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Come salvare l’umanità? Con i grilli fritti a colazione

13 Maggio 2021

Premesso che i miei gusti alimentari, come tutti gli italiani, sono simili a quelli della stimatissima professoressa Ada Ferrari, sono però imbarazzato nel criticare il suo post con cui, con elegante ma caustica ironia, critica l’Ue perché sta approvando per l’alimentazione umana l’entomofagia, ossia l’assunzione di proteine e di altre sostanze dagli insetti.

Vediamo perché. La scienza, per quanto riguarda il continente Europa, chiarisce: «La desertificazione, una forma di degrado del suolo nelle zone aride, costituisce una minaccia crescente nell’UE con effetti significativi sull’uso del terreno», mentre per fare fronte al clima: «…. Le proiezioni relative ai cambiamenti climatici in Europa indicano che il rischio di desertificazione è in aumento».

(https://op.europa.eu/webpub/eca/special-reports/desertification-33-2018/it/#:~:text=La%20desertificazione%20in%20Europa%20avanza,Nero%20in%20Bulgaria%20e%20Romania).

A proposito invece del solo bacino del Mediterraneo, e quindi del nostro Paese, sulla rivista ‘Journal of Climate dal Massachusetts Institute of Technology’ (Mit) si legge di una ricerca condotta in collaborazione con l’Università Politecnica Mohammed VI del Marocco: «Il clima del Mediterraneo è indicatore del cambiamento globale: nei prossimi decenni potrebbe essere sempre più secco, con il 40% di piogge in meno durante le stagioni invernali». (https://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/terra_poli/2020/06/19/l-mediterraneo-indicatore-del-clima-che-cambia-_77d2c71a-6b76-4d57-8e7b-cce8232779ef.html)

Allora, visti i tempi verosimilmente non proprio brevi per la mutazione di un aspetto culturale molto importante come quello dell’alimentazione a base di insetti, io non credo che il Consiglio europeo abbia sbagliato ad approvare la proposta della Commissione Ue. Questa scelta fa anche sperare, coerenza vorrebbe, nell’urgente dismissione dell’impiego degli insetticidi e dei disinfestanti nell’agricoltura, quali primi nemici proprio degli insetti.

Ancora un’annotazione sulla scelta culturale legata all’alimentazione. «Gli insetti sono gli animali più abbondanti del pianeta e le loro carni sono ricche in proteine, vitamine e povere di grassi. Il loro gusto inoltre sembrerebbe essere gradevole. Perché quindi non entrano in modo considerevole nei nostri piatti?» Di questo sono ben coscienti quasi tutte le culture orientali e dell’Africa: «Sono noti i piatti orientali o africani dove l’ingrediente principale è rappresentato proprio dagli insetti. Gli orientali amano le cicale (femmine soprattutto) che vengono ricoperte con una pastella e quindi fritte nell’olio bollente. In Africa invece si mangiano molto le larve delle falene del bambù, che vengono cucinate preferibilmente alla griglia. Gli africani amano così tanto queste larve che le mettono in scatola per poterle comperare agevolmente nei supermercati».

(http://www.expo2015.org/magazine/it/lifestyle/insetti-nel-piatto–l-entomofagia.html)

Una domanda mi sorge spontanea. A chi dare la responsabilità di questi cambiamenti climatici portatori di desertificazione e quindi di carestie? Chi incolpare di questa situazione che mette nel conto la sopravvivenza umana legata agli insetti? Ce lo siamo chiesto?

Scopro così di ritrovarmi difensore del mondo degli insetti, non solo per il loro decisivo ruolo nell’equilibrio ambientale, ma ora anche, Dio non voglia, come possibile rimedio al probabile arrivo della fame che l’uomo si è sciaguratamente procurato.

Benito Fiori

per ABC-La Rete

3 risposte

  1. Larve di falena alla griglia e cicale femmine fritte in pastella. Ma perché le cicale maschio,con la consueta fortuna di genere, la fanno franca? Quanto ai grilli, memore dell’amato Pinocchio, Grillo parlante a colazione mai e poi mai.

    Le cicale maschio? Non dubito che di tratti di squisitezze che, per indole generosa. lascio ai responsabili della bomba demografica africana e asiatica.

  2. Gent.ma prof.ssa Ferrari,
    vorrei sorridere anch’io per la sua ironica sufficienza rispetto ad un problema così grave come quello della probabile desertificazione cui io ho solo fatto cenno, ma proprio non ci riesco. Le ho risparmiato, tanto per fare un esempio, le dimensioni della tragedia dovuta alle migrazioni di intere popolazioni schiacciate dalla fame. Gentile professoressa, la pregherei anzitutto di non collocarmi sostanzialmente tra coloro che attendono con sadica ansia l’avvento di un novello Artusi che insegni loro come cucinare la falena o la cicala, perché, come lei, amo la nostra cucina mediterranea. Io ho solo fatto presente due evidenze: la prima è che la scienza continua a lanciare con crescente preoccupazione gli avvertimenti che ricerche e studi sul clima suggeriscono senza incoraggianti riscontri, come il suo commento dimostra; la seconda evidenza è suggerita da una realistica previsione: i cambiamenti imposti a chi verrà dopo di me nei comportamenti alimentari. La temuta desertificazione, infatti, porterà all’abbandono delle tradizionali e distorte fonti per l’uomo delle “proteine”, quali quelle da carne rossa e, contestualmente, pure dalla scarsità delle produzioni colturali. Gentile professoressa, io, soprattutto per l’età che ho, potrei anche fare spallucce e sorridere, ma non ce la faccio pensando ai miei figli e ai miei nipoti. È ormai evidente l’esaurimento/fallimento dell’attuale modello economico, in cui un amorale profitto è stato ricercato anche nel settore dell’alimentazione, ovvero della vita. O si cerca, da subito, di porre rimedio o sarà troppo tardi.

  3. Caro Fiori, nessuna “ironica sufficienza’” da parte mia. La battaglia sul clima è sacrosanta. Ma esiste una dimensione culturale, storica e ‘affettiva’ del cibo dalla quale si potrà prescindere solo con la debita gradualità. Aggiungo che l’ironia mi è talmente connaturata che la applico anche a me stessa. Brucia un po’. Ma meglio pepe che melassa

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