4 novembre, anacronistico celebrare gli eserciti (pur indispensabili)

6 Novembre 2023

Fu il presidente del Consiglio Luigi Facta nel 1922 a ufficializzare definitivamente la ricorrenza del 4 novembre quale festività nazionale, imponendo peraltro che in ogni città italiana vi fosse una piazza o via o monumento dedicato alle cosiddette “Rimembranze”.  Un termine che oggi ci sembra un referto radiologico sulle nostre viscere ma che all’epoca aveva ben altro significato: il 3 novembre del 1918 infatti a Villa Giusti in Padova gli austriaci formavano col generale Badoglio l’armistizio che segnava non solo la fine della Grande Guerra e anche dell’noAustria Felix, e ritornavano all’Italia le “terre irredente” che tanto avevano infiammato il dibattito sull’intervento italiano in guerra. Trento e Trieste con i loro territori diventano italiani, giustificando la terribile carneficina che vide morire sul Carso e non solo migliaia di giovani incolpevoli italiani. Era vinta la quarta e ultima Guerra di Indipendenza italiana, con la leggendaria resistenza sul Piave e la straordinaria vittoria a Vittorio Veneto. Orgoglio nazionale alle stelle.

La prima celebrazione per la verità ebbe luogo già nel 1919, e fu da subito contestata e controversa: i neonati Fasci di combattimento assieme agli Arditi utilizzarono da subito la ricorrenza per celebrare la virtù militare e dare prova nelle piazze della loro determinazione, mentre di contro i Socialisti contestarono energicamente la festa: erano gli anni del Biennio Rosso e delle occupazioni delle fabbriche, e chi difendeva gli operai temeva una recrudescenza dei terribili fatti di sangue già avvenuti nelle piazze ad opera dei militari per sedare le rivolte operaie.

Tale fu il dibattito e la tensione attorno alla festa che essa venne più volte tolta e rimessa, fino appunto alla scelta definitiva di Facta nel 1922: ironia (o severità) della Storia, il primo presidente del Consiglio a festeggiarla fu proprio Benito Mussolini

Insomma il 4 novembre fin dalla sua gestazione è stata una festa estremamente dibattuta e scomoda, tanto che per farla digerire ai più ha finito per chiamarsi Giorno della Unità Nazionale  e delle Forze Armate, con queste ultime non a caso messe alla fine: celebrare la forza armata è sempre qualcosa di molto difficile, e mai lo è stato tanto come nella società occidentale contemporanea che è certamente la più anti militarista e pacifista che si ricordi.

Oggi che la parola PACE con la bandiera arcobaleno è diventata praticamente una icona pop più della Marylin di Andy Wharol celebrare gli eserciti e la guerra appare molto più che un anacronismo, è quasi un controsenso incomprensibile.

Ci pare quasi incredibile che nel 2023 si debbano ancora celebrare gli eserciti, quando vorremmo un mondo dove essi non dovrebbero più esistere: non è un caso che a New York, che di certo non è la città più tranquilla del pianeta, l’ex sindaco De Blasio fosse addirittura arrivato a proporre la sostituzione dei poliziotti con gli psicologi con tripudio generale dei liberals (e ovviamente anche dei delinquenti …).

Battute a parte, il contesto internazionale negli ultimi due anni ci ha mostrato qualcosa che pensavamo impensabile: due guerre di terra combattute come 80 anni fa e che hanno messo tutto il pianeta in stallo, l’ Ucraina e la Palestina, dove le scelte militari di Putin e Hamas hanno sbalordito il mondo facendosi beffe di tecnologie avveniristiche e strategie social media. E questo ha immediatamente messo in evidenza la totale inconsistenza politica dell’Europa sullo scenario internazionale: senza forza militare nessuno ti dà retta.

Ma per noi europei, che ci siamo fatti la guerra per secoli e non ne possiamo veramente più, chi usa la forza bruta e militare passa immediatamente dalla parte del torto, e lo stesso sta accadendo a Israele, che reagendo militarmente é passato in poche ore da vittima a carnefice, scatenando una ondata di antisemitismo impressionante come non si vedeva veramente dagli anni ’30 e una altrettanto impressionante (e a mio avviso anche piuttosto incauta) vicinanza al mondo arabo e alla Palestina.

Insomma in Occidente chi ricorre alle armi è out, senza possibilità di appello, e dunque celebrare gli eserciti sembra veramente qualcosa da non fare più.

Eppure, proprio quanto accade in Ucraina e Palestina ci dimostra che la violenza fisica è dentro l’uomo: non a caso il grande Stanley Kubrick mise proprio all’inizio del più avveniristico dei suoi film, Odissea nello spazio, degli uomini-scimmioni che si ammazzano spaccandosi il cranio brandendo delle ossa come armi. Siamo in fondo ancora quegli scimmioni incivili?

No. Ma quegli scimmioni, o almeno una piccola traccia di loro è sempre in agguato dentro di noi, anche nell’era del controllo totale di internet e delle guerre mediatiche e commerciali (che sempre guerre sono, ma ci paiono più civili…), basta che Putin usi i carrarmati o Hamas i deltaplani e gli scimmioni tornano a farla da padroni, e contro la violenza fisica occorre un argine fisico. Ecco perché servono gli eserciti e molto probabilmente serviranno sempre, per tenere a bada lo scimmione che è in noi.

Piaccia o no, quando uno qualunque di noi dà spazio allo scimmione che è in lui, occorre una forza deterrente che lo renda incapace di far del male agli altri.

Diceva il maestro Jedi Yoda che non ci sono grandi guerrieri perché la guerra non fa nessuno grande, e nella Bibbia è scritto che il Male sta accovacciato davanti alla nostra porta, ma noi possiamo non farlo entrare: sarà anche vero, ma temo che fin quando esisterà l’uomo dovranno esistere per forza anche gli eserciti.

 

Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

cremonasera.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *