Addio Trattoria Cerri, chiude un pezzo di Cremona

30 Maggio 2022

Avrebbe compiuto un secolo tra sette anni, invece gli eredi della famiglia Cerri, segnatamente il titolare Fabio con la moglie Lina Grazioli hanno deciso di cessare l’attività. E così a Cremona, in piazza Giovanni XXIII, scompare l’omonima trattoria ricavata in un antico convento, punto di riferimento di generazioni di buongustai. Molti di loro provenivano da fuori provincia e hanno conosciuto la città grazie alle prelibatezze che i fratelli Mario, Mino e Giulia con le rispettive consorti hanno instancabilmente preparato e servito. La fortuna del locale è stata la vicinanza del vecchio ospedale, chiuso nel 1970 dopo secoli di intensa attività. Parenti e amici dei degenti frequentavano assiduamente l’osteria già famosa per la mescita dei vini. Allora, sotto l’occhio attento della signora Wanda, mamma di Mino, Mario e Giulia e nonna di Fabio, si pigiavano le uve acquistate nel Piacentino e si imbottigliava. Da cosa nasce cosa e dopo la guerra si incominciò a preparare piatti semplici, legati alla tradizione, che attirarono un numero crescente di clienti. Il bar gelateria si trasformò in trattoria grazie alla felice intuizione della signora Wanda  La fama s’allargò al punto tale che la definitiva chiusura del vecchio ospedale non provocò il temuto crollo del giro d’affari. Anzi. Fu così fino all’avvento della terza generazione della storica famiglia di ristoratori che sin dall’inizio suscitò perplessità, critiche pronunciate prima sottovoce poi aperte e infine provocò disaffezione nella clientela. Il tocco innovativo dei piatti introdotto da Fabio e l’idea di eliminare l’osteria, poi accantonata, si rivelarono sbagliati. L’ambiente, semplice e con un suo fascino tutto particolare, perdeva suggestione con l’affievolirsi del legame con le radici. Marubini, risotti, bolliti, arrosti, brasati, le mitiche patate arrosto, il leggendario zabajone e la sbrisolona non avevano più lo stesso sapore con l’appannarsi dell’identità legata ai piatti della tradizione cremonese.  La rumorosa clientela che trascorreva serate intere al bar giocando a carte e guardando la tv cercò lentamente altri lidi senza fare più ritorno a quel porto sicuro.

 

Vittoriano Zanolli

 

 

3 risposte

  1. Ho ricordi indelebili di quel luogo per tantissimi anni legato a mio padre, da principio per questioni di lavoro, poi per sincera colleganza. Quei valori propri di un tempo ormai passato non sempre si ripetono e ancor meno si ritrovano nel mondo di oggi, dove le persone sono meno inclini alle amicizie fatte di rispetto e condivisione, specialmente se ci sono affari di mezzo.
    Entrare dai Cerri era entrare in un mondo, fatto di frammenti eppure grandi e irripetibili, come i dialoghi delle cose del giorno, le partite a carte, le discussioni sulle partite, e tutto questo mentre l’aria di intingeva del profumo di arrosto e Mario arrivava con qualche bottiglia speciale. Sono fotografie impresse nella memoria, perchè quell’anima, quelle voci erano vere, pure, e tali sono rimaste nei miei ricordi. E’ logico che le cose nel tempo cambino, ma quello che certi luoghi non possono perdere è il cuore, è l’aria di famiglia che tutti devono poter avvertire quando arrivano e che, anche se non se ne avvedono subito… poi arriva, rimane, e garantisce il futuro. Certe storie sono uniche, in loro si è perfezionata la congiunzione perfetta fra persone e tempi, e dobbiamo mettere in conto che può essere inevitabile perderle. Ciò che non dobbiamo mai fare è perderne la memoria, perchè vite dedicate al lavoro, al servizio e al sacrificio di cui generazioni di cremonesi hanno beneficiato devono essere onorate, sempre. Grazie, famiglia Cerri.

  2. Leggo con molto dispiacere quello che scrive.
    Perché ricordo bene che quando era venuto a mangiare anzi aveva decantato i piatti della tradizione che le avevamo offerto.
    Ai piatti della tradizione non è stata apportata alcuna modifica .
    I marubini ad esempio venivano fatti come una volta ad uno ad uno col dito secondo la classica ricetta cremonese.
    Lo stinco veniva cotto in forno per quattro ore bagnato di tanto in tanto col vino bianco.
    Il cotechino veniva bollito per quattro ore come la tradizione richiede.

    Casomai tanti di voi non hanno accettato il cambio forse anche intenzionalmente mal sponsorizzato anche da chi invece avrebbe dovuto appoggiarlo.
    Comunque va bene così .

    Abbiamo messo l’anima in quel posto e trovo davvero di cattivo gusto questo suo attacco gratuito alla nostra gestione .
    Senza citare tutte le problematiche generate dalle chiusure forzate e da altre dinamiche che preferisco tenere per noi.

  3. Concordo in pieno. Occorreva rimanere nel solco della tradizione invece di voler fare i ristoratori alla moda (la città ne è piena), mentre loro sarebbero stati unici.
    L’esempio della trattoria La Piccola è lì da vedere

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