A Capo Nord con la 1500, crollo di un mito

31 Dicembre 2022
Capelli molto lunghi, camicia con disegni di pacchetti di sigarette, pantaloni e scarpe bianche, cintura con fibbia dorata, occhiali scuri con montatura in osso e tra le labbra una Turmac, sigaretta svizzera. Quando ne estraeva una, prima di accenderla, la faceva ruotare più volte con la punta delle dita per eliminare la caratteristica forma ovale. Aristide, detto Ari, nel piccolo paese di Dosimo, alle porte di Cremona, portava le mode appena nate in Inghilterra, possedeva una Fiat 1500 usata color carta da zucchero e svolgeva l’attività di muratore. Sui trent’anni, non era sposato ma frequentava da una decina d’anni una ragazza che abitava in una cascina dispersa nella campagna, non lontano da casa sua, senza decidersi a sposarla.
L’aspetto della ragazza non era propriamente quello di una vamp. Piccola e bruna, dal corpo minuto, aveva un carattere riservato che faceva contrasto con quello del fidanzato. Eppure piaceva, forse proprio per l’innata modestia, che stimolava l’istinto di protezione dell’uomo. Fernanda, questo il nome, era una casalinga e come la maggior parte delle donne dell’epoca – si era agli inizi degli anni Sessanta – accudiva il padre, contadino, e tre fratelli, pure contadini, costretta dalla scomparsa della mamma a mantenere ordinata la casa. Al contrario Ari non perdeva occasione per mettersi in mostra, come quando arrivava al volante della 1500 davanti all’unico bar del paese, munita di una delle prime autoradio, a volume altissimo. Come se tutto questo rientrasse nella normalità, sedeva al tavolino tra gli amici mentre dai finestrini aperti uscivano le note di “Let’s Twist again” cantata da Chubby Checker.
La sua vacanza preferita era il viaggio in macchina verso mete lontane, non alla portata di tutti. Era stato a Madrid, aveva visitato Parigi, conosceva la Costa Azzurra e aveva intenzione di cimentarsi nel viaggio considerato, nel 1962, il più avventuroso, realizzato solo da grandi viaggiatori: andare a Capo Nord. Convincere Fernanda fu difficile, ma alla fine, il suo carattere arrendevole le fece pronunciare il fatidico sì, anche se avrebbe preferito dirlo davanti al prete. Il luogo comune delle difficoltà stradali e climatiche di quel lungo viaggio impose una preparazione accurata della macchina, che fosse pronta per superare ogni inconveniente. Venne montata una radio ricetrasmittente con una lunga antenna perché si captasse il segnale il più lontano possibile in caso di emergenza, venne ordinata al falegname la costruzione di uno scaffale con vari comparti che contenessero ognuno una lattina d’olio di scorta, da collocare nel baule, un tavolino pieghevole con due piccole sedie da picnic e vennero acquistati alcuni pezzi di ricambio come un paio di cinghie, una dozzina di candele, una pompa della benzina con tutti gli utensili necessari.
Ai primi di luglio la partenza, prima tappa a Monaco di Baviera, la seconda a Copenaghen e la terza a Lulea in Svezia. Tutto andava per il meglio, le autostrade erano nettamente migliori di quelle poche che l’Italia aveva allora. Poi la Finlandia con l’emozione di oltrepassare il Circolo Polare Artico, a Rovaniemi, e l’inquietudine di affrontare gli oltre 140 chilometri di tundra, deserti e senza possibilità di alcun rifornimento fino a Ivalo. Tanta era la tensione, ma tutto filò liscio e la macchina si mise in coda a Kafjord, la località da cui un traghetto porta a Honningsvag per raggiungere il punto più a Nord d’Europa, per vedere il sole di mezzanotte. Ormai era fatta, difficoltà non ve n’erano più dato che l’ultima parte del viaggio si faceva in nave. Ari era convinto di aver compiuto un’impresa e spiegava a Fernanda che l’attesa per l’imbarco era di tre ore. La colonna di automobili si allungava col passare dei minuti, quando un rombo attirò l’attenzione: erano due turisti tedeschi che con la loro moto superavano le auto ferme in attesa. Ari rimase un po’ deluso. “Questi sono riusciti ad arrivare qui con una piccola moto” rimuginava dentro di sé. Poi apparvero dei viaggiatori in bicicletta con la bandiera della Svizzera al manubrio. “Non è possibile, diceva tra sé e sé” mentre la sua impresa si sminuiva agli occhi di Fernanda, a cui non era sfuggito l’arrivo di gente in bicicletta. E mentre si avvicinava il punto d’imbarco, la 1500 ferma venne superata da tre turisti a piedi, con la bandierina della Polonia sugli zaini.
La distruzione del mito era completa.
Sperangelo Bandera

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