Edoardo Raspelli: i miei primi 50 anni di giornalista

6 Agosto 2021

Erano le 7 del mattino di lunedì 26 luglio 1971, 50 anni fa.
Vestito completo, giacca e cravatta, varcavo la soglia di via Solferino 28,la stretta porta a vetri che immetteva al Corriere della Sera ed al Corriere d’Informazione (la sua edizione pomeridiana) come dipendente: era  il mio primo giorno di lavoro come ‘praticante giornalista’. In tasca la lettera di assunzione del direttore comune, Giovanni Spadolini (che sarebbe diventato presidente del Partito repubblicano, presidente del Senato e capo del Governo).
Al secondo piano, nello studiolo che si affacciava sullo stanzone della cronaca, mi aspettava il capo cronista, Giovanni Raimondi (fratello del sindaco di Sesto San Giovanni e marito della grande artista Federica Galli, le cui incisioni avrei trovato, un po’ di anni dopo, sui muri del ristorante Cantarelli a Samboseto di Busseto, Parma).
Nello stanzone, due scaltri e grandi cronisti (e letterati) Luigi Barbara (critico teatrale anche del Corrierone) e Mario Perazzi, cognato di Oriana Fallaci.
Fu il vice capocronista, Franco Damerini, che mi diede, scherzando, il primo ordine: ‘Fai un salto con il fotografo in via Statuto, all’Ufficio d’igiene’.
Chiamai l’autorimessa ed il servizio fotografico e guida (si fa per dire: era il mio primo giorno di lavoro) il fotografo Peppino Colombo a riprendere la fila di persone che si facevano vaccinare contro il colera che imperversava in Spagna, la meta delle loro vacanze.

26 LUGLIO 1971
IL DELITTO DELL’UNIVERSITA’CATTOLICA

Ore 7.30: nel cruscotto della macchina squilla gracchiando il radiotelefono (grande come una valigetta): ‘Vai al volo all’Università Cattolica, in largo Gemelli’.
Vicino all’entrata principale, nella facoltà di Scienze Politiche di cui era preside Gianfranco Miglio (il futuro ideologo della Lega Lombarda di Umberto Bossi) viene trovata uccisa con 33 coltellate una neo laureata, Simonetta Ferrero. In quegli anni i cronisti di nera dovevano essere: ‘orfani, scapoli e figli di puttana’: con rispetto parlando, Peppino Colombo si arrampica su una cancellata e riesce a fotografare il lago di sangue lasciato dalla poveretta.
Un delitto mai risolto di cui porto un altro tragico ricordo: nella chiesa all’angolo con via Osoppo dove Simonetta Ferrero viveva con i genitori, nel silenzio terribile di tutta la cerimonia funebre, l’urlo straziato di un’amica: ‘Simonettaaaa….’ che ho ancora nelle orecchie.
‘Il tuo lavoro di cronista è la cosa più importante della tua vita. Se quando vieni al giornale vedi per terra, per strada, il cadavere di tuo padre, prima vieni in redazione, poi torni da tuo padre’. Questi erano i dettami, allora, negli Anni Settanta: piedi scarpati sulla scrivania (come in Quarto Potere), sulla scrivania l’Olivetti, nei cassetti la bottiglia di whisky e le carte da poker…
Ma che squadra, che squadre al nostro secondo piano e sotto, al primo ed al terreno: Giovanni Mosca, Max David, Egisto Corradi, Dino Buzzati e poi altri ragazzi accanto a me: Walter Tobagi, Gianni Mura, Vittorio Feltri, Ferruccio De Bortoli, Paolo Mereghetti, Massimo Donelli, Gian Antonio Stella, Gigi Moncalvo (una squadra di futuri direttori di giornali e di televisioni)…
Erano gli Anni di Piombo. Sparavano tutti: polizia, carabinieri, studenti di destra, studenti di sinistra; di quanti omicidi, di quanti rapimenti mi sono occupato?
Sono stato il primo giornalista ad arrivare, il 17 maggio del 1972, in via Cherubini, davanti alla pozza di sangue del commissario Luigi Calabresi, e poi gli omicidi di Valentina Masneri Tribolati (di cui si è occupato di recente Andrea Galli sul Corriere della Sera), Carla Saronio, la sartina di Giussano e ragazze rapite e mai tornate come Laura Orsi e Cristina Mazzotti. E poi il mio amico poliziotto Sergio Bazzega, ucciso a Sesto San Giovanni  dal brigatista Walter Alasia, l’agente Antonio Marino (dilaniato in via Bellotti, a Milano, da una bomba SRCM lanciatagli dal figlio del campione mondiale di boxe Duilio Loi), Giangiacomo Feltrinelli, Roberto Franceschi, sparato da un poliziotto davanti alla Bocconi (al Policlinico, quando con tutta la delicatezza del caso chiesi alla sua mamma che cosa fosse successo, mi sputò addosso). E poi l’orefice Pierluigi Torreggiani, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, Sergio Ramelli

CRONISTA IN ERBA TRA ERRORI E FIGURACCE

E ne facevo di errori, imparando a diventare giornalista (e cronista in particolare): in via Albricci i dimostranti avevano devastato le vetrine di una delle tante compagnie aeree. ‘Di quale si tratta?’ mi chiese Ettore Botti, futuro marito di Isabella Bossi Fedrigotti, giornalista e celebre produttrice di vino. Gli risposi ‘MEA MEA’. Scoppiò a ridere e gli sberleffi furono infiniti, per settimane: MEA era una sola, Meadle East Airlines. Le vetrine erano due e la parola, evidentemente, si ripeteva due volte.
Altra figuraccia. Fuori dall’Ospedale Ortopedico Galeazzi, bruciano un’autobotte e 6/7 automobili. Da reporter, dal posto racconto tutto all’estensore chiuso in ufficio, e commento, più o meno: ‘Non è successo niente’. Quel ‘niente’ di notizia finisce a nove colonne in prima pagina, ovviamente.
Altra figuraccia. Vado con il solito fotografo (che mi fa da balia) Peppino Colombo in piazza Mercanti: di notte hanno distrutto con una bomba la lapide di partigiani. Arrivo all’alba. A chi chiedo? ‘Chiedi a quei due signori…’ mi suggerisce il fotografo. Li avvicino e domando. Quelli a loro volta mi domandano perché lo chiedo proprio a loro. Rispondo che me l’ha suggerito il fotografo. Mi danno notizie con cortesia. Li ringrazio: erano il questore di Milano, Ferruccio Allitto Bonanno ed il capo dell’ufficio politico, Antonino Allegra.
Da cronista recensivo in quegli anni la Guida Michelin che si guardava bene dal comunicare i ristoranti bocciati, quelli che perdevano la stella, ma si limitavano solo agli applausi. Da cronista (e carognetta) prendevo la guida appena uscita e quella dell’anno precedente, confrontavo ogni pagina e pubblicavo promossi e bocciati, creando scompiglio, sensazione e facendo aumentare le copie del Corriere d’Informazione.
Fu così che il direttore Cesare Lanza, nel 1975, diede una svolta alla vita del vostro cronista: ‘Vai nei ristoranti, mangi, paghi, che poi ti rimborsiamo noi; ma voglio anche i ristoranti cattivi’. A lui si deve il fatto che io abbia creato per primo, in Italia, la critica vera, anche quella negativa, alla ristorazione (mentre, 11 anni dopo, su La Stampa, unico al mondo, creai io quella agli alberghi…).

LA CONDANNA A MORTE DA PARTE
DI FRANCIS TURATELLO

Il ‘Faccino nero’ con cui bollavo, con nomi e cognomi, i ristoranti cattivi, mi procurarono alcuni grattacapi: telefonate anonime con insulti e minacce e in più una corona da morto sotto casa con su scritto ‘Al nostro caro Edoardo’, inviata (lo scoprii dopo) dallo Château d’Avignon di via San Maurilio, a Milano, dove cucinava la mamma di Duilio Loi. Risposi in prima pagina che ringraziavo il ristoratore o la ristoratrice che me l’aveva mandata ma che non dovevano preoccuparsi: ‘La vostra cucina è sicuramente fetente ma non mortale’.
Il pericolo di essere ammazzato dai sicari del capo della malavita Francis Turatello perché il mio faccino nero era andato al suo ristorante, La Vecchia Milano.
‘Al Rigolo ho visto pulire le forchette con le mani’: Mario Pancera fece il titolo (‘L’hai scritto tu, Raspelli, nel testo’ rispose alla mie perplessità) sulla super mensa dei giornalisti del vicino Corriere e causò la fine della mia collaborazione al Corrierone. Il suo direttore, Franco Di Bella, scrisse la lettera di protesta dei patron, i fratelli Silvano e Silverio Simoncini
Chiuso il Corriere d’Informazione, il 15 dicembre 1981, dal giorno dopo il povero Livio Caputo mi fa scrivere su La Notte. Nel 1984 Pietro Giorgianni uccide quasi tutti i collaboratori, poi chiude il quotidiano. Collaboro alla Domenica del Corriere (per Pierluigi Magnaschi il più bel servizio della mia vita: cameriere in incognito all’ hôtel ABC di Miramare di Rimini, fotografato dal sommo fotografo Evaristo Fusar), Epoca, Gente Viaggi, Gente Motori e, infine, alla Stampa.
Poi la radio con Roberto Rocca Rey da Pier Quinto Cariaggi (agente di Frank Sinatra e marito di Lara Saint Paul), la tv (la RAI 2 di Giovanni Minoli  a Che fai, mangi? con Anna Bartolini e Carla Urban, poi sostituita da Enza Sampò; Piacere RAI 1 con Toto Cotugno e Simona Marchini, Eat Parade con Bruno Gambacorta, direttore Clemente Mimun, Melaverde su Rete 4 e Canale 5 e a settembre 2021 L’ITALIA CHE MI PIACE-IN VIAGGIO CON RASPELLI prodotto dal celebre paroliere Fabrizio Berlincioni per Canale Italia, Sky, Canale Europa, AmazonTv, Samsung TV…
Ma questi 50 anni di giornalismo sono iniziati ben prima del 26 luglio del 1971.
Il mio esordio fu nel gennaio del 1965,a 15 anni, in quinta ginnasio, sul Parini Press, il rivale moderato, diretto da un certo Francesco Cavalli Sforza, rivale  della ‘sinistrorsa’ Zanzara: raccontavo le mie incursioni come ‘giornalista’ in tribuna stampa e negli spogliatoi di San Siro.
Poi, nel gennaio del 1968, in seconda liceo, su La Voce del Collegio Rotondi sulla struggente visita all’Istituto La Nostra Famiglia di Bosisio Parini.
Ma il boom è il 1969: un articolo su Corrado Alvaro per Il Giornale Letterario del mio padrino di battesimo, l’editore Mario Gastaldi, una notiziola siglata sulla Libertà di Piacenza e infine, con scaltrezza, l’esordio al Corriere della Sera.
Era morto il papà del celebre giornalista sportivo del Corriere Claudio Benedetti che era stato direttore di mio padre al giornale fascista La Scure. Con bella faccia tosta una sera busso al portone carraio di via Solferino 28 su cui si apre lo sport, sfioro il celebre e futuro direttore dell’Informazione, Gino Palumbo e porto a Benedetti un articolino in cui racconto del centro tecnico federale di tennis di Pievepèlago (Modena) da me frequentato dai 12 ai 17 anni accanto ad Adriano Panatta.
Benedetti mi dirotta alla pagina Tempo dei Giovani da quello scopritore di talenti che fu  Mario Robertazzi (al suo fianco Gaspare Barbiellini Amidei Raffaele Fiengo Giulia Borgese Cesare Medail Adriana Mulassano…). Esce come ‘Un lettore ci scrive’ il mio primo articolo ,il 23 settembre 1969. Il secondo, sulle classi di neve dell’Università Cattolica, me lo pagano un’enormità (700-800 euro di oggi che spendo subito nei ristoranti).
Comincio con lo sport, con Gazzetta di Modena, Match Ball e Corriere d’Informazione. Il 9 luglio del 1971, 50 anni fa (sic!!!) sono in Statale per i miei primi due dei sette esami in tutto che sono riuscito a dare a Lettere Moderne: 110 e lode in Storia dell’Arte con la grande Anna Maria Brizio e 110 in Critica d’Arte con il sommo Marco Rosci: mi chiamano lo stesso giorno al Corriere e  due settimane dopo comincia, con il delitto dell’Università Cattolica, la mia storia di giornalista .

Edoardo Raspelli

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