Effetto serra già noto oltre un secolo fa

25 Marzo 2021

Dicevamo nel precedente articolo che nel XX secolo proliferano le associazioni naturalistiche a difesa dell’ambiente e degli animali e degli uccelli in particolare e, dal 1950, i movimenti contro i rischi del nucleare bellico.
Storicamente molto interessante un documento del 1912. Da circa 140 anni era a pieno regime la prima era industriale resa possibile dall’impiego del carbone quale fonte economica a basso costo e di facile reperibilità. Un’antica testata giornalistica neozelandese, la ‘Rodney & Otamatea’, il 4 agosto di quell’anno riportava il seguente articolo ammonitore: ‘Obiettivo di consumo che influisce sul clima. Le fornaci del mondo bruciano ora circa 2.000.000.000 di tonnellate di carbone all’anno. Quando questo è bruciato, unendosi all’ossigeno, aggiunge all’atmosfera circa 7.000.000.000 di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Ciò tende a rendere l’aria una coperta più efficace per la terra e ad aumentarne la temperatura. L’effetto potrebbe essere considerevole in pochi secoli’.
Soltanto un errore di stima: non in pochi secoli, ma in pochi decenni.
E venne l’automobile, la macchina umana che ai giorni nostri è causa nell’UE di circa il 27% delle responsabilità delle emissioni di gas serra. E’ stato un successo industriale globale favorito in Italia al suo nascere dal movimento culturale del Futurismo che trovava nell’automobile e nella velocità la esaltazione della macchina quale primaria manifestazione della nuova creatività artistica e metafora dell’esistenza, simbolo, in definitiva, di un progresso senza morale.
1886 in Germania, a Karl Benz viene rilasciato il brevetto per la sua ‘Patent Motorwagen’, la prima auto a combustione interna, con propellente il ligroin, un solvente a base di petrolio (allora reperibile solo in farmacia).
1896, Italia, la ditta Miari e Giusti di Padova costruisce le prime automobili a tre e a quattro ruote a benzina ideate da uno scienziato italiano, il veronese Enrico Bernardi.
1899, a Torino nasce la F.I.A.T., Fabbrica Italiana Automobili Torino.
Se però qualcuno pensa che le scelte della politica stessero iniziando ad essere consapevoli della insostenibilità della situazione creatasi con l’aumento di fenomeni meteo estremi, sbaglia e di grosso. Quando venne pubblicato su Le Figaro il Manifesto del Futurismo (20 febbraio 1909), in Italia circolavano circa 5.000 automobili. Nel movimento del Futurismo l’entusiasmo per la modernità assume il carattere di elogio della velocità ed esaltazione della macchina, prima tra tutte l’automobile.
In Francia, dove era nata l’industria automobilistica europea, ne circolavano molte. L’automobile era ancora una presenza marginale per il cittadino comune, tuttavia come era avvenuto con l’aeromobile, essa rappresentava fisicamente un mondo nuovo, fondato sulla tecnologia e sul mito della velocità.
Nel 1968, oltre alla già ricordata dichiarazione pubblica che ha fatto storia, quella di Bob Kennedy sul Pil, nasceva un’associazione, non meno importante sempre dal punto di vista storico, il Club di Roma. Voluta da Aurelio Peccei, un grande e dimenticato italiano, e dallo scienziato scozzese Alexander King, questa realtà è tuttora attiva, ma purtroppo non più in Italia per l’ottusità della classe dirigente di quegli anni. Attorno ad essa, Peccei, ex presidente Fiat Argentina, riuscì a raccogliere capi di Governo e premi Nobel per rispondere ad una domanda che ormai per le menti più illuminate si faceva inquietante: il sistema economico, addirittura ‘esploso’ a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, fondato su una crescita economica senza fine dal punto di vista della domanda delle risorse e della sostenibilità ambientale, avrebbe potuto favorire un collasso sistemico e ambientale e una possibile minaccia per la stessa sopravvivenza dell’uomo?
Fu dato così l’incarico a quattro giovani ricercatori del mitico MIT di Boston di compiere uno studio di verifica su questa domanda che si concluse nel 1972 con la pubblicazione dei risultati col titolo ‘I limiti dello sviluppo’ (‘The limits to growth’), libro tradotto in 36 lingue, con 9 milioni di copie vendute. Dal 1992 quelle previsioni, sempre sostanzialmente confermate, sono oggetto di controlli decennali.
Purtroppo, l’entusiasmo per il concetto di “progresso” rese cieca la politica dei governi che diede solo ascolto all’immorale economia dei consumi.

2-continua

Benito Fiori

(ABC – Ambiente Bene Comune – La Rete)

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