Crema in CremonaFiere? Non siamo su Scherzi a parte

13 Marzo 2022

Giano bifronte, la politica locale ha scelto di non scegliere. Lesta e aggressiva su questioni nazionali, internazionali ed extraterrestri, è lenta e distratta sulle problematiche provinciali. Attenta alla comunicazione, non si nega a richieste di interviste e di interventi su tematiche di ampio respiro, copia-incolla dell’altrui pensiero. Una foto, un titolo, un articolo su giornali tradizionali o su testaste online e un servizio televisivo, valgono una scopiazzatura. Moscia, timorosa e attendista, la politica locale si barcamena, traccheggia, prova a sopravvivere. Non si mobilita per dibattere del nuovo ospedale, ottava meraviglia del mondo e scelta discutibile. Resta in silenzio, che è d’oro e raramente crea conflitti. La decisione, presa altrove e calata su Cremona, non ha incontrato obiezioni. Non ha innescato un reale confronto. Non ha sollevato un dubbio. La politica locale ha preso atto, ha tenuto bordone, ringraziato e benedetto l’operazione. Non ha contato un piffero. Ha calcolato gli appalti. Non si è stracciata le vesti per la chiusura dell’Area Donna. Ha delegato il compito della protesta alle ex utenti e a quelle potenziali. Scese in piazza, il sindacato al loro fianco, le donne hanno incassato la solidarietà di qualche amministratore pubblico, prassi consolidata in tutte le circostanze simili. Ora attendono che la loro richiesta di ripristinare il servizio venga accolta. Si vedrà. Domani è un altro giorno.

L’andazzo resterà quello antico. È presagio, esperienza, storia. Non auspicio. La politica locale dovrebbe sfilare per le vie della città, urlare contro il vergognoso persistere di un’aria mefitica, anticamera di una camera a gas, che non è il massimo della vita e neppure un soggiorno là dove volano le aquile. Dovrebbe battere i pugni sul tavolo per sollecitare e pretendere che gli enti competenti concludano in tempi brevi lo studio epidemiologico interrotto. Dovrebbe alzare la voce per sapere dello stato dell’arte su alcuni interventi di bonifica in atto, oltre a quello superstar dell’area Tamoil. Interventi non meno degni di attenzione e di informazione ai cittadini. Dovrebbe sbilanciarsi sulla destinazione del tratto del canale navigabile già costruito e da anni monumento all’insipienza e allo spreco di denaro pubblico e in predicato di diventare
una cloaca a cielo aperto. Opinioni. Opinabili come tante altre. La politica locale non ha fretta. Adelante Pedro con juicio. Mucho juicio. Mejor no te muevas.

La politica locale permette lo scempio della piazza antistante palazzo Cittanova e realizza ciclabili colorate, buone per qualche biennale d’arte in giro per il mondo. Qualcuno lo evidenzia e lei quasi non batte ciglio. Si giustifica. Maramalda, la politica locale si schiera quasi sempre con la pancia dei cittadini, che spesso difetta di feeling con la razionalità. Il con-senso qualche volta collide con il buon-senso, ma è vitale per chi di esso si nutre. La politica locale annusa l’aria, interpreta il giro del vento, poi si schiera. È furba, qualità che non sempre è una virtù. Al rischio preferisce la facile vittoria. Gioca in difesa, mantiene il punto e non disdegna il catenaccio. Pecca di poltroneria, che è l’agire con molta calma e motivo di biasimo per gli studenti troppo scialli e svogliati della scuola del giurassico. «Sei un poltrone» e il giudizio restava indelebile per tutto l’anno. La politica locale preferisce l’accordo allo scontro, scelta che non sempre combacia con gli interessi degli elettori e del bene comune. Coltiva l’inerzia, lo status quo. Predilige la tranquillità al cambiamento. L’accidia è il suo peccato d’elezione. La conservazione il suo equilibrio.

La politica locale è melassa. È sorrisi e coltelli sotto il tavolo, ma non sangue in pubblico. I panni sporchi li lava in casa, non in piazza. È un esercito di travet e pochi, pochissimi leader, più sopportati che osannati. La politica locale è autoreferenziale, buone maniere. È corretta. Mai un esplicito vaffanculo. È poco creativa e prevedibile. È educata e per bene. Azzimata, parla piano. Sussurra e quasi mai grida e non ha mai visto un film di Ingmar Bergam, presenza fissa dei cineforum del secolo scorso. «La politica sangue e merda», raccontata da Rino Formica, non appartiene a Cremona. In riva al Po e dintorni è formale e artefatta. È veleno e vecchi merletti. È triste. Citare il Charles Bukowski della raccolta Azzeccare i cavalli vincenti è quasi una provocazione, ma è efficace e rende l’idea. «Quando vedi il municipio in centro e tutte quelle persone per bene, perfette, non farti assalire dalla malinconia. C’è una marea di persone, intere specie di gente pazza, che muore di fame, ubriaca, stolta e miracolosa». Bukowski non avrebbe mai puntato su un cavallo del nostro territorio. Troppo elevato il rischio di perdere e ancora più alta la probabilità di incappare in un brocco. I campioni, quelli di razza stanno altrove.

La politica locale delega alle associazioni il proprio compito. Dettano la linea. I partiti si adeguano. L’informazione si adegua. La capacità critica si adegua. Si annulla. È il paese dei campanelli. È la calma piatta con qualche sussulto. Non esistono poteri forti. Esistono associazioni di categoria forti o considerate tali anche quelle sul viale della decadenza. È la politica che ha contrattato le condizioni per implementare il Masterplan con l’Associazione industriali e poi ha invitato i sindaci ad approvarle a scatola chiusa. È la politica che si fa mettere i piedi in testa.

«Il Comune di Crema deve entrare nella Fiera di Cremona». (La Provincia, 11 marzo) ha ordinato Riccardo Crotti, presidente della Libera associazione agricoltori e nessun politico gli ha chiesto: «Ma fa sul serio o scherza? A fare cosa?» La Libera associazione agricoltori non è il Bologna dei tempi andati, lo squadrone che tremare il mondo fa. Se è stata una potenza, ora non lo è più. Ha perso il monopolio dell’informazione e non controlla il mondo tutto. Il suo presidente non è il papa laico che alcune decine di anni fa decideva le carriere della politica provinciale. È uno dei presidenti delle associazioni di categoria. Conta meno di qualche altro suo collega, ma la politica locale, ossequiosa, lo scappella e non gli domanda: «Ma che cazzo dice, presidente?»

È il Giano bifronte.

 

Antonio Grassi

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