Ecoterroristi dei camini, l’ambientalismo colpisce i più deboli

24 Ottobre 2022

GLI EDITORIALI DI ADA FERRARI

Ha pochi eguali quanto a severità l’editto con cui il governo lombardo insediato al Pirellone vieta a impianti di riscaldamento privi di adeguata certificazione l’utilizzo delle famose biomasse, fra cui ovviamente figurano i suggestivi ceppi di abete che hanno regalato calore e allegria a tanti Natali della nostra vita. Per i trasgressori sanzioni fino a 5000 euro. Che fare? Per i disciplinati è tempo di adeguarsi. Per i più temerari è invece il tempo di prepararsi alla clandestinità. Apprendo di sceneggiature in tutto degne di un Totò o un Pupi Avati. Ogni particolare dell’impresa è stato ingegnosamente pianificato: pannelli di cartongesso, rimuovibili al calare delle tenebre, pare risultino perfetti per tamponare il vecchio camino di casa suggerendone, anche al più callido dei controllori, un lungo disuso. Peccaminose stufe a legna, drappeggiate di raso come vetuste matrone, vengono travestite da altarini domestici carichi dei ritratti dell’intero clan familiare, dai pronipoti ai trisavoli tutto fa brodo. Quale mano sacrilega oserebbe allungarsi su tanta ‘pietas’ domestica per procedere a più attente verifiche? La loro mano, ovviamente. Quella dei Grandi Inquisitori che, con delicato eufemismo, ci vengono presentati come funzionari e ispettori ansiosi di fornirci a titolo gratuito benevola consulenza domiciliare. E parliamo di professionisti del paranormale in grado di captare l’ultimo refolo di fumo di un camino spento da tre mesi. Specificamente addestrati per la caccia agli ecoterroristi del tronchetto, si sono formati sui manuali della Santa Inquisizione di rito Spagnolo: stesse tecniche investigative, stessa implacabile arte di estorcere la confessione. Tutto secondo il copione, tranne il rogo finale del condannato, evidentemente assimilato a combustione illecita di biomassa. Addio privacy: occhi del Grande Fratello puntati sui nostri tetti e comignoli da cui passa la fumante prova del reato. Sanzioni da 5000 euro fanno gola all’erario che spia nell’ombra la prima fatale scintilla: ‘Un bel dì vedremo spuntare un fil di fumo’.

Ma, in fondo, va bene così. Tutto, pur di difendere l’ambiente. Già. Peccato che una Lombardia così severa guardiana della qualità dell’aria si tenga ben stretto il succulento business dei suoi 13 inceneritori dove brucia rumenta a tutto spiano assicurando lauti profitti sia ad aziende private che all’opaco e vorace universo delle società partecipate. Alla Lombardia afferiscono i rifiuti non solo locali ma di gran parte dell’Italia centro meridionale: assai ballerini i dati riguardo a quantità, provenienza e natura dei materiali ingeriti e reimmessi in quel cielo di Lombardia che a Manzoni ancora appariva “ così bello quand’è bello, così splendido, così in pace”. Ma ‘pecunia non olet’.

Che il potere predichi bene e razzoli male è cosa vecchia quanto il mondo ma, in questi tempi grami, risulta particolarmente indigeribile. E’ il caso di Cremona che in nome della ‘rigenerazione urbana’, imprecisato succedaneo della desaparecida smart city, sta programmando di chiudere al traffico automobilistico anche corso Garibaldi e corso Vittorio Emanuele. Ma, guarda caso, presenta poi come magistrale colpo messo a segno per la promozione del territorio uno sciagurato polo logistico in via Mantova destinato a divorare 123mila mq di verde attuale, agricolo e boschivo. Stime attendibili prevedono che ci regalerà 1600 movimenti giornalieri di mezzi pesanti, 160 transiti di camion di media stazza, per non dire del resto: moltiplicazione di polveri sottili, disboscamento destinato a potenziare la desertificazione che ci sta sigillando in una mefitica bolla di sete e veleni.

A fronte di scelte locali e regionali di questo genere, riesce francamente difficile definire ecoterrorista un poveraccio che nel rigore invernale tenta di contenere i costi della bolletta del gas ardendo qualche ciocco di materiale legnoso. L’incontrovertibile evidenza del cambiamento climatico, le cui avvisaglie erano peraltro note da qualche decennio, amplifica le contraddizioni, mette a nudo i ritardi di classi dirigenti -governi, sindacati, media- che non hanno saputo o voluto leggere il processo in atto e mettere in campo strategie di risposta graduali, coordinate ed efficaci. E’ mancata un’intelligenza strategica unificante in grado di investire sia sul sistema produttivo, precondizione di qualunque transizione ecosostenibile, sia su quel patrimonio immateriale ma strategicamente decisivo che è la mentalità collettiva e l’educazione scolastica. Si è blaterato di iniziare bambinetti di sei anni ai misteri della ‘fluidità di genere’ e non si è adeguatamente assicurata l’urgenza primaria di istruirli a corretti comportamenti individuali riguardo a beni come acqua, terra e aria. Quando poi con l’avvento dei pentastellati il problema è esploso nell’arena politica, si è tradotto in proposte tutte curiosamente funzionali agli interessi della potenza economica cinese. Cina ci cova? Di certo, Cina ci prova. Errori, tanti.  Misure attentamente ponderate, poche. La strombazzata precettistica sull’uso preferenziale dei mezzi pubblici , per esempio, si è accompagnata a scelte di sostanziale incentivo dei mezzi privati: collegamenti su gomma falcidiati, tratte ferroviarie destinate ai pendolari abbandonate a vergognosa inefficienza. Idem per la scelta di favorire la transizione dal commercio cittadino di vicinato ai mega centri commerciali extraurbani raggiungibili solo coi mezzi privati. Ma ormai da qualche parte bisogna pur cominciare a metter mano al disastro e ciascuno, in ordine sparso, ci prova. Il sindaco di Milano Sala vieta l’ingresso nella famosa zona B ad alcune categorie di veicoli. E cresce la lista dei ‘no tu no’. Vuoi scaldarti? Cambia la stufa. Vuoi entrare in città? Cambia l’automobile.

D’accordo, da qualche parte bisogna pur cominciare. Ma chissà perché la bastonatura comincia sempre dalla parte del più debole. Con quale rischio? Di un corto circuito che induca le fasce più ferite dalla crisi a vedere nella tematica ambientale qualcosa di discriminatorio e punitivo, l’ennesima fisima di quelli che mangiano bio e abitano in quartieri ztl. Invece di guadagnare il necessario consenso collettivo alla causa ambientale, così facendo lo si aliena.

Comunque la si veda, il compito che il governo neo insediato è chiamato ad assumersi in materia di transizione ecologica è spaventoso. Un calvario in cui, a ogni stazione, il conflitto fra posti di lavoro e salute, economia e ambiente si farà più aspro e stringente. E non è forse un caso che, a barile delle risorse pubbliche raschiato e a occasioni di bottino predatorio e clientelare drasticamente ridotte, tocchi a una donna caricarsi la croce sulle spalle e avviarsi al martirio.

 

Ada Ferrari

4 risposte

    1. Ringrazio, ma fin che i generi esistono, le confido che a ‘bravissimo’ preferirei un ‘bravissima’.

  1. un amico mi diceva che la giustizia è quell’escamotage inventato per fregare chi può essere fregato. Nell’ecologia questo principio sembra essere coniugato all’ennesima potenza

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