In un mondo fluido fanno politica i Fedez

9 Maggio 2021

Il mondo è globale, la società è liquida. Fluido è mainstream, permea l’ambiente e condiziona i comportamenti.  

La politica è fluida. I partiti sono fluidi. Matteo Salvini ed Enrico Letta, insieme nel Governo, sono fluidi.  I parlamentari cacadubbi e ondivaghi sono fluidi. I responsabili del loro scranno, i costruttori della loro sedia, gli specialisti nel salto della quaglia, i transfughi tout court sono fluidi. Definirli voltagabbana sarebbe più appropriato, ma non è una bella immagine e stona in un contesto dominato dall’apparenza e dal perbenismo di facciata. 

«Non c’è più religione» si sarebbe detto un tempo. Ma non è vero. La religione è viva e vegeta. È solo cambiata.  È il carpe diem. È i tanti maledetti e subito, siano essi soldi, voti, favori o altro.  È la religione dei senza futuro. È il qui e ora scandito dai social e dall’universo digitale.

Anche la nostra provincia è intrisa di fluidità, ma non è alla canna del gas. Non deve dormire né all’umido, né al secco. Deve cambiare rotta, correre, recuperare e rivedere il tempo perduto senza aspettare d’inzuppare una fetta di torta madeleine nel tè. Deve rimboccarsi le maniche, lavorare e via andare.

Con un territorio diviso in tre aree e decine di aggregazioni minori, siamo una provincia a geometria variabile. La stessa domanda, posta al medesimo politico ottiene risposte differenti a Crema, Cremona, Casalmaggiore. Ma anche – come è accaduto – a Vailate e Crema. 

Se si fa notare all’intervistato la discrepanza, si è sbattuti nel girone dei qualunquisti o dei demagogici. Qualche volta in quello dei coglioni: «Eh, tu non capisci la politica, non puoi capire». Insomma zitto e mosca.

L’Area omogena cremasca è talmente coesa che una zona si è proclamata terra di mezzo. Ha chiarito che non si schiera né con quelli in riva al Serio, né con gli altri in riva al Po, ma là dove più le conviene in base alle circostanze e alle opportunità. Esempio di apprezzabile sincerità e di paraculismo a buon mercato, parente stretto della fluidità, la precisazione ha strappato un sorriso e smontato ogni critica e il guaio è, appunto, questo: non ha suscitato perplessità, men che meno dissenso.

Del domani non v’è certezza, ma il presente è già domani. Le promesse sono scritte sulla sabbia e la coerenza è fastidiosa quanto l’orticaria. Il presente è grigio, il domani non è roseo. Il Masterplan3c, libretto d’istruzioni per scrivere il futuro della provincia, potrebbe rendere il domani meno plumbeo, ma da un paio d’anni è ai blocchi di partenza.  Se ne parla molto e il linguaggio degli oratori è fluido, il passaggio ai fatti burrascoso.

 La bettolina, partita dal porto di Cremona per Milano, si è incagliata dopo una manciata di chilometri e lì rimarrà. Chi sostiene il contrario è un prestigiatore. Con il canale navigabile si è passati dal fluido al gassoso, al pari delle centinaia di milioni di lire gettatate al vento per progettare e iniziare l’opera, fermarla, riprogettarla un paio di volte, non concluderla ed elevarla a monumento allo spreco e alla insipienza politica. 

Anche Crema ha le sue storie infinite: la destinazione del Centro incremento ippico, gli Stalloni, certifica l’incapacità di trovare soluzione. Di procrastinare. Di combinare nulla.

I seguaci della fluidità si sperticano in lodi al pragmatismo e alla realpolitik, Moloch ai quali sacrificare rigore e parola data e giustificare giri di valzer.  Hanno scalzato l’utopia che, a piccole dosi, era ed è un buon viatico per sognare un mondo diverso e impegnarsi per ottenerlo. Ora il mondo non è migliore di allora, ma il letame è confezionato con maggiore accuratezza e sognare di sostituirlo con un prodotto meno scadente è un lusso per pochi.

  C’era la classe operaia, che non era in paradiso e ne era cosciente, ma confidava di arrivarci. C’era la borghesia con i figli che giocavano ai rivoluzionari. C’erano i padroni che non necessariamente portavano le braghe bianche. Oggi c’è una classe indifferenziata di scontenti e incazzati, ma soprattutto disincantati. Poi c’è un’enclave di super privilegiati con patrimoni superiori al Pil di alcuni Stati.  

C’erano Pci e Dc. Oggi Pd, Lega e Movimento 5 stelle. C’erano il partito e la mitica base che contava meno di quanto si volesse far credere, ma che veniva consultata e rispettata. I segretari – dal nazionale a quello della sezione più remota – erano legittimati dal cursus honorum della propria militanza e storia politica.  Gli organismi di partito dettavano la linea.  Si discuteva e ci si confrontava. Ai vertici si approdava dopo una faticosa e lunga corsa ad ostacoli. Oltre alle qualità personali, la selezione contemplava agguati e notti di lunghi coltelli.  Al traguardo arrivavano i migliori. I riferimenti erano Togliatti, De Gasperi, Moro, Berlinguer, Martinazzoli per citarne alcuni. Il bene comune rappresentava l’obiettivo principale e quello del partito era un corollario indispensabile per sopravvivere.  Adesso la classe dirigente è scelta con i criteri del marketing e dell’abilità di comunicazione, che comprende anche l’opzione di dire cazzate mostruose ma in modo credibile. Non è scelta dalla base, ma dal casting e il bene comune non è prioritario e quello del partito un optional.

La linea è dettata da Fedez dal palco del concerto del primo maggio, festa dei lavoratori. Si è esibito con un cappellino marchiato Nike, azienda protagonista in passato di qualche chiacchera sullo sfruttamento del lavoro minorile. Il particolare contrastava con la festa, ma il guru del web è da capire: tiene famiglia. L’ambiguità è tutt’uno con la fluidità, viva Fedez.

Oggi c’è il leader con il suo cerchio magico, che non annovera mago Merlino, Gandalf e fate turchine, ma pretoriani di bell’aspetto, genuflessi davanti al capo, pronti ad abbandonarlo in caso di sconfitta e a riciclarsi in un’altra ditta con un nuovo datore di lavoro fino al prossimo cambiamento. È la fluidità bellezza, specialità del Pci che è diventato Pds, poi Ds, infine Pd, in condominio con Margherita.

La nostra provincia non sfugge a questa regola con qualche variante autoctona. Non è popolata da leader, ma da donne e uomini di buona volontà, un pregio se costoro non si considerassero dei fenomeni inviati dalla provvidenza. Si valutano star, ma sono ballerine di seconda fila.   I pretoriani si sentono loro stessi superman. Poco disposti ad ascoltare il capo e a servirlo, sono più propensi a scalzarlo e prendere il suo posto.  

I dirigenti provinciali dei partiti sono semisconosciuti Carneadi. Non scartine.  La Lega è un caso a parte. Senza segretari, sostituiti dai commissari non solo è priva di leaderini, ma anche di punti di riferimento per chi vuole interloquire con lei. Ma contenta lei, contenti tutti, meno la politica.

Infine con l’accordo Pd-Forza Italia per l’elezione del presidente della provincia, il nostro territorio detiene il modello più avanzato di fluidità. Anche di masochismo.

Rimangono i vecchi politici, gli unici conosciuti dai cittadini. Luciano Pizzetti e Cinzia Fontana su tutti. Ma anche Gianni Rossoni. Sopravvissuti alla spietata e feroce selezione darwiniana dei partiti resistono all’assalto delle nuove generazioni e non sfigurano. Anzi, brillano. Fluidi, ma abili a mascherarlo.


Antonio Grassi

 

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