Il profumo delle ginestre

19 Maggio 2023

Con il riverbero del sole l’autostrada sembra invasa da una distesa d’acqua irraggiungibile. 

Fausto, un paio di Ray-Ban acquistati tanti anni prima, si mantiene sulla destra e non supera gli ottanta; Laura, accanto a lui, nonostante gli occhiali dalle lenti molto scure, è costretta a strizzare gli occhi. Una fila ininterrotta di oleandri rossi e bianchi guarnisce la sottile striscia di terra tra le due carreggiate; lungo i bordi, prima della vasta campagna, le spighe giallo sole delle ginestre, a grossi ciuffi in piena fioritura, diffondono la loro fragranza. Intorno è tutto luce e colori e il colpo d’occhio fa dimenticare l’asfalto rovinato dal passaggio di troppi mezzi pesanti. 

Dal finestrino aperto Laura si sporge; il fresco profumo dei fiori le viene incontro e con esso affiora il ricordo di quando ritrovarsi loro due, soli, era ancora una novità; di quando, insieme come adesso, lungo quella stessa strada, ogni fine settimana tornavano ognuno a casa propria. Avevano deciso così, a economia di spese ma soprattutto perché si piacevano, anche se non se lo dicevano. Lei spesso non aveva voglia di rientrare e, in questa stagione, gli chiedeva di fermarsi in corsia d’emergenza. Saltando oltre il guardrail, raccoglieva qualche spiga di ginestra e, giunta a destinazione, nel ricordargli l’appuntamento per la settimana seguente, gli lasciava due o tre steli sul cruscotto. La vita davanti sembrava lunghissima, le decisioni da prendere non erano urgenti e la forza della giovinezza infondeva la convinzione che nulla e nessuno avrebbe potuto neanche scalfirla.

«Sei pensierosa…» 

Laura si scuote, cerca una risposta plausibile. «Ho provato a piantarle tante volte…»

«Cosa? ah le ginestre.»

«Sì, ma in vaso non crescono.» 

«Quando avremo il nostro giardino potrai provarci ancora» la consola mentre la mano lascia il volante e raggiunge le sue ginocchia, accompagnata da un sorriso e da un’occhiata rubata alla strada. 

È leggera, sale verso la coscia, ma Laura non ne avverte il calore. Glielo aveva detto, tempo addietro, e poi ripetuto ogni tanto, timidamente, perché lui sembrava dimenticarsene. È tentata di ribadirlo, sa di doverlo fare, ma ci rinuncia. Gli prende la mano e la chiude tra le sue.  «Hai sempre le mani fredde» dice strofinandogliela con energia. 

La sensazione di sentirsi tagliata a metà, la certezza di non essere compresa e il dubbio che le attenzioni siano dettate da compassione, le accelerano il battito. Quello lo sente, eccome. Respirare a fondo, per disciplinarlo. E pensare ad altro. Domani ci sposiamo… Ecco un buon pensiero. 

«Fermiamoci a raccogliere qualche ginestra.» 

Lui non se lo fa ripetere e pronto accosta, scende dalla macchina e si avvicina ai cespugli. 

Mentre l’osserva staccare a uno a uno gli steli verdi più teneri da quello principale, Laura pensa al viaggio di nozze: una settimana a Parigi, quindi qualche giorno in giro per la Provenza. Fausto ha voluto organizzarlo nei minimi particolari. 

«Non è meglio qualcosa di più tranquillo?» Lei aveva in mente la Grecia, ma non voleva dirlo. 

«Non preoccuparti, penso a tutto io.»

Parole all’apparenza innocue che la fanno sentire un inutile oggetto di pregio. Un soprammobile. Come la statuina di avorio raffigurante una geisha, regalo di matrimonio della zia Sara. 

«Sarà il nostro primo viaggio insieme, deve essere memorabile» aveva aggiunto Fausto. Lei aveva annuito e si era lasciata convincere. Non era però la meta sognata quando, lungo quella stessa strada, il percorso insieme divenne più lento e sofferto, complice e segreto: un chiacchierare fitto fitto, e poi accarezzarsi, e parlarsi ancora e poi tacere, ognuno appresso ai propri pensieri.

Quando successe, avevano appena iniziato a parlare di matrimonio e di una luna di miele in Grecia perché Fausto amava l’archeologia, e Laura non c’era mai stata. 

Quando successe, la vita si sarebbe dovuta riscrivere, subito, prima che il dolore sedimentasse e il tarlo del rimpianto scavasse pericolose gallerie. Occorreva raccontare di sé, ricostruirsi. Invece, quando successe – il dolore come filo spinato tra loro – lei non volle più discutere né della Grecia né di un viaggio insieme né addirittura di loro due, insieme.

«Possono bastare?» le chiede infilando dal finestrino un mazzo di ginestre.

Laura sorride, vi affonda la faccia e il profumo le sgombra la mente. 

Pochi chilometri, una galleria e poi il mare in lontananza. Ancora dieci minuti per giungere a destinazione.

L’albergo sul lungomare ha cinque stelle. Un giovane, in elegante doppiopetto nero dai bottoni dorati, si avvicina premuroso. Fausto parcheggia e gli indica il portabagagli, quindi apre la portiera di Laura, che gli tende le braccia e si avvinghia al suo collo. Lui l’abbraccia e la solleva come fosse una bimba, la mette a sedere con delicatezza e le posa in grembo i fiori appena colti, quindi chiude lo sportello con una ginocchiata e spinge la sedia a rotelle verso l’ingresso dell’hotel.

«Sua sorella l’attende nella hall» dice il giovane, salutandola con un inchino.

Un bambino sui quattro anni corre verso di lei. «Zia, vieni in giardino con me?» dice girando attorno alla sedia a rotelle. Laura sorride, scompigliandogli i capelli appena le capita a tiro. 

«Andiamo dalla tua mamma, intanto» dice Fausto senza fermarsi. 

«Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi.» Una donna viene loro incontro. Sulle braccia nude, protese in avanti, una serie di braccialetti tintinnano a ogni passo. 

«Ce la siamo presa comoda…»

«Vuoi bere qualcosa?» dice la donna rivolta a Laura. «Io prendo un bitter.»

«Anch’io» dice Fausto, e fa un cenno al cameriere. «E un Martini con ghiaccio, grazie». 

Laura prendeva sempre il Martini con ghiaccio, prima. 

Il piccolo non smette di saltellarle accanto: «Ti sposi così fai un bambino?»

«Non è detto.»

«E invece sì. Chi si sposa fa i bambini!»

«Non sempre…» interviene Fausto divertito.

«Sì invece. Mamma ha sposato Antonio ed è nata Samantha, poi ha sposato papà e sono nato io. Vi sposate e la zia fa un bambino.»

«Non ci penso proprio» sbotta Laura, brusca, asciugandosi col dorso della mano alcune gocce di sudore sulla fronte. Guarda Fausto di sfuggita e si domanda cosa ci sia da ridere.

«Basta adesso, la zia è stanca, vai a giocare» interviene la mamma. Il bimbo non se lo fa ripetere due volte. «Ti pare il modo di esprimersi, con un bambino?» aggiunge con voce e sguardo di rimprovero. Laura non risponde. Troppe cose dovrebbe dire, da dove cominciare? E poi, lo vuole veramente? Non si può tornare indietro, al tempo in cui c’era complicità. Al tempo di prima.

Fausto le carezza le spalle, poi le stringe una mano con fare rassicurante. «Tranquilla, non è niente». 

«Ecco il Martini. E i bitter». Insieme ai bicchieri il cameriere lascia piccole ciotole con patatine, olive verdi, noccioline e pistacchi.

«Mi porgi le patatine?» dice Laura rivolta alla sorella.

«Sei nervosa? Per domani?»

«Forse.»

«Coraggio, sii felice! Hai la fortuna di sposare un uomo che stravede per te! Avete sovvertito le vostre vite, per stare insieme…»

«Eh già». Ma questo era successo prima, quando corpo cuore e cervello funzionavano all’unisono. Ora invece sembrano andare ognuno in una direzione diversa, seguendo le vie più impensate. Adesso è un’altra storia.  Adesso è non provare niente. 

Laura scuote il ghiaccio; beve a piccoli sorsi guardando il fondo del bicchiere. Aveva parlato con il medico dei suoi problemi. «Non sento le gambe».

«È normale. La lesione alla colonna è irreversibile. Gli organi non sono stati intaccati. Il ciclo è regolare e nulla impedisce di avere figli.»

«E non provo piacere» era riuscita ad aggiungere con un filo di voce.

«Il piacere nella donna è anche una cosa di testa» le aveva risposto. «Si lasci andare, non ci pensi e vedrà che gradatamente tutto tornerà come prima. Pensi eventualmente anche a un supporto psicologico.» 

Ci aveva provato, ma scandagliare la propria vita era frustrante; l’irrequietezza la portava a mangiare a dismisura e aveva perso il corpo snello ed elastico di sempre; i farmaci le causavano una sonnolenza apatica che le impediva qualsiasi idea di progetto, ogni forma di desiderio. E continuava a non sentire niente. Aveva finto di star bene, buttato le pillole nella pattumiera e cancellato il contatto dello psicologo. 

La mano di Fausto è fredda e anche sudaticcia. Se ne libera raccogliendo un pugno di arachidi nel palmo. Gli sorride. Lui la bacia sul collo che gli si offre senza riserve, e senza un brivido.

«Vado a cercare mio figlio» dice la donna rompendo il silenzio. Laura non risponde. Gli occhi chiusi, la faccia affondata contro la spalla di Fausto, sente il tintinnare dei braccialetti ed è un sollievo. Fingere, quando è sola con lui, è più facile. Domani ci sposiamo…

Le sarebbe piaciuto recitare in teatro, non nella vita. Tuttavia – lo spera, vuole crederci – se insiste in questa commedia il divario tra sincerità e menzogna potrebbe ridursi, la distanza diventare meno marcata sino ad annullarsi. Se la finzione, nella sua mente, assumesse le sembianze della realtà, sino a confondersi con essa e prenderne il posto, allora si dissolverebbero i sensi di colpa, la paura di non farcela, il terrore di essere smascherata, e verrebbe meno la necessità di fingere. Sarà convincimento, sarà accettazione, e non dovrà più mostrarsi come non è, o simulare ciò che non prova. Né di giorno né di notte. Corpo cuore e cervello sarebbero di nuovo in perfetto equilibrio.

Domani ci sposiamo…

Un respiro, e il profumo delle ginestre le giunge alle narici. Riapre gli occhi. Nel salone i raggi del sole penetrano dall’ampia vetrata che, come un’enorme lastra rovente, abbaglia e impedisce di guardare oltre. I divani in pelle, le kenzie nei grossi vasi di porcellana bianca, i quadri di arte contemporanea alle pareti, tutto ha troppa luce. Laura si sente al centro di una foto sovraesposta. Sfocata, evanescente. Fuori posto. Ma i lampadari di cristallo luccicano come paillettes di un vestito da sera e sembrano pronti per la festa. 

Domani ci sposiamo… 

«Sono stanca» dice. Vuole salire in camera e restare sola. Fausto, senza obiettare, l’accompagna all’ascensore. Chiede un vaso per i fiori. Una cameriera, sfilandole il mazzo dalle braccia, si offre di provvedere.

È circondata di gente a disposizione, non ha nulla da fare. Una statuina di avorio. 

 

Licia Tumminello

 

8 risposte

  1. Mi ha fatto sentire i brividi dalle braccia al cuore. Quanta vita vissuta traspare dalla mano della scrittrice. Realismo e sensibilità sono i toni che emergono in questo racconto improntato di verità.

  2. Il racconto presenta il classico stile di Licia: preciso,minuzioso,scorrevole che lascia trapelare anche gli aspetti più nascosti della psicologia dei protagonisti ( in questo racconto ,della protagonista).

  3. Nella spiga di una ginestra si nasconde la rinuncia. Nella spiga di una ginestra si intravede la vita. Nella spiga di una ginestra si confonde una geisha. Lei è il ninnolò da spolverare. Lui sembra non provare alcun disagio. Se lei non sente e sente quel non sentire, lui l’ama davvero?
    Bello per gli interrogatori che pone. Grazie Licia!

  4. Racconto coinvolgente.
    Forti sensazioni con aloni di amarezza che la scrittrice fa trasparire in modo chiaro anche se prevale la speranza.
    Scritto molto bene.

  5. Brava Licia, un racconto che si legge tutto d’un fiato, scritto molto bene, scorrevole, ammantato di amarezza e rimpianto, ma un raggio di speranza fa capolino fra le ginestre

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