Il filo dell’acceleratore

13 Ottobre 2023

Sabato sera in birreria. Una serata qualsiasi, di un freddo gennaio del 1984, ad abbuffarsi, al solito, di birra e patatine fritte. Guidava Leo, una Renault 11, bianca, era forte alla guida, correva come un matto, portava sempre in giro tutti e si sentiva sicuro. Era gentile e collaborativo. Un ragazzo buono. Era passato a prendere Titta, la sua ragazza, poi Mike e Carla, che si stavano fidanzando. Erano compagni di scuola. Si volevano bene. Il liceo cementava complicità e solidarietà proporzionalmente all’impegno, durissimo, che veniva richiesto. Nessuno avrebbe tuttavia mai rinunciato alla serata del sabato per studiare. Il sabato era sacro. Erano andati in un locale di Manerbio, la Volta del Diavolo, una paninoteca grande, affollata. Avevano sparato cazzate tutta sera e poi verso mezzanotte si erano rimessi in viaggio per tornare a casa. Appena salito in macchina Leo ha notato che il filo dell’acceleratore penzolava nel vuoto. “E adesso? Devo riportarvi tutti a Cremona. Come facciamo?” Mike prese in mano la situazione, si accoccolò nell’abitacolo, lato passeggeri e si allungò verso i piedi di Leo e disse: “Ogni volta che devi frenare, dimmelo, che io aziono manualmente il filo”. “Ma spegni l’autoradio”. Andava in quell’istante Careless Whisper degli Wham e a Mike dava noia. “Non ballerò più. I piedi colpevoli non hanno ritmo”. Lui, invece, voleva ballare sulla vita e dare ritmo ai piedi di Leo, o meglio ai pedali. Mike era l’intraprendente. 

La Quinzanese è stretta, il sabato solitamente trafficata, ma fra tira e molla il filo, sono arrivati a casa. Parcheggiata la Renault 11 in piazza Marconi, Mike ha poi riaccompagnato con la sua macchina a casa Leo. Un’odissea, che avrebbe segnato le loro vite. Erano affiatatissimi. 

Era l’anno della maturità, in estate avevano condiviso spezzoni di vacanza, in particolare uno spostamento da San Benedetto del Tronto a Viareggio. Nella località adriatica villeggiava Titta, guidava sempre Leo la Renault ristrutturata, con accanto Mike, prelevata Titta sono partiti per Viareggio, per andare a trovare Carla. Un viaggio bellissimo. Respiravano un senso di libertà incommensurabile, non c’erano più libri e professori, c’era solo il presente e il futuro, ma non si stavano dando troppa pena per il futuro, l’università sembrava in quegli istanti lontanissima. Erano concentrati su loro stessi, li appagava la gioia di stare insieme, di condividere piccole cose, di amarsi.

Il momento magico fu quando a cappella si misero insieme a cantare “Notte prima degli esami” di Venditti. “La matematica non sarà mai il mio mestiere”, urlava a squarciagola Titta. Non ne poteva più della matematica. Titta era sempre allegra e giocosa. Lei era l’energia. Arrivati a tarda sera a Viareggio, Carla, la riservata, timida, Carla, non c’era: era andata a fare il bagno di notte, un “eventone”, chissà dove. Non c’erano telefonini. I tre decisero di dormire in macchina. La mattina seguente Mike e Carla si sono ricongiunti. Sarebbero andati insieme a Cannes. Mentre Leo e Titta sarebbero partiti per l’Elba. Fu un’estate molto movimentata. 

L’estate della maturità è uno spartiacque. Si va verso il mare ignoto. Le coppie non si sono perse di vista. Il sabato sera era ancora il momento felice e poi c’era la discoteca la domenica, ma senza fare tardi perché poi alla mattina del lunedì bisognava partire per l’Università.

Leo e Titta sono rimasti insieme per qualche tempo. Erano inseparabili. Si volevano un bene immenso, ma mancava qualcosa. Le farfalle nello stomaco. Si sono lasciati bruscamente, ansiosi di altre esperienze, mentre i Marillion cantavano Kayleigh e sembrava davvero la colonna sonora più appropriata. “A proposito, non ti ho spezzato il cuore? Ti prego di scusarmi, ma non ho mai avuto intenzione di spezzarti il cuore, ma tu hai spezzato il mio”.

Mike e Carla invece dopo l’università si sono sposati. Il matrimonio è durato un paio di anni e poi si sono lasciati. Ma tutti e quattro non hanno mai smesso di amarsi. In mezzo ci sono state salute e malattia, insuccessi e successi, depressioni ed euforia, carriere e ambizioni e una marea di errori. Non ci sono stati figli. Forse, il vero punto dolente.

Ancora oggi si incontrano una volta all’anno, tutti e quattro in montagna a Tremosine, Valle San Michele, dove Leo ha una casa: è una vecchia locanda, con 12 posti letto, non più in attività. E’ una bicocca di tre piani, l’ultimo con una balconata, incastonata in uno sperone di roccia. Un luogo suggestivo, spartano, rétro. Mobili vecchi, divani scassati, un po’ di infiltrazioni. Tranne Carla, gli altri tre amici hanno matrimoni stabili. I quattro si vedono a febbraio, scappando dalla routine, per rinchiudersi nella loro bolla, un cerchio magico fatto di ricordi, coccole, abbracci, baci sulla testa e massaggi ai piedi. Se non si incontrassero tradirebbero loro stessi, il loro diritto alla spensieratezza, un omaggio al loro fanciullino. Nessuno di loro ha mai messo in discussione la loro amicizia. Che è forte, fortissima. E’ una forma di nostalgia, per la perdita della loro giovinezza. Rivangano vecchie emozioni: che paura la Baroli quando interrogava, ci fissava con i suoi occhi viola, ve la ricordate? Ridono a crepapelle. 

La casa non è riscaldata, tranne la cucina, girano per due giorni avvolti in piumoni, contro l’effetto “grande freddo” cercano di rubare un raggio di sole in veranda sorseggiando Porto, illudendosi per due giorni che la vita non li abbia cambiati. Che quel filo dell’acceleratore sia controllabile, come un joystick indirizzato verso il loro avatar. Per dirigersi, combattere, sfidare la morte. Un delirio di onnipotenza che vale un battito di ciglia, sono fragilissimi, si aggrappano all’ultimo sorriso, un po’ acciaccati, ma felici di incontrarsi ogni volta, come se si fossero lasciati il giorno prima, senza che nulla si sia spezzato. Un filo rosso, che racchiude il loro segreto. Si perdono e si ritrovano ogni volta, cancellando il dolore dell’abbandono. Quello sguardo rivolto all’indietro rafforza il loro presente, una luce che si accende nella polvere. Un legame che non è morto ma vive. Per aiutarsi. Sempre. I loro problemi personali ci sono. Li mettono a fattor comune. O cercano di dimenticarli per 48 ore.

Questa storia delle fughe a San Michele va avanti da dodici anni. Non c’è alcun impulso passionale, solo pulsioni innocenti. Come i bambini che si abbracciano all’asilo. Come i ragazzi che si coccolano davanti alla scuola e condividono tutto, come se non ci fosse un domani. Come uomini e donne che sono grati per l’amore dato e ricevuto. Arricchisce la loro vita. Una riconciliazione genuina che dura il tempo di una carezza, ma resta nel cuore per sempre.  

 

Francesca Codazzi

 

8 risposte

  1. Il racconto di un’amicizia vera, che dura nel tempo senza altre implicazioni, una sicurezza, un’ancora importante nei momenti di difficoltà, una presenza rara per condividere le conquiste e le gioie. Un dono prezioso che non tutti possono ricevere e che pochi sanno offrire.

  2. Bellissima. Ricorda momenti che chi più chi meno ha vissuto nella sua vita. Racconto delicato come tu Francesca sai fare.

  3. Uno stile di conduzione dell’amicizia tipico della nostra generazione. Quella fiducia incondizionata che crediamo non ci deluderà mai. In fondo, com’è bella la nostra generazione…eh Franci?

  4. Si, questa è anche ia mia idea di amicizia. Vivace, brillante e ben scritto il tuo racconto! Grazie. Mi ci sono ritrovata in parte. Sull’onda dei bei ricordi auguriamoci ancora tante estati della maturità e che ci sia sempre una cucina calda per tutti dove fare tante belle chiacchierate.

  5. Un racconto molto delicato e una bella fotografia, quella del passeggero a testa in giù che tira e molla il filo della frizione. Mi sarebbe piaciuto essere lì

  6. Si sente la spensieratezza degli anni della maturità che con il tempo diventa un rifugio, un punto fisso dove ritrovare quella leggerezza tipica degli affetti semplici e sinceri.

  7. Bellissimo racconto, letto tutto d’un fiato! Avrei voluto anche io avere un bel ricordo del liceo… ma così non è stato. Ho comunque delle care amiche che vedo appena posso quando fuggi a Mial o… o qui a Fano nuove amicizie fatte in tempi più recenti ma altrettanto valide. Ma le amicizie del liceo.. purtroppo sono sparite…

  8. In quegli anni non tutti hanno frequentato le superiori fino al 5 anno o il liceo. Chi è passato dall’esame di maturità è come se fosse diventato maggiorenne per due volte. Il passaggio, al compimento dei 18 anni, e la conferma, al passaggio della maturità.
    Con il primo ti aspetta tutta una vita, con il secondo…ti aspetta un’estate spensierata, sollevata, senza libri….
    Amori e amicizie che sono la polaroid di quegli anni….nati componendosi un poco alla volta, hanno preso forma e forza e affermazione così come una polaroid degli anni ’80 prende colore, fino ad esplodere, nitida, nei profili e nelle forme….
    Tornare una volta all’anno a ricomporre quella foto è l’audace e speranzoso tentativo di trovare conferma che, in fondo, siamo ancora ciò che eravamo.
    La foto è inesorabilmente sbiadita, ma….finché i nostri occhi, ad ogni ritorno, vedranno gli stessi colori nitidi di allora, avremo la conferma di essere ancora ciò che eravamo.

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