Home

Oltre il presente. Radici per crescere. Visione per Cambiare.  Il titolo, accattivante e degno di una buona agenzia di comunicazione, sintetizza il contenuto delle linee programmatiche di Michele Bellini, unico candidato alla segreteria provinciale del Pd.  Quaranta pagine, copertina compresa, scaricabili dal sito ufficiale del partito, il documento è scritto senza eccedere nel politichese. Diviso in quattro parti (Il senso dell’impegno politico oggi, Il partito che vogliamo essere, Priorità politiche e organizzative, Priorità tematiche), a loro volta composte da più paragrafi, il programma rispecchia la fluidità imperante. Manca il segno che lo caratterizzi.

 Ineccepibile nella forma, un po’ meno nei contenuti è un buon prodotto per il marketing.  Arduo considerarlo una proposta di sinistra in senso stretto. E, forse, anche largo. Difetta lo spirito, l’humus, appunto, di sinistra. Manca la cifra che permetta di classificarlo tale. E la citazione di Antonio Gramsci, all’inizio, non lo riscatta dal limbo. E quella, in tandem, di don Lorenzo Milani, è un cameo. Insieme costituiscono un pezzo del servizio buono da mostrare agli ospiti e rassicurarli sul quarto di nobiltà politica. Sull’appartenenza all’aristocrazia dei partiti di sinistra. Sul proprio pedigree, peculiarità che oggi non infiamma gli animi.

Con poca personalità e scarsa identità, il documento potrebbe funzionare per qualsiasi partito moderato. Con pochi e minimi aggiustamenti e la contestuale eliminazione dei termini centrosinistra (usato sette volte) e sinistra (una volta) potrebbe essere sottoscritto anche dal centrodestra. Ordinato, pacato, ben costruito, il programma è il compitino di un primo della classe. Un elaborato privo di sale. Di pepe.  Troppo generico, non è placebo e neppure anabolizzante. È via di mezzo tra il blando ricostituente e l’integratore. Restyling dello status quo, non stravolge alcunché. Diplomatico e educato, accenna con discrezione ai problemi. Non li affronta con determinazione né rivoluzionaria, né riformista. Li abbozza. Non li approfondisce. E le poche volte che lo fa non affonda il coltello. 

È il volto vecchio rigenerato e imbellettato. L’usato sicuro con qualche novità. Il bigino del buon senso. È l’aliante silenzioso e innocuo. Non il caccia inquietante dei top gun. 

È fico in alcuni passaggi sui big data. E’ mainstream nell’illustrare le aspirazioni del Pd. E’ bravo a incolonnare le ambizioni del partito. 

Un partito aperto Un partito accogliente Un partito consapevole della propria non autosufficienza Un partito che coniuga visione e concretezza Un partito che realizza il possibile, tentando anche l’impossibile Un partito unito Un partito trasparente Un partito innovatore. Di tutto, di più. Di più ancora. Che non è poco. Melius abundare quam deficere. E i sogni non costano nulla.

Ma è anche il Guido Gozzano dei giorni nostri. E’ le buone cose di pessimo gusto. È l’Amica di nonna Speranza. E’ la Signora Felicita in chiave postmoderna. 

E’, occorre riconoscerlo, dimostrazione di buona volontà. Nel contempo è testimonianza della crisi dei corpi intermedi e della distanza democratica. È l’equilibrismo nell’era dell’intelligenza artificiale, di Hungher games. Degli androidi. Delle stazioni spaziali e dei viaggi interplanetari.

È un po’ oratorio di San Giovanni Bosco. È sermone della messa domenicale, privo di spigoli e depurato dalla schiettezza e dal realismo di papa Francesco.

«Se siamo soli, se non riusciamo a continuare a essere comunità tra di noi, a livello locale, dove condividiamo i luoghi che abitiamo, allora non saremo credibili nel batterci perché si crei una vera e propria comunità umana» (pagina 4). Pace e bene e date una carezza ai bambini quando tornate a casa.

Il programma abbonda di luoghi comuni confezionati con carta di qualità e fiocco giusto. Ma è anche ricco di pipponi da outlet dello storytelling progressista e politicamente corretto.  

Da manuale, la tirata sulla democrazia, che – spiega il documento citando il presidente Mattarella – non è mai conquistata per sempre. Che si cura praticandola (pagina 4). Concetti che detti dal Presidente in un contesto specifico hanno un significato, messi lì sono uno svolazzo. 

Una chicca è l’analisi dell’apatia verso la politica. Apatia «che non è neutralità, ma una scelta che avvantaggia chi detiene già il potere e che indebolisce la pratica democratica e, con essa, la democrazia stessa» (pagina 4). Annotazione condivisibile, ma incompleta senza un abbozzo di autocritica. Nessuno è senza peccato e il Pd, ne conta molti, sia veniali che mortali.

Non manca la lezioncina deamicisiana della maestrina dalla penna rossa.

 «Prendersi cura della democrazia ci ricorda che alla base dell’impegno politico deve esserci la volontà di andare oltre se stessi, consapevoli che si sta lavorando a qualcosa di più grande» (pagina 5). E qualche volta anche con il coltello sotto il tavolo per strappare posti e prebende in consigli di amministrazione di società, enti e fondazioni pubbliche.

 E poi una manciata di pillole di saggezza. 

«L’impegno politico, a partire dai territori, è imprescindibile perché i concetti stessi di locale e globale sono superati e vanno letti con le lenti dell’interdipendenza» (pagina 4).  Tanto imprescindibile che il tema delle tre aree omogenee provinciali è ignorato. Non una riga. Non un vago riferimento. Probabilmente, una disattenzione involontaria, frutto della convinzione inconscia di una Cremona caput mundi e il resto del territorio periferia dell’impero. In termini gramsciani – per rimanere in tema con la citazione a inizio  programma – con il capoluogo  nel ruolo  di  borghesia detentrice di una presunta egemonia culturale e il contado in quello di proletariato subalterno.  Semplificazione che oggi non regge per il rifiuto dei subalterni di questa suddivisone di classe e per il deficit di leadership di Cremona.

 Se è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare, allora è corretto ammettere che il documento riesce anche a sorprendere.  «Delle tre grandi transizioni che stiamo vivendo – ecologica, tecnologica e demografica – quella demografica non solo è la meno affrontata nelle agende politiche, ma (paradossalmente) è anche quella che offre il maggiore margine di intervento concreto a livello di governo locale. Questa transizione deve diventare una priorità politica per il nostro territorio» (pagina 19).

Un ulteriore impegno per gli amministratori pubblici che non trovano le assistenti sociali. Che sono in ambasce per la carenza dei medici di base. Che faticano a coprire il servizio di polizia locale. Che sono costretti ad aumentare l’Irpef. Il programma avverte: «Nel tempo dei big data, avere accesso a dati accurati e saperli utilizzare per prendere decisioni consapevoli non è più un’opzione, ma una necessità».

Necessità che è stata accantonata o scordata nel momento di decidere la costruzione nel nuovo ospedale. «L’errore sarebbe quello di concentrarci sul se si farà: sarebbe uno spreco di energie preziose, perché la realizzazione dell’opera è un dato di fatto. Al contrario, dobbiamo concentrare la nostra attività politica sul come, ovvero sulle modalità e sulle condizioni necessarie affinché questo intervento porti davvero i benefici annunciati, non solo al capoluogo ma a tutto il territorio. È fondamentale partire dal contributo di esperti e operatori, raccogliendo idee e suggerimenti concreti per orientare il progetto nella direzione più efficace» (pagine 23-24).

Sia concesso: una cazzata. Una contraddizione. Se il lavoro di raccolta informazioni è fondamentale, perché non predisporlo prima di decidere la realizzazione? È il mondo al contrario, ma non quello di Vannacci. Si parte con la costruzione dell’astronave, senza sapere se porterà davvero i benefici annunciati. E il peana sui big data dove è finito?  Qui scarseggiano anche gli small. 

Un articolo a parte meriterebbero la questione ambientale e l’equilibrio ecologico. Se «è fondamentale approcciare la questione ambientale con metodo scientifico» occorre però «essere consapevoli che possono emergere situazioni specifiche in cui ambiente ed economia entrano in conflitto, ponendo dilemmi complessi». (pagina 25),   Molto complessi e con gli stakeholder al varco, la questione diventa politica. E iniziano i mal di pancia.  I mini reattori nucleari ne procureranno parecchi. Cosa ne pensa il Pd?

Bellini sarà segretario. Gli auguri di buon lavoro sono doverosi e non formali. La politica, il territorio, hanno bisogno del Pd. Anche imperfetto. Meno spocchia gli gioverebbe. E la rilettura di Gramsci lo aiuterebbe. Ma è un’ utopia. Indietro non si torna.

 

Antonio Grassi

L'Editoriale

In Breve

L’eterno sipario

“To die, to sleep; To sleep: perchance to dream…” (Shakespeare – Hamlet III;1 ) Li osservava riuniti ai piedi del letto e li vedeva come

Leggi Tutto »

L’archivista

Il commendator Gelasio Castagna era il plenipotenziario – se così si può dire, assommando in sé le cariche di amministratore delegato e presidente – de

Leggi Tutto »

Contatti

Per contattarci puoi scrivere una email all’indirizzo qui sopra riportato. Oppure compila il modulo qui a fianco.