Buongiorno, Veronica: faccia violenta e ambigua del Brasile

22 Agosto 2022

Se si riesca a superare lo scoglio dei dialoghi in lingua originale sottotitolati, si ottiene un bel premio, un thriller (di produzione brasiliana, presente sulla piattaforma Netflix) di alto livello, che abbina una buona capacità tecnica nella regia, una trama avvincente pur con gli inevitabili buchi logici, e una tematica profonda, anche se non certo originale (tra parentesi, il sacrificio è modesto, dato che il portoghese è una linguadolce e musicale, una vera carezza per le orecchie).

Al centro del serial (che è giunto alla seconda stagione, ma tutto fa pensare ad una terza che risolverà gli ultimi fili lasciati sospesi), un’agente di polizia (la bella e grintosa Tainà Muller), inizialmente confinata a compiti modesti, si trova coinvolta in casi di stupro seriale e di violenza domestica e, scavando con una testardaggine presto invisa ai superiori, vede la trama criminale allargarsi, fino a comprendere i vertici della polizia e della magistratura.

Nella seconda serie, il mirino della protagonista (passata da ex poliziotta ad una sorta di giustiziera solitaria) è puntato su un ambiguissimo missionario, capo di una setta, che pretende di curare, ma in realtà violenta le sue emotivamente fragili fedeli e nasconde dietro la sua attività di guaritore la direzione di una spietata banda di criminali, con il consueto coinvolgimento delle alte sfere.

Come si diceva, la suspense è garantito da una trama ben congegnata, e da un uso del mezzo tecnico professionale ed efficace nel mantenere ritmo e interesse. Il motivo, piuttosto convenzionale, del conflitto, che la protagonista vive, tra l’affetto e l’attaccamento alla famiglia ed un suo insopprimibile bisogno di giustizia, viene reso in termini drammaticamente originali, e sfiora vertici di alta tensione: gli autori si spingono molto oltre, nell’analisi di questa lacerazione, di quanto si è usi fare in prodotti consimili. Tuttavia, come sempre accade, il valore aggiunto del serial (destinato certo anche al mercato) nasce dalla tematica lasciata sullo sfondo dell’azione, nella denuncia di un male comune, che sembra però toccare con particolare gravità proprio la nazione in cui l’intrigo poliziesco si svolge (il Brasile, in questo caso). Ossessivo addirittura, nelle sue diverse declinazioni, appare il sessismo che si concretizza nello stupro e nella manipolazione di donne fragili e sole, e soprattutto nella violenza domestica, di cui la prima serie soprattutto mette in scena i tratti più odiosi e più riconoscibili, sotto il profilo psicologico: l’isolamento della vittima (che si trova perennemente in una gabbia vera – la sua casa da cui non può uscire – e una metaforica), la sua riduzione ad uno stato subumano e perciò più facilmente disprezzabile e manipolabile (in questo caso, l’appellativo, falsamente affettuoso, di “passerotto” rivolto alla moglie) e la violenza sempre inscritta negli atti del marito – carnefice, perennemente disposto a mutare in un gesto improvviso ed aggressivo qualsiasi manifestazione affettuosa: da qui l’automatico sussulto della donna tutte le volte che lui si avvicina.

Forse non è priva di un intento polemico reale, pur se coperto dalla consuetudine del genere, la denuncia dell’infiltrazione nella polizia di elementi criminali, o comunque estranei ad essa: gruppi di potere che nell’ombra la condizionano e la rendono un sistema chiuso ed impenetrabile, nel quale solo chi conta ottiene vantaggi e protegge i propri interessi.

Per ragioni narrative (o di prudenza) viene avvalorata l’ipotesi di una “mafia”, di un gruppo privato dedito al crimine che controlla il potere pubblico, ma è talmente insistita la denuncia di un simile rovesciamento di valori e funzioni della forza e della giustizia pubblica, da avvalorare il sospetto che Buongiorno, Veronica evochi uno stato di disordine continuo, costituito dagli squadroni della morte, dalle polizie private, dalle lobbies che esercitano un potere tutto proprio, ben inserite e ben protette dalle istituzioni “legittime”.

Un discorso analogo si potrebbe avanzare per i gruppi religiosi basati sul culto della persona, sulle sette carismatiche che propongono guarigioni miracolose, in cambio della completa sottomissione della vittima, della sua spersonalizzazione. In una società che fatica a liberarsi dall’animismo e dalla superstizione, e soffre i postumi di un cattolicesimo chiuso e fideistico, l’odiosa figura del missionario antagonista sembrerebbe porsi come monito nei confronti di un’altra forma di disagio sociale e culturale del Brasile, il fanatismo religioso fondamentalista, di tipo carismatico. Certo, ilserial mette in campo un’ambiguità apprezzabile, che dona spessore e profondità alla trama: il missionario criminale ed assassino possiede davvero la capacità di curare.

 

Vittorio Dornetti

 

 

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