orrore di Gaza e poiché è inclusivo lo ha firmato con Stella Bellin, Stefania Bonaldi, Matteo Cigognini, Marzia MaioliNon risulta abbia vergato un documento sull’emergenza sicurezza-insicurezza, con relative valutazioni politiche e proposte di intervento. 

Proporgli di scrivere qualcosa di locale potrebbe essere un buon consiglio. Se di sinistra, sarebbe ancora meglio, ma non obbligatorio. Si potrebbe aggiungere che non sarebbe sbagliato se scendesse dalla torre e camminasse tra la gente. Rischiare gli schizzi della merda quotidiana è un ottimo biglietto da visita per un segretario di partito. Se poi dettasse la linea, eviterebbe la possibilità di illazioni d’essere eterodiretto.

Se si esamina la comunicazione sulla sicurezza-insicurezza e sulle risposte programmate dal governo della città per contrastarla si rilevano alcune concordanze con il decalogo di controllo sociale elaborato da Noam Chomsky. Non è questo lo spazio per esaminare i dieci punti. Ne basta uno: l’uso dell’aspetto emotivo molto più della riflessione. 

E poi fa piacere che lo stesso Chomsky sia stato citato da Gerardo Paloschi in un articolo pubblicato su La Provincia il 20 maggio dal titolo intrigante «Ecco perché pensare è un atto di resistenza». In piena campagna sulla sicurezza cittadina, con il quotidiano trombettiere capo dell’orchestra, potrebbe essere un invito allo stesso giornale a intraprendere questa via a lei sconosciuta.

Paloschi conclude «Come ha scritto Noam Chomsky, il pensiero critico è la chiave per comprendere il mondo e non esserne vittime». 

E se lo ricorda Paloschi, che non è uno qualsiasi, ma un giornalista che in molti vedrebbero bene alla guida dell’ammiraglia degli agricoltori, non è poco. È tanta roba. O forse l’articolo è stato pubblicato senza un’attenta rilettura prima di metterlo in pagina. Troppa sicurezza non sempre è positiva. 

 

Antonio Grassi 

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