La magia di West Side Story nel remake di Spielberg

26 Gennaio 2022

Non ci sono tante parole da spendere per il West Side Story targato Spielberg: basta andare (rigorosamente) al cinema e godersi uno spettacolo puro, fatto (come direbbe Leopardi) ‘col cuore di una volta’. E siccome nessuna opera (anche di intrattenimento) non può essere grande se l’autore non vi pone qualcosa di suo, occorre aggiungere che questo film è anche un omaggio agli anni in cui è stato realizzato il musical, e al modo in cui si giravano i film allora: un’operazione nostalgia tanto più efficace e commuovente perché vien detto da subito, fin dalla prima inquadratura, che quel mondo è scomparso per sempre. Le prime immagini sono dedicate infatti ad una demolitrice, ripresa in primo piano, che sta smantellando il quartiere in cui (sedicenti) americani e immigrati (portoricani soprattutto) si combattono senza esclusione di colpi, minacciando una violenza e una morte che, quando sopraggiunge, lascia smarriti ed inerti per primi coloro che l’hanno causata. Si tratta fra l’altro di un dato storico: i quartieri dove nei primi anni Sessanta venne girato in esterni il West Side Story di Robert Wise furono in effetti demoliti subito dopo la conclusione del film. Del resto, in questo film tutto si tiene con una coerenza che lascia ben vedere la mano ferma che dirige ed organizza il tutto. Di questo stesso spirito è impregnata la dedica che il regista rivolge al padre ultracentenario morto da poco, e che è stato buon testimone di un’epoca scomparsa,

L’opera di Spielberg non è un remake di quello di Wise. Il nuovo regista lavora sulla partitura del musical, mettendo in luce soprattutto i punti di contatto con il Romeo e Giulietta di Shakespeare, che ha ispirato la commedia musicale; si vedano il duetto fra i due innamorati
con il balcone di Giulietta trasformato nel pianerottolo di un condominio popolare o la sfida fra le gang che ricalca con grande inventiva registica lo scontro fra Tebaldo e Romeo. Viene spontaneo attribuire tutto il merito di questo film sontuoso e spettacolare alla bellezza delle canzoni o all’altissimo intermezzo dei balletti, davvero stupendi. Si tratta però di una impressione in fondo ingenerosa, dal momento che lo spettatore osserva quelle danze, e quei corpi che sembrano sfidare le leggi di gravità, attraverso la macchina da presa: attraverso, cioè, l’occhio di un regista che la sa usare con una perizia che conosce ben pochi rivali: la stessa ammirazione coglie lo spettatore inebriato dalle musiche e dai colori degli abiti e quello che partecipa commosso alla chiusa del film, girato con cadenze da tragedia: il corpo della vittima sacrificale trasportato a spalle dai membri delle due gang, finalmente in pace.

 

Vittorio Dornetti

 

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