Cà delle Mosche, bosco donato dai Giordana al Parco

19 Novembre 2022

Nel 1997 è cominciata la riconversione a fini di riqualificazione ambientale del bosco di Cà delle Mosche, con l’intento di ricostituire alle porte di Crema una porzione di territorio dove sia possibile preservare il maggior numero delle specie caratteristiche della pianura Lombarda, con particolare riguardo alla provincia di Cremona e al Cremasco. L’appezzamento ha un’estensione di circa 8 ettari ed è diviso in 5 parcelle dal reticolo dei canali di irrigazione e da una campereccia. Stamattina nella casa di camperia del Parco, alla presenza di Basilio Monaci, presidente del Parco del Serio e del direttore Laura Comandulli, ha avuto luogo la cerimonia di donazione del bosco che sorge in fregio alla Paullese da parte della famiglia Giordana, proprietaria del fondo. Erano presenti Guido Giordana figlio di Franco, stroncato da un tumore il 9 dicembre 2020, la moglie Zaveria Missotti e la figlia Nicoletta. Mancava l’altra figlia di Franco, Aline, che è in Sicilia. Franco ha lasciato due fratelli, Marco Tullio regista ed Emanuele giornalista ‘Nella lunga battaglia contro la malattia – – ricorda Emanuele – Franco ha trovato  conforto nel suo lavoro per Acta Plantarum di catalogazione di piante e fiori. ‘Il legame tra noi era forte perché Franco era il maggiore e io il più piccolo e, al di là delle inevitabili controversie dovute alle gerarchie del sistema famigliare, per molti anni l’ho considerato un secondo padre, che il nostro aveva lasciato lui ancora minorenne e me di appena sei anni. Mi sono interrogato sull’eredità che mi ha lasciato e sto cercando di radiografarla, mondandola dei conflitti e delle incomprensioni che abbiamo avuto e dissacrando il mito inevitabilmente legato alla morte, per il quale si diventa improvvisamente (solo da morti) modelli incomparabili di grandi virtù. Per molti anni ho pensato che il suo lascito sarebbe stato etico: quello che mio padre non aveva potuto trasmettermi e che mia madre aveva coltivato nella fatica di allevare cinque figli senza avere più un marito. Ma adesso mi rendo conto che il suo lascito, la sua vera eredità, risiede per me non tanto in un concetto – labile e manipolabile come tutti i concetti – ma in un’essenza vivente: un bosco’.

Nella primavera del 1997 il terreno era completamente nudo, al termine di un’annata agraria in cui tutte le parcelle erano state coltivate a mais. Anche gli stocchi di granturco erano stati rimossi dal terreno dal precedente conduttore del fondo, e le uniche tracce di vegetazione erano rinvenibili solo lungo strette fasce lungo le sponde dei fossi e della campereccia. Le alberature erano presenti solo lungo la roggia Menasciutto, costituite da ceppaie di platani, sambuchi e sporadici aceri negundo, ceduate ultimamente ogni anno (al fine di ammazzarle?) fino all’inverno del 1995. 

A partire dalla primavera 1997 si è provveduto al trapianto di specie arboree, disponendo le piantine secondo delle spirali, via via accresciute a partire dal loro centro, in modo da evitare allineamenti evidentemente artificiali per un osservatore posto sul piano campagna. La messa a dimora di piantine è proseguita nel corso degli anni, contemporaneamente alle operazione di picchettatura di plantule nate spontaneamente negli incolti, sia per effetto delle diverse strategie naturali per la dispersione dei semi, sia per effetto dello spargimento sul terreno di frutti raccolti nelle campagne circostanti.

Nel corso del 1998 è stato scavato un piccolo stagno. Oltre alle specie arboree, si sono anche trapiantate numerose specie erbacee, prelevate direttamente negli ambienti naturali in cui sono state rinvenute, cercando di localizzarle in posizioni che meglio riproducessero le condizioni ambientali del luogo di ritrovamento. Tutte le specie apparse nell’appezzamento sono state censite e la loro presenza verificata anno dopo anno, cercando di ottenere un quadro che mettesse in evidenza il successo dei trapianti, in una parola l’evoluzione della flora nel corso degli anni.
Alcuni anni fa i Giordana diventarono proprietari delle terre che circondano la Ca’ della Mosche, un casale del Cremasco appartenuto ai veneziani signori Mosca e poi alla famiglia dei Rossi Martini che la vendettero a Clelia Bertollo, che aveva sposato Tullio Giordana, nonno di Franco, Emanuele e Marco Tullio, giornalista coraggioso che aveva sfidato Mussolini e che per questo motivo aveva perso il lavoro e il suo giornale, La Tribuna, nei primi anni del Ventennio. Il nonno era di Crema (storiche le sue battaglie col rais Farinacci di Cremona) e la nonna, che aveva portato in dote capitali importanti, gli aveva comprato le Mosche con 44 ettari di terreno che, di mano in mano, passarono a Franco, Barbara, Marco Tullio ed Emanuele che vendette, insieme coi fratelli Barbara e Marco Tullio la terra comprando altrove. Franco era molto legato a Ca’ delle Mosche, dove si era trasferito da Milano negli anni Settanta coi primi due figli e la prima moglie Alessandra. Si impegnò in un progetto di riqualificazione che a un certo punto lasciò perdere. Il bosco era diventato, da progetto degno di un architetto ambientalista,  un selvaggio universo di specie vegetali con alberi di alto fusto, roveti impenetrabili, cespugli rigogliosi. Franco lasciò, forse anche felice di non doversene più occupare, che il suo bosco vivesse di luce propria. Che diventasse non più il “suo” bosco ma un bosco. Con le sue dinamiche, la sua selezione naturale, la sua potente e apparentemente disorganizzata, gerarchia.
‘Oggi che osservo il suo lascito – commenta il fratello Emanuele – mi rendo conto che questa è  l’eredità  che mi ha consegnato. Se dovessi tornare ad avere un pezzo di terra , seguirei il suo esempio. Ne lascerei una porzione allo stato selvatico e mi accontenterei di farci un po’ di legna e di osservare come un luogo “abbandonato”  a se stesso possa trasformarsi in un universo governato da leggi incomprensibili ma di una formidabile armonia. Quando nella vita ci ostiniamo a voler controllare tutto – comprese le foreste, i ghiacciai, i fiumi – dovremmo avere il coraggio di lasciare almeno una parte al caso. Dovremmo cioè consentire alla natura di fare il suo corso del quale sappiamo ancora cosi poco e che non mancherebbe di stupirci. Una lezione di vita che gli devo. Quanto al bosco è  ancora li e, se si osserva dall’alto questa porzione di territorio, è facile notare che è l’unico polmone verde nel raggio di centinaia di chilometri. Cosa c’è di più bello di questa eredità condivisa e ormai bene comune? Grazie fratello’.

2 risposte

  1. Franco Giordana, grande modello in vita, grande insegnante per me. Con lui collaborai alla sua grande opera , quell’ACTA PLANTARUM fondamentale per la conoscenza naturalistica del nostro territorio .

  2. Ho avuto l’onore di conoscere e apprezzare Il Professore Franco Giordana, questo dono alla comunità postumo è la dimostrazione della grandezza di questo uomo e della generosità dei suoi famigliari. Grazie Franco, ambientalista, artista, creativo.

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