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Due anni fa la diagnosi di tumore al pancreas «un organo a cui non avevo mai pensato» e l’intervento all’ospedale di Cremona. Questa è in sintesi la storia di Monica, 60 anni, che nella Giornata mondiale dedicata alla lotta contro il cancro al pancreas ha incontrato di nuovo i medici che l’hanno curata e ha deciso di raccontare la malattia che «mi ha cambiato la vita in tre secondi». Perché, dice, «ci deve essere un momento in cui ascolti il tuo corpo e io non l’ho fatto subito».

I PRIMI SINTOMI «A CUI NON HO DATO IMPORTANZA»

la malattia che «mi ha cambiato la vita in tre secondiPer parecchio tempo, ho avuto un disturbo imprecisato, una specie di mal di schiena che compariva soprattutto quando mi coricavo, facendo la magazziniera credevo fosse normale – spiega Monica. Oltre a questo, ero inappetente (ma lo sono sempre stata) e sentivo una stanchezza irrecuperabile che pensavo dovuta al ritmo di lavoro e all’età. Il primo marzo del 2023, grazie al consiglio del fisioterapista e del medico di famiglia, ho fatto un’ecografia per capire la causa di questo strano dolore, il due aprile ho iniziato la chemioterapia».

PRIMA DELLA CHIRURGIA, SEI MESI DI CHEMIO

«Il trattamento delle forme localizzate del tumore del pancreas, come nel caso di Monica, prevede quasi sempre un percorso in preparazione dell’intervento (terapia neoadiuvante). Solitamente è formato da una combinazione di più farmaci chemioterapici, alla quale può essere associato un trattamento radioterapico per una durata di sei mesi» – precisa Giulia Grizzi (oncologa, parte dell’équipe di oncologia diretta dal dottor Francesco Spina).

«La terapia preparatoria ha fondamentalmente due obiettivi: quello di ridurre la massa tumorale per ottenere il migliore risultato chirurgico. L’altro scopo di estrema rilevanza è eradicare eventuali cellule diffuse (micrometastasi) che non possono essere individuate né con gli esami del sangue né con gli esami strumentali (TAC, Risonanza magnetica o PET). Monica non partiva da una situazione facile – aggiunge Grizzi – la sua voglia di farcela e, allo stesso tempo, la sua capacità di sapersi affidare ai sanitari sono stati due fattori favorevoli».

«HO PENSATO PERCHÉ DOVREI FARCELA?»

«Nel momento della diagnosi di tumore al pancreas ho avuto paura, ho pensato subito a Vialli e a Pavarotti e mi son detta: per quale motivo io dovrei farcela? – racconta Monica che aggiunge «Ho iniziato a non voler vedere gli amici più cari, preferivo stare con persone con cui avevo poca confidenza, sapevo qual era il limite che non potevano superare. Anche le parole mi facevano paura “se fossi in te farei”nessuno può dire a un’altra persona “se fossi in te farei” in un momento così».

«Ho avuto una doppia fortuna: trovare dei professionisti capaci e avere un fisico che ha reagito bene. Accanto a me mio marito Fabio, che è stato unico; il nostro cane meticcio che mi stava sdraiato accanto senza muoversi per ore; la mia mamma novantenne a cui ho cercato di tenere nascosto il tumore, anche se desideravo tanto che mi abbracciasse», aggiunge Monica. 

 CRESCE IL NUMERO DI PAZIENTI OPERABILI

«Quello di Monica era un tumore considerato inoperabile perché aveva un’infiltrazione delle principali arterie del corpo, quelle che vanno allo stomaco, alla milza e al fegato» spiega Andrea Celotti chirurgo dell’équipe di Chirurgia diretta dal professor Gianluca Baiocchi.

«Ci abbiamo creduto insieme. Nonostante le avessimo spiegato che ci potevano essere le complicanze di una chirurgia molto pesante, lei è sempre stata combattiva. L’intervento, durato circa sei ore, è stato molto delicato perché abbiamo lavorato sulle principali arterie dell’addome» aggiunge Celotti.

«Grazie alle terapie oncologiche, oggi è possibile trattare chirurgicamente un numero sempre più alto di pazienti con tumore al pancreas che dopo la chirurgia riescono ad avere una vita normale. L’incidenza di questa patologia è in aumento al punto che l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) stima che fra dieci anni diventerà una delle principali cause di morte – specifica Celotti -. Questo è dovuto al fatto che nella maggior parte dei casi la malattia viene scoperta in uno stadio avanzato, riducendo la possibilità dei trattamenti. Parlarne e investire nella ricerca è importante».

QUELLA COPERTA RIMBOCCATA, «UN GESTO DOLCISSIMO»

«Del giorno dell’intervento ricordo di quando, mezza addormentata in sala operatoria, il dottor Celotti mi ha preso la testa con le mani. Ho aperto gli occhi, lui mi ha sorriso e poi niente – racconta Monica -. Del ricovero in chirurgia non posso dimenticare una mattina che mi sono svegliata e ho trovato le coperte rimboccate, un gesto dolcissimo».

Monica è una persona molto consapevole che descrive con chiarezza cosa prova e cosa pensa: «Lo so che dico un abominio, se hai la fortuna di riprenderti la malattia ti cambia la vita in meglio. Sembra assurdo, ma adesso ho ben presente quali sono le cose per cui vale la pena arrabbiarsi, quali sono quelle da lasciar correre; non ho più la presunzione di poter controllare il futuro. Oggi sono molto più serena, sto meglio. Ringrazio sempre tutte le persone che mi hanno curato. I prossimi controlli sono a febbraio, per adesso non ci penso».

LA PANCREAS UNIT DI CREMONA FRA I 14 CENTRI LOMBARDI

«Le Pancreas Unit fanno parte di un progetto recente promosso dalla Regione Lombardia che ha individuato alcuni centri di riferimento per il trattamento specifico della patologia pancreatica, sulla base di criteri rigorosi. Questo a garanzia di determinati livelli di sicurezza e adeguatezza clinica per i pazienti – precisa Ezio Belleri, direttore generale Asst di Cremona -. L’ospedale di Cremona rispetta largamente tutti i requisiti stabiliti, per questo è uno dei quattordici centri lombardi che possono occuparsi a trecentosessanta gradi della diagnosi e della cura dei tumori del pancreas, grazie a un team allargato e molto competente».

«Ogni singolo caso, infatti, viene discusso all’interno del gruppo multidisciplinare dove gli specialisti, tutti insieme, valutano cosa è meglio fare – spiegano Celotti e Grizzi -.  L’équipe allargata è composta da oncologi, chirurghi, radiologi, radiologi interventisti, endoscopisti, genetisti, medici e tecnici di laboratorio, anatomopatologi, anestesisti e rianimatori. A questi si affiancano lo psico-oncologo, il nutrizionista, il fisioterapista e il case manager; una figura che segue e aiuta il paziente ad affrontare le difficoltà assistenziali nelle diverse fasi del percorso di cura».

Nella foto centrale Andrea Celotti, Monica e Giulia Grizzi

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