Il figlio autistico ‘confinato’ in istituto: padri e mariti soli giuridicamente

4 Ottobre 2022

GLI EDIORIALI DI ADA FERRARI

Il bell’intervento recente di Stefano Araldi su questo Blog mi ha tanto emotivamente coinvolta da indurmi a intervenire brevemente pur nella personale estraneità sia alla materia giuridica del diritto di famiglia che a quella medica palesemente coinvolta nel caso in questione. Non sono infatti estranea alla comune condizione umana e a quei tremendi passaggi della vita in cui ti poni, magari rispetto a un anziano ingestibile da avviare a una residenza assistita, la stessa domanda che l’ospite si è posto andando al nocciolo morale del problema: “quale bene siamo sicuri di aver tutelato?” A maggior ragione se, come nel caso esposto, il bene in questione è quello di un giovane, fisicamente integro, in parte recuperabile a relativa normalità di vita, ma sciaguratamente segnato da quella mutilata capacità di relazionarsi col mondo che è l’autismo. Tre soggetti in gioco. Una madre che decide di allontanare da sé un figlio, rifiuta ogni sostegno utile ad alleggerire il suo indubbio carico di fatica quotidiana e contemporaneamente nega alla figura paterna il diritto a intervenire sulla decisione e a cercare di comune accordo una mediazione alternativa. Il padre invece, pur a costo di rivoluzionarsi la vita e sfidare l’impossibile, intende strappare il figlio alla reclusione perpetua in un istituto per disabili, nella generosa e amorevole convinzione che custodirne il fragile mondo vitale, con la sua storia pregressa di relazioni, affetti e consuetudini domestiche, corrisponda al suo vero bene. Altamente probabile che in sede di verdetto finale il parere materno sia volontà giuridicamente prevalente. Il che suggerisce un paio di considerazioni.

La prima è la malinconica constatazione che i titolari di delicatissime sentenze, da cui come in questo caso può dipendere la qualità di tutta la vita futura di un giovane soggetto, troppo spesso non sembrano avere né il tempo, né la voglia, né l’intelligente scrupolo di inoltrarsi nello specifico del contesto che sono chiamati a giudicare. Più semplice affidarsi agli automatismi di una normativa che, se proprio la madre non è completamente indifendibile, le consente di uscire vincente da qualunque contenzioso familiare.

Seconda considerazione: il fatto che tanto e troppo spesso sopraffazione, ingiustizia e violenza fisica e morale colpiscano il genere femminile non significa che in altri casi della vita all’altra metà del cielo non sia data generosa, a volte discutibilmente generosa, occasione di rifarsi. Nessun dubbio, ovviamente, che esista un Terzo mondo delle donne da indagare, portare in luce e denunciare con tutta la forza possibile affinché siano adeguatamente protette, garantite e vendicate anche attraverso un inasprimento delle pene attualmente previste per persecutori e carnefici.

In una logica di giornalismo di denuncia meritevolmente rivolto anche a chi non ha mezzo e parola per difendersi, ricordo che anni fa un ciclo televisivo affrontò addirittura lo spinoso tema del Terzo mondo dei cani. C’è dunque, come è giusto che sia, attenzione per ogni sofferenza. Con una sola eccezione, a quanto pare: un ‘no, tu no’ grosso come una casa. Non mi risulta infatti che ad alcuno interessi o sia mai interessato inoltrarsi, ricavandone magari impreviste scoperte, nel Terzo mondo di quei maschi, mariti e padri, che escono moralmente, affettivamente ed economicamente a brandelli da cruente cause di separazione famelicamente gestite da spietate pitonesse del gentil sesso. Vogliamo finalmente chiamare le cose col loro nome e parlare di una solitudine giuridica tutta o quasi a carico della parte maschile là dove il diritto si occupa di quella cosa triste, complicata e delicata che sono i postumi di un matrimonio fallito e il successivo assetto delle relazioni parentali e dei ruoli genitoriali?

Nell’esemplare caso proposto da Stefano Araldi un padre non trova nella legge capacità di autentico ascolto né un minimo gancio cui aggrapparsi nella sua disperata battaglia per tenere con sé un figlio. E va dunque verso la sconfitta annunciata benché la sua battaglia non sia costruita sull’inconsistenza di un semplice stato emotivo ma, a quanto risulta, su fior di argomenti razionali ed evidenze scientifiche. Evidenze in grado di dimostrare che legami parentali e consuetudini domestiche liquidate da supponenti Sacerdoti della Scienza Medica Esatta come “guscio affettivo illusorio” rappresentano in realtà una condizione di vita e una potenzialità di recupero psichico ben preferibile al vuoto di riferimenti identitari in cui piomberebbe nell’isolamento e nell’anonimato di un ricovero. Questo genitore è quasi certamente condannato a perdere, perché in certe materie il matriarcato, o la sua retorica, possono ancora molto e può accadere che il parere di una madre pur scadente sia anteposto a quello di un padre pur ottimo. Reale o immaginario che sia, a personalissimo titolo, esprimo a questo padre la mia simpatia e il mio apprezzamento.

 

Ada Ferrari

14 risposte

  1. Sono vicina ai genitori di questi splendidi figli per i quali provo una stima profonda. Spero di essere di aiuto.

  2. non ho chiara l’alternativa all’internamento (lo chiamo così per brevità). Lo tiene il papà in casa? Esistono strutture sanitarie più “soft”? In ogni caso che decida un tribunale mette i brividi. Mi fa venire in mente Dotti Medici e Sapienti di Edoardo Bennato, che sentivo da ragazzino. Conosco Stefano e ho conosciuto anche il figlio, qualche anno fa. Mi sento male al pensiero che la situazione sia arrivata a questo punto. Non ho risposte, non ho neanche un parere. Spero che il mio saluto ti faccia sentire meno solo. Ciao

  3. Mi corre obbligo di precisare che,nel consueto ruolo di editorialista, mi sono limitata a valutazioni di natura generale suggerite dal caso proposto da Stefano Araldi. Pertanto il mio intervento non interferisce in alcun modo con le specifiche dinamiche familiari e private che coinvolgono i reali soggetti in questione.

  4. Ada Ferrari ministro ! Il dubbio…quale ministero attribuirle?…E’ un bel problema…faremmo torto a quello/i non assegnatole.

  5. Carissimo Stefano ,posso aiutarti con la comprensione e manifestare la stima che provo per te, perché con cura e dedizione vuoi vicino tuo figlio

  6. Ciao Stefano ho molta stima per quello che fai per il tuo splendido figlio, ti mando tutta la mia comprensione, un abbraccio

  7. Se la madre rinuncia (è diverso da rifiuta) di tenere il figlio, il tribunale chiede al parente prossimo, il padre, di farsi carico. Il padre si è fatto avanti?
    Il padre è realmente interessato al benessere del figlio o usa il figlio come accanimento verso la ex moglie (quante volte si vedono i figli usati in matrimoni falliti).
    Se il padre accetta, potrà usufruire dei servizi presenti e scegliere per il figlio acquisendone la tutela.
    Se il padre alza un polverone, ottiene la possibilità di occuparsi del figlio…. e poi rinuncia?
    Non contento sfoga la sua frustrazione sparando a zero su tutti i servizi?
    È sicuro che sia questa la voce da far sentire?

    1. mi tocca intervenire anche se non avrei voluto. Ada Ferrari era stata chiara ( leggere suo commento), e lo ero stato anch’io. Personalmente ritengo che sia meglio non commentare, se non si ha capito un articolo. Succede spesso sui social ahimè. Per quel che mi riguarda io avevo semplicemente fatto l’analisi di un film come già spiegato. Ma i primi a fraintendere son stati proprio coloro che mi hanno avversato. Nel caso specifico del film, la madre aveva già rinunciato al figlio, che era tutto in carico al padre. Ma poi tornò alla carica dopo una lunga assenza per sottraglielo e collocarlo in un residenziale, contro il volere del padre che voleva continuare a gestirlo. E a lei purtroppo il Tribunale diede ragione Quindi anche il suo commento è assolutamente fuori luogo. Che poi lei dica che rinunciare ad un figlio non è sinonimo di rifiutarlo, è l’ennesimo cavillo giuridico che poco o nulla ha a che vedere con la realtà vissuta ahimè soprattutto sulla pelle di questi ragazzi, e che farebbe sorridere se non fosse cosa tragica.

      1. Mio figlio non è autistico ma ha ugualmente una grave disabilità fisica ed intellettiva. L’ho adottato a 11 mesi togliendolo ad un destino di orfanotrofio o, peggio ancora, istituto per malattie mentali. Ora ha 32 anni ed è un sole per me che vivo senza marito già da 13 anni perché, viste le difficoltà di due disabili in casa ( anch’io ho una malattia neurologica rara) ha pensato bene di lasciarci in Sardegna dove viviamo, e di formare una nuova famiglia a Crema. Il giudice ci ha sottoposti ad una CTM ( consulenza tecnica d’ufficio) per stabilire il suo destino dopo la separazione. Io ho lottato con tutte le mie armi per non farlo tornare in istituto!! Ed ora è qui con me, con sua nonna e con gli affetti che ha potuto raccogliere tra centro diurno Anffas e amicizie infantili. Ovvio che mi ponga il problema del “ dopo di noi” dove un padre assente tenderà ad allontanare il problema chiudendolo in una struttura. Capisco e approvo l’atteggiamento di Stefano che desidera tenere accanto a se un figlio amatissimo. Un giudice ma nemmeno un genitore possono decidere di allontanare dei figli diversi ma ugualmente sensibilissimi creando in loro sofferenze che non sanno esprimere a parole. Coraggio Stefano, combatti! Sono con te… buona fortuna

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