Capiamo e difendiamo la didattica a distanza

5 Marzo 2021

A settembre, i fautori della didattica in presenza asserivano che le scuole non potevano essere luogo di contagio in quanto rispettose del metro di distanziamento sociale richiesto, come se i nostri studenti arrivassero nelle scuole teletrasportati e lì stazionassero, magari anche per sei/otto ore, incollati sui propri banchi (strano modo peraltro di intendere la didattica in presenza). 

Oggi che le scuole sono diventate, come era prevedibile, focolai del coronavirus, gli stessi fautori della presenza si appellano ad un concetto astratto (astratto se paragonato ai quasi centomila morti in Italia per la pandemia): il diritto allo studio.

 

In nome del diritto allo studio, secondo quanti protestano pubblicamente, le scuole dovrebbero essere aperte sempre, in qualsiasi condizione, perché ‘la vera scuola è solo in presenza’. Si invocano dati generici su altri paesi europei dove le scuole sarebbero state sempre aperte, poco importa se in quei paesi i mezzi di trasporto pubblici funzionano, il sistema sanitario è più attrezzato per far fronte ad un’emergenza, il welfare più efficiente; insomma poco importa che la comparazione sia acritica e decontestualizzata.

Ma perché – fermo restando  il proseguimento dei progetti di inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali, fermo restando che le scuole si sono attivate e si stanno attivando per mettere il maggior numero di studenti nelle condizioni di avere un dispositivo e di poter accedere alla rete – perché, chiedo, questo ‘diritto allo studio’ non potrebbe essere garantito, in un momento così difficile della vita del nostro paese, a fronte di migliaia di morti, da una buona didattica in remoto, ben programmata, svolta da docenti competenti e motivati, una didattica in grado di attivare processi di apprendimento anche a distanza? Esiste, poi, mi chiedo, un diritto allo studio da difendere in sé e per sé senza alcuna considerazione del contesto entro il quale tale diritto si colloca? 

 

Credo che la risposta sia che, negli ultimi decenni, si è alimentata una pericolosa confusione tra sussidiarietà, socializzazione, istruzione.

In nome di questa confusione i genitori pensano che la scuola primaria sia il posto dove lasciare i figli mentre vanno a lavorare; lì, devono socializzare, stare bene e ricevere ogni cura. Si tratta di una scuola che ogni famiglia vorrebbe modellata in base alle proprie esigenze in nome di quella moltiplicazione dei diritti individuali che caratterizza la società contemporanea; una scuola che nessuno è disposto ad ascoltare ma alla quale tutti chiedono (più ore, meno ore; più gite, meno gite; per noi, niente compiti nel fine settimana, grazie; e, adesso, che vada avanti per favore senza preoccuparsi di quello che capita nel mondo). 

 

Sempre in nome della stessa confusione, si pensa che la causa della sofferenza dei nostri adolescenti sia la didattica a distanza e non la situazione drammatica che stanno vivendo;  questa  sofferenza non si risolverà  certo continuando a mandarli a scuola come se niente fosse, ma piuttosto ascoltandoli, dando parole al loro disagio e strumenti concettuali per comprendere cosa accade. Insomma, sarebbe necessario accompagnarli ad un sano ingresso nel principio di realtà, il quale ci dice che a volte bisogna rinunciare a ciò che vorremmo e ci piace per affrontare i problemi che si presentano, con responsabilità.

 

E poi ci sono gli adulti. Anziché invocare per i figli una normalità che non può esserci, dovrebbero insegnare ai giovani a cosa serve il loro sacrificio di oggi affinché possano maturare la consapevolezza e la fiducia necessarie per impegnarsi nel progettare il futuro, ad esempio un paese con infrastrutture efficienti, un welfare solido, maggior attenzione per l’ambiente.

 

Lo  stesso principio di realtà dovrebbe suggerire, poi, a coloro che protestano in piazza  contro la didattica a distanza che, come scrive sapientemente Massimo Recalcati ‘insegnare davanti ad uno schermo significa non indietreggiare di fronte alla necessità di trovare un nuovo adattamento imposto dalle avversità del reale testimoniando che la formazione non avviene mai sotto la garanzia dell’ideale, ma sempre controvento, con quello che c’è e non con quello che dovrebbe essere e non c’è’.  Si chiama responsabilità educativa degli adulti.

 

3 risposte

  1. Il walzer della DAD! Si apre e si chiede come una porta.

    La DAD non può sostituire la scuola!

    A distanza di mesi dall’inizio del 2° lock down e dalla nuova attivazione della DAD a ottobre , questi sono i risultati:

    – c’è chi vive in perfetta sintonia con la tecnologia;
    – c’è chi purtroppo ne è escluso in modo parziale o addirittura totale perché
    non riesce a seguire le lezioni perché sprovvisti di un PC o di un Tablet;
    – c’è chi vive in luoghi dove la connessione è scarsa o assente.

    Ma, scusate ……… al posto dell’acquisto dei banchi a rotelle non si poteva incentivare un “bonus acquisto PC o Tablet?”

    La DAD ha il pregio di essere un valido strumento al quale aggrapparsi in un periodo di distanziamento sociale obbligatorio, periodo in cui al primo posto nella scala delle priorità di ogni individuo va posta la salute di tutti i cittadini. La DAD quando è scoppiata la pandemia è diventata l’unica strada da percorrere per “fare scuola”, ma …….. è lontano anni luce dall’essere una vera scuola.

    La DAD va bene per lunghi periodi?

    No, non va bene, secondo me sarebbe meglio alternare 2 giorni di DAD e 3 giorni di presenza o viceversa!
    La scuola è una dimensione educativa fatta di relazioni e di ambiente, difficilmente sostituibili o realizzabili tramite uno schermo. A scuola gli studenti entrano a far parte di un contesto fatto di attività e scambi tra “pari”: s’interagisce con individui diversi che hanno ruoli diversificati e ciò contribuisce allo sviluppo dell’identità degli individui stessi; l’ambiente educa e al suo interno si sviluppano relazioni insostituibili.
    Dopo i continui lockdown …… Genitori, Insegnanti, Educatori, Psicologi e Pedagogisti parlano di:

    – regressioni da parte degli studenti;
    – difficoltà nel gestire gli studenti;
    – demotivazione degli studenti:
    – comportamenti di rifiuto da parte degli studenti;
    – reazioni problematiche da parte degli studenti;
    – ecc.

    Tutte queste situazione confermano che l’efficacia dell’azione educativa dipende quasi esclusivamente dall’ambiente e dalle relazioni che, in essa, si realizzano.

    L’ambiente educativo

    Venendo a mancare l’ambiente educativo, si perde letteralmente il contenitore dell’educazione, quella dimensione strutturale finora utilizzata dagli Insegnanti, come strumento per rendere possibile “l’ex-ducere”, il trarre fuori.
    L’ambiente quando è pedagogicamente progettato e gestito dall’Insegnante con una comunicazione efficace, produce un clima relazionale affabile, collaborativo fatto di reciprocità, aspettative, scambi interpersonali che sviluppano la personalità degli studenti, permettendo l’emersione delle loro potenzialità e un reciproco miglioramento.

    Gli Insegnanti

    La pandemia ha messo gli Insegnanti di fronte ad una sfida senza precedenti, di cui nessuno poteva immaginarne l’arrivo. Tutti hanno cercato il modo migliore per insegnare attraverso la DAD, con la consapevolezza di essere stati privati del primo e più grande Educatore: l’ambiente!
    Molti Insegnanti hanno imparato “a fare la DAD” durante il lock down, in quanto non erano mai stati messi prima alla prova, mentre altri, già molto preparati sull’insegnamento digitale, non hanno incontrato problemi, gli unici a riscontrare problemi sono stati gli studenti …………….. non abituati a questo tipo di insegnamento!

    Gli studenti

    A molto studenti ha fatto molto comodo la DAD. Perché?
    Le risposte potrebbero essere ovvie:

    – seguire le lezioni in cucina o in salotto;
    – “stoppare” il video e poi fare dell’altro;
    – copiare nelle interrogazioni scritte;
    – leggere durante le interrogazioni orali;
    – far finta di seguire le lezioni;
    – ecc.

    La DAD

    La didattica a distanza non deve essere demonizzata, bisogna adattarsi alla situazione, cercando di sfruttare al meglio gli strumenti di cui si dispone, aspettando anche che la ricerca educativa fornisca metodi efficaci per progettare e gestire meglio l’apprendimento a distanza.

    E ora?

    Ora, in molte Regioni gli studenti vogliono ritornare a scuola in presenza.

    Siamo pronti?

    Non credo ancora!

    prof. Maurizio Mondoni

  2. Sono pienamente d’accordo, nell’ambito scolastico si è assistito ad un valzer di decisioni prese con evidente mancanza di competenze e poco orientate ad un piano formativo che introduca i ragazzi al mondo del lavoro.

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