La banalità del male nel film “La zona di interesse”

3 Marzo 2024

Dopo una inquadratura completamente buia che dura diversi secondi, mettendo quasi a disagio lo spettatore, prende colore un cinematografico Déjeuner sur l’Herbe, indugiando con un lentissimo approccio alla vita di una grande famiglia, con cinque figli, che si intuisce benestante, mangiano e giocano felici, nel prato, lungo un corso d’acqua, fanno il bagno, tornano a casa. Una villa spartana ma non priva di confort. Tanti domestici, cauti, silenziosi, impauriti. Una vita sociale intensa. Compleanni firmati da regali di pregio: una canoa multiposto. Diamanti nel dentifricio. Giardinaggio anche in serra e chiacchiere fatue, promesse di viaggi alle terme in Italia e altre facezie. Per un attimo lo spettatore assume il loro punto di osservazione, con una quota parte di diffidenza. Fino alla visita dei tecnici che illustrano i forni crematori performanti al comandante delle SS Rudolf Hoss (Christian Friedel). Fino alla visita della suocera che in una agghiacciante conversazione con la figlia Hedewig (Sandra Huller) parlano del loro bosco filtro, contro gli ebrei, esseri immondi. Da tenere a distanza. 

“La zona di interesse” è il campo di concentramento Auschwitz-Birkenau, la villa è contigua al campo. Viverci il loro sogno da quando erano ragazzi, assecondando l’invito di Hitler di espandersi da est, siamo infatti in Polonia.  Nel film, diretto magistralmente dal britannico Jonathan Glazer, non si vede nulla dell’Olocausto, si sentono i rumori, che restano rumori di fondo. Spari. Cani che abbaiano. Gemiti, lamenti, urla lancinanti che sembrano arrivare da un inferno dantesco, grida soprannaturali, che i nazisti non sentono, perché come automi sono programmati per non sentirli. Suoni che si odono su fermi immagine monocolore nero, rosso, grigio. 

Una poesia accende la voce degli ebrei, una poesia metaforica, pulita, che non accusa, si limita a constatare che cosa sono diventati: raggi di sole. 

Il Comandante è molto efficiente. C’è una maniacalità nella vita quotidiana spiazzante che mette anche nel “lavoro”. Colpiscono l’ordine e la pulizia, anche personale, accuratissima, ipocrita, eccessiva. L’accortezza per ogni aspetto, anche nella gestione del campo, che svolge da casa, senza mai entrarci, l’amore per gli animali e i fiori. Farà il suo “dovere” fino infondo, accettando di dirigere la “campagna” di epurazione in Ungheria. Per poi, ammalato, tornare finalmente nella sua adoratissima casa, nella sua vita così normale, dove lo abbiamo visto giocare con i suoi figli, cantare canzoncine, leggere loro la favola di Hansel e Gretel, dove ci si può persino salvare dal forno dell’orco, e dare ordini al telefono, in attesa di avere un incontro sessuale con una ragazzina. 

La stagione dei film sull’Olocausto è in piena fioritura, la creatività non pare spenta. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Martins Amis, ha avuto 5 nomination all’Oscar, e svariati premi, fra i quali il Gran Prix al Festival di Cannes, con il pregio di riuscire in modo originale e inedito a spiegare il tema arendtiano della banalità del male: la serena obbedienza da parte degli attori del nazismo a un piano di eradicazione crudele e radicale degli ebrei. La dicotomia pulito/sporco, giusto/sbagliato/, bello/brutto; onesto/disonesto è narrata dai nazisti con calma e pacatezza. Le donne delle pulizie puliscono i forni creatori, aspirano la cenere, perché non restino tracce, contaminazione, memoria, come se fosse una pratica da seguire, un lavoro qualsiasi. Sono tutti conniventi dell’orrore e nell’errore.

Il film indugia molto sulla dolcezza della vita di Rudolph e della sua querula famigliola, le loro quotidiane, semplici preoccupazioni, come a insistere sulla loro normalità. E’ spiazzante constatare che non è pazzo. Né lo sono quelli intorno a lui. A tratti possono risultare meschini, maniacali, viziati. Ma non folli. E questa cosa fa malissimo. Come una ferita inspiegabilmente aperta. Che non smette di sanguinare nel cuore della nostra Storia.  

 

Francesca Codazzi

4 risposte

  1. Ho visto il film oggi pomeriggio. Agghiacciante. Agghiacciante perché non vedi ma senti costantemente la presenza inquietante del campo anche grazie ad una colonna sonora notevole. E’ un film di suoni, di rumori persistenti che fanno da sfondo a vicende banali, vuote. Film complesso e francesca tu sei riuscita come sempre a sviscerare molti dei tanti aspetti del film. Brava

  2. Riporto qui la mia riflessione…
    Faccio estremamente fatica a vedere film sull’olocausto…sto male intimamente e fisicamente. Rifuggo dalla constatazione di non avere una risposta alla domanda….”Ma se fossi stata io una di loro, cosa avrei fatto, come avrei vissuto, come…..!!!” Perché nella tua ultima osservazione si trova la chiave e allo stesso tempo l’incognita della risposta che non c’è.
    Scrivi “E’ spiazzante constatare che non è pazzo. Né lo sono quelli intorno a lui. A tratti possono risultare meschini, maniacali, viziati. Ma non folli. E questa cosa fa malissimo. Come una ferita aperta.”
    Perché quella follia alla quale viene data colpa di ogni male, ne sono certa, non è ciò che può giustificare l’inaccettabile vivere quotidiano di quelle persone che come in un cambio di scena, hanno cambiato il proprio copione alla fine di quei giorni.
    Per fortuna….la follia, è anche amore, fragilità, generosità, è anche cose belle.

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