In piazza Cadorna una magnifica strega oscurata dal famigerato totem

16 Agosto 2023

Dalle dita del morto alla mano della strega! Seducente e perturbante aggancio ad un tema precedentemente trattato. Già, ma cosa c’entra il totem di piazza Cadorna? (foto 1). Ero via quando usciva l’articolo di Boiocchi sul totem; il mio già pronto ma non pubblicabile perché  indisponibile il computer. Magica anzi stregata coincidenza e dovuta anticipazione, perché il totem c’entra e non c’entra (!?). 

C’entra perché quando una cosa viene particolarmente pubblicizzata, nel bene o nel male, tende percettivamente ad oscurare quanto le gravita attorno, compresa la strega, nel caso specifico. E in effetti anche il famoso fotografo dimostra di non averla vista, pur avendola fotografata, e per ben due volte!!  

Ma come? Dove?

Andiamo per gradi. In realtà un collegamento tra sciamanesimo, una sorta di arcaica stregoneria, e riti totemici esiste, ma non è quello che ci interessa adesso.

E allora? 

E allora dobbiamo partire da lontano, da molto lontano, nel tempo e nello spazio. Secondo alcuni, dal 1769 quando l’esploratore Cook e lo scienziato Banks approdarono nientemeno che nella terra dei Maori, la Nuova Zelanda. Secondo altri in un viaggio successivo di Cook coi parenti Forster.

Ciò che li colpì innanzitutto fu l’abbigliamento dei nativi, fatto di una stoffa molto raffinata che ricordava il lino, prodotta con le foglie di una pianta endemica, il Phormium tenax  J.R.Forst e G. Forst (1775), donde il nome di lino della Nuova Zelanda.

In realtà il nome greco Phormion, da cui deriva Phormium, non si riferisce all’abbigliamento, ma ai cesti, le stuoie che gli indigeni producevano con quelle stesse foglie, ed il nome di specie tenax si riferisce proprio alla loro particolare tenacia e resistenza.

Eppure non è per questi usi che il Phormium è diventato famoso nel Vecchio mondo. 

In Europa il Phormium e i suoi derivati si sono diffusi grazie alla pregevolezza ornamentale delle foglie. Pianta quindi ben adattabile in diversi ambienti, di poche esigenze, c’è qualche esemplare anche sul piazzale della Stazione di Cremona.

A questo punto vien da pensare, tornando al tema iniziale, che al di là delle molteplici ed innegabili virtù, queste foglie contengano qualcosa di malefico, un veleno ad esempio. Invece no, assolutamente nulla, che io sappia.

Ecco le splendide le foglie degli esemplari di piazza Cadorna, accanto al totem! (foto 2 centrale)

Quindi?

All’interno del cespo fogliare si sviluppa uno stelo nudo, rigido e robusto, alto fino a 5 metri e simile ad una spada. (foto 3) La spada nella roccia parrebbe assomigliarle e allora viene in mente la sua strega Maga Magò e invece no, non ci siamo ancora, anche se il paragone è avvincente. E poi la spada nella roccia era diritta. Questa invece è zigzagante.                                          

Dalla primavera inoltrata sulle sue ramificazioni laterali nascono degli splendidi fiori tubulari lunghi fino a 5 cm e raccolti in cosiddette pannocchie di un colore che va dal giallo al rosso sangue (foto 4) che è già un ottimo indizio non solo di bellezza naturale (la porpora aveva un valore tale per gli antichi romani che divenne esclusiva prerogativa dell’imperatore), ma anche di metaforica inquietudine.

E’ il colore che partendo dal nero della mano morta ci porta sulla strada giusta. Ma da solo non basta: ci vuole anche la forma, e quella delle infiorescenze inequivocabilmente ricorda una mano, tanto più a forma d’artiglio e conturbante quanto più i fiori crescono o spariscono lasciando il posto ai frutti e alle loro appendici terminali che appaiono via via più allungate, appuntite e ricurve, come le unghie sottili e affilate di una morsa malefica, che potremmo inequivocabilmente attribuire a una strega. (foto 5, 6, 7, 8). Non solo: i segmenti metacarpali dovuti ai vari steli fiorali confluenti appaiono scheletrici, scarnificati e di un rosso cupo tendente al violaceo che connota ancor più di macabro l’insieme.

Sono le estremità falangee, pertanto, a rappresentare le dita carnose, generalmente di un rosso sangue vivo.

Un altro particolare importantissimo che emerge dall’osservazione dei fiori è la loro bisessualità, ovvero la compresenza della parti maschili fecondanti (stami e antere) e di quella femminile fecondabile (stilo e stigma). Fenomeno molto sfruttato nel regno vegetale per ridurre al minimo la dispersione genetica. Dalla fecondazione si sviluppano i frutti che liberano i semi da cui nasceranno le nuove piante.

Ma per un misterioso sortilegio questo processo è molto difficile in natura, spontaneamente, per il Phormium, al di fuori del luogo natio, la Nuova Zelanda. Lì può crescere ovunque facilmente e liberamente dai monti alle coste marine, dalle pianure alle rive dei fiumi, dei laghi, persino degli stagni, finché non arriveranno gli eco sfruttatori, Ma al di fuori della Nuova Zelanda, a differenza delle agavi a cui assomiglia, per svilupparsi ha bisogno perlopiù dell’aiuto dell’uomo, come se nella misteriosa terra dei Maori in ogni suo punto  ci fosse un germe speciale, un fondamento primigenio ed esclusivo per la sua crescita spontanea.

Sul suolo italico è segnalato come naturalizzato solo in Sardegna, ma i dati sono vaghi.

Infine, se i famosi esploratori ce l’hanno reso visibile, altri hanno cercato di nascondercelo, producendo opere di presunto valore artistico, ma sicuramente di distrazione di massa come il totem, che gli fa concorrenza alla vista ma che al confronto sembra poca cosa rispetto all’ammaliante e magnificente bellezza della strega in fiore.

La collocazione stessa della pianta, su aiuole in mezzo al traffico e quindi lontana dalla vista dei passanti, distanziamento a cui contribuisce anche l’altezza a cui crescono i fiori, non ne facilita il riscontro.

Con un po’ di temerarietà e di apparente stravaganza, si potrà allora non senza fatica guadare le strisce pedonali ed inerpicarsi senza ausilii sulle aiuole per ammirare al meglio quanto questa  strega di stupefacente sa donarci!

Ma a questo punto vien da chiedersi chi sia la vera strega: il Phormium o il totem che opera l’incantesimo di oscurare quanto lo circonda?

 

 

 Stefano Araldi

 

7 risposte

  1. Articolo veramente interessante e istruttivo e come dicevano i miei genitori non si ha mai finito di imparare!! Ho ammirato spesso queste piante per il colore e la forma particolare dei suoi fiori e frutti senza saperne il nome e la provenienza.

  2. Visto che ormai ti sei guadagnato il ruolo di mediatore culturale fra la comunità umana e quella vegetale, chiedi un po’ alle tue “magnifiche streghe” con cui intrattieni intrigante confidenza se opportunamente ingaggiate potrebbero indirizzare qualche efficace maleficio …Io qualche idea sui destinatari ce l’avrei, vista l’interminabile catena di obbrobri di cui Cremona è vittima. Facci sapere.

    1. Sempre coraggiosamente pungente. Sono d’accordo e penso che ci troveremmo d’accordo anche sui destinatari degli eventuali malefici. Senza desiderare il male di alcuno di loro, solo per indurre a un utile esame di coscienza.

  3. Articolo molto interessante e ben scritto e documentato. È stato davvero un piacere leggerlo, ho avuto modo di imparare qualcosa di nuovo.

  4. Ancora grazie per un articolo molto interessante e curioso, scritto con abilità e ricco di particolari a me sconosciuti. La rubrica è molto bella!

  5. Consiglierei al direttore di pensare per Stefano una rubrica con lo specifico obiettivo di mostrarci ciò che distrattemente non vediamo in tema di vegetazione locale e della nostra provincia.

  6. Quante volte, da privato cittadino prima, da componente della giunta comunale per due tornate poi. da semplice consigliere comunale poi, ancora da componente della giunta comunale poi, fino a quando la sciagurata “riforma Bassanini”, mi togliesse ogni residua fiducia di ottenere, dall’interno della ormai sfiancata macchina burocratica comunale, una banale riforma quale avrebbe potuto essere l’inserimento nell’organico comunale di un qualificato esperto di tematiche botaniche. La giunta attualmente in carica ha risolto “brillantemente” la vetusta questione con un autentico “colpo d’ingegno” e cioè “rifilando” alla Azienda Energetica Municipalizzata le poche risorse materiali e umane ancora disponibili a favore di tale, da anni sempre più degradato servizio, e cioè uffici e serre, qualche vetusta macchina operatrice, pochissimi e demotivati anziani addetti e, naturalmente, il dirigente del sevizio, peraltro, da tempo caricato di molteplici diverse competenze nella complessa macchina comunale! Per ora, tale riorganizzazione del servizio non sembra aver ancora prodotto benefici significativi, salvo che nei lavori più banali e ripetitivi come lo sfalcio periodico dei prati.

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