Pd, candidature: Cottarelli equilibratore e Bonaldi immolata

21 Agosto 2022

Una battaglia per la sopravvivenza in uno scenario distopico, il giorno dopo l’apocalisse atomica. Tutti contro tutti, coltelli sotto il tavolo e scontri fratricidi per salire sul convoglio della provvidenza, destinazione Roma. La formazione delle liste dei candidati per le elezioni del 25 settembre è stata feroce e brutale. Cinica. Ma nessuna meraviglia e non è necessario scomodare il pensiero raffinato del Machiavelli per comprenderlo. È sufficiente la legge della giungla. Le scelte dei padri padroni dei partiti sono state chirurgiche e le incisioni del bisturi
millimetriche e senza esitazioni. Una poltrona in prima classe sul Frecciarossa ai fedelissimi e ai presunti portatori di voti, senza imporre il rispetto dell’ortodossia del partito o la sintonia con i colleghi di cordata. Un posto sul treno dei pendolari o su una tradotta militare per i gregari, con l’obbligo di ringraziare per l’opportunità di dimostrare, con l’accettazione dalla candidatura perdente, lo spirito di servizio che li pervade. Merito e radicamento nel territorio del collegio ininfluenti sulle decisioni: caccole o poco di più.

«Io – ha dichiarato l’interista Carlo Cottarelli, economista di grido e candidato Pd-più Europa – sono sempre stato nell’area liberal democratica. In passato ho votato anche il Pd, alle ultime elezioni più Europa. Credo di essere stato coinvolto anche per evitare uno
sbilanciamento troppo a sinistra, tanto è vero che la mia candidatura è stata presentata da più Europa e dal Pd» (Corriere della sera, 19 agosto, pagina 9). Se questo è il compito che gli è stato affidato, il super economista cremonese sarà il Tarciso Burgnich della compagine guidata da Enrico Letta. Marcherà a uomo Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana. Replicante del mitico terzino dell’Inter ed ex allenatore della Cremonese, Cottarelli vigilerà affinché i sinistri non cadano nella vecchia abitudine di mangiare i bambini. E se dovesse succedere, si adopererà per limitarli ad uno spuntino ed impedire l’abbuffata. Manterrà la bilancia in equilibrio e, giustappunto, cercherà di evitare lo sbilanciamento troppo a sinistra. Sarà una roccia. Come Burgnich. Ma c’è un problema: Cottarelli e Fratoianni giocano nella stessa squadra. Non è un conflitto di interessi. Solo una contraddizione. È l’allungamento del vino con l’acqua, pratica abominevole per i buongustai. Dettaglio insignificante per gli autolesionisti del junk food.  Il Pd, rigoroso nel pleistocene, oggi non disdegna la sciatteria del cibo tanto al pezzo e se ne fotte della contaminazione acqua-vino, evoluzione darwiniana al contrario. Da Pci a Pd. Dell’originale è rimasto poco o nulla. Più nulla che poco. Metamorfosi inarrestabile trova nel «D’Alema di’ una cosa di sinistra», invocato da Nanni Moretti in una scena cult di Aprile (1998), la sintesi del cambiamento della politica e dei partiti. Meno attento nella cernita delle materie prime, indifferente alla mancanza di certificazione d’origine controllata e all’assenza di additivi, da ristorante stellato, il Pd si è auto declassato a mensa aziendale. Una regressione irreversibile. Partito identico agli altri, si è normalizzato al ribasso. Cottarelli non è Jean-Claude Van Damme o Jason Statham che da soli ribaltano il mondo. E neppure un terzino roccioso. È un Tom Hanks meno carismatico e in difficoltà
all’arma bianca. Un Tom Hanks in versione cremonese, accomodante e diplomatico. Più equilibrista che equilibratore. «Non ho scritto – ammette Cottarelli – il programma di Azione, ma ho coordinato il gruppo di esperti che ha preparato gli 8 rapporti dai quali poi il partito ha scelto cosa prendere per il programma. Allo stesso tempo avevo partecipato al comitato dei garanti delle agorà democratiche per il Pd, iniziativa volta a fare emergere dal basso i temi programmatici» (Corriere della sera, 19 agosto). Come figaro. Tutti mi vogliono, tutti mi cercano. E lui non si tira indietro.

Il lavoro sporco per formare il casting ha avuto un maggior risalto mediatico per il Pd, rapido a ufficializzare i nomi dei propri portabandiera con alcuni giorni d’anticipo rispetto ai contendenti. La comunicazione ha dato la stura alla rabbia dei delusi nazionali e locali. Passati dallo stato di possibili unti del signore a quello di incazzatissimi sans papiers della politica, scippati dai sogni di gloria, i traditi hanno rotto il vaso di Pandora e vomitato fiele in abbondanza sugli architetti delle liste. Indirettamente sul Pd e sui suoi vertici. I paracadutati da Roma in collegi periferici sicuri e i paraculi raccomandati esistono da sempre e, di conseguenza, anche i malumori dei fottuti non sono una sorpresa.
La novità è la protesta veemente e amplificata dai media. All’epoca del centralismo democratico del Pci e della balena bianca Dc padrona dell’Italia, le proteste si limitavano a mugugni senza eccessiva risonanza. Duravano il tempo di concordare con i potenti del partito l’assegnazione di un incarico più o meno prestigioso e remunerato, contropartita per il sacrifico d’essere stati appiedati e impediti a raggiungere la capitale. Altra cultura. Altro stile. «Ho accettato – ha tuonato Stefania Bonaldi, ex sindaco di Crema e candidata al Senato
in posizione non eccelsa – nonostante  i limiti di una legge elettorale poco rispettosa degli elettori e superficiale e nonostante una composizione delle liste che, in troppi casi, ha mostrato  la sfacciata prepotenza dei baronati e l’arroganza delle correnti, episodi di
familismo persino offensivi, alcune pluri candidature studiate per alimentare favoritismi, una diffusa mortificazione del principio di territorialità». (vittorianozanolli.it, 18 agosto).

La legge elettorale in vigore è il Rosatellum. Approvata nel 2017, prende il nome del relatore Ettore Rosato, allora deputato piddino di peso, passato a Italia viva nel 2019. Se è una fregatura, il Pd è il primo imputato. Ma se è un bidone lo era anche negli anni precedenti, ma nessuno si è stracciato le vesti per modificarla. Non serve aggiungere altro. È già un commento. Se la composizione delle liste rispecchia la dichiarazione di Cottarelli e la descrizione della Bonaldi, e non c’è motivo per non credere a entrambi, viene spontaneo chiedersi: perché
votare? Ma anche, per chi votare? E turarsi il naso non è sufficiente. Nella giungla non si sopravvive senza un po’ di coraggio. Occorre scegliere. Senza paura. La speranza è l’ultima a morire e migliora la vita. E l’Italia.

 

Antonio Grassi

2 risposte

  1. La cosa divertente (o patetica?) è che oggi ci si strappa le vesti per la fiamma tricolore nel simbolo di FDI, ma nessuno dice niente sui tristi attrezzi (falce e martello) che, a dispetto di tante nefandezze, ancora sono sbandierati con fierezza da alcuni partiti che si definiscono (vero ossimoro) democratici!

  2. Occorre scegliere. La speranza è l’ultima a morire…aggiungo Amen e così sia.
    Ne parliamo il 26 settembre, secondo me con enormi sconforto e delusione civica. Comunque vada, siamo a livelli miserevoli. Un triste gioco a scacchi in cui la politica delle idee è morta, sostituita da slogan e figuranti acchiappavoti.
    E il popolo? Danno collaterale, non può capire gli alti disegni… tacera’, con qualche bonus in più.
    Destra, sinistra… Aveva ragione Gaber.

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