Guerra e corruzione: l’Iliade insegna ancora (per chi la voglia rileggere)

2 Giugno 2023

Nel lungo antefatto che precede il racconto dell’Iliade – nove anni di assedio- non succede proprio niente, come fa notare Giovanni Nucci nel suo bel libro GLI DEI ALLE SEI. Cioè non succede niente da un punto di vista narrativo: nove, interminabili anni in cui nei territori circostanti  si compiono  razzie e saccheggi, grazie ai quali i greci raccolgono un ricco bottino, mentre Troia resta inviolata.

A questo punto sorge il sospetto che le strategie approntate dai greci non siano all’altezza della situazione, cioè gli achei non sanno prendere le decisioni giuste, anzi, non sanno prendere alcuna decisione, preferendo stagnare in una guerra di logoramento.  

D’altro canto ciò che appare evidente è il fatto che da questo immobilismo Agamennone e i suoi “eroi” traggono ingenti ricchezze. Solo in seguito, quando gli dei (e non gli eroi) vogliono,  Achille torna e il racconto decolla; diventa cioè  IL RACCONTO che ha ispirato i grandi  scrittori  nelle epoche successive. 

Non penso di essere l’unico  a ravvisare  l’inquietante analogia con i tempi in cui viviamo: allora come ora  ci troviamo di fronte ad una classe dirigente – sedicente tale –  che pensa che per soddisfare il bisogno di progresso basti incrementare lo sviluppo tecnologico, senza tenere conto degli aspetti sociali e culturali che, anzi, vengono ignorati, ma senza i quali non si può parlare di progresso. 

E poi,  allora come ora, assistiamo allo spettacolo indegno dell’immobilismo politico – inteso nell’accezione più ampia del  termine – finalizzato ad arricchire chi  è già ricco, cioè politica e denaro diventano sinonimi.

Al pari dei moderni amministratori, Agamennone non è né uno stratega capace (oggi verrebbe definito un tecnico) poiché  aspetta che si compia il volere superiore, e tanto meno  un politico scaltro, vista la sua arroganza  che gli impedisce di mediare (l’ira di Achille); alla fine  questa sua inefficienza viene in un certo senso premiata con l’accumulo di un’ingente fortuna. 

È disarmante constatare come negli ultimi tremila anni l’uomo  abbia recitato sempre lo stesso copione senza possedere la forza di cambiarlo, nemmeno in parte. 

Concludo questa mia considerazione ricordando il dialogo fra Amleto, Rosencrantz e Guildenstern:

Amleto chiede se ci sono novità.

“Nessuna, signore se non che il mondo progredisce e diventa migliore” gli viene risposto.

“Questo vuol dire che il giorno del giudizio è vicino…” è la raggelante conclusione del principe. 

Egli sa che la storia non segna alcun progresso quando imperversano corruzione e, con essa, arricchimenti smodati.

 

Giuseppe Pigoli

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