La truffa… parte quinta

12 Aprile 2024

Durante la convalescenza Alessandro si dedica alla Fondazione, culla dei pensieri positivi, ha letto molto sul Kenya, gli sembra di conoscerlo, almeno sulla carta, finalmente si applica a qualcosa di edificante che lo fa sognare. Nicole è molto collaborativa. Hanno gettato le premesse della loro azione benefica insieme, ne pregustano la mission, i valori immateriali, materiali, gli scopi, gli obiettivi, i bilanci sociali. Hanno coinvolto alcuni amici fidati. Come si chiamerà? Per l’avvocato “Fenice”, per i commercialisti “Reunion”, per il giornalista “Kenya and us”, per la psicologa “Renaissance”, per un informatico “Kenya: Parma c’è”. Alessandro si sente bene, nonostante il dolore alla gamba che ancora morde. Le stampelle, e poi dopo, una lieve zoppia. Si sta rilassando. Ma non troppo. 

L’agente della casa farmaceutica Farmabone non gli dà tregua. Vuole fatturare, deve arrivare a un tetto, ha delle tappe da onorare. ha degli standard da mantenere, per il suo stipendio stellare, diversamente niente benefici per Alessandro. Inutile spiegargli che “sono fermo, per cause di forza maggiore” e “intendo restarlo per un po’”.  L’agente, De Guida, non molla. Gli sta attaccato alla caviglia peggio dello sci nella neve sulla sua gamba destra. E’ un mastino.

Arriva giugno, partono per il Kenya, tutti e tre insieme. L’incontro con questa realtà è appassionante, nel bene e nel male, una fitta al cuore, per la bellezza, per il dolore, la gioia di una scoperta in chiaro scuro, paradossalmente l’ala angelica di una grande prospettiva di collaborazione, non vogliono seminare pietà, cercano da subito relazione, con le autorità, con la gente, soprattutto con le donne. La loro vita precaria, malata, asfissiata dal benessere genera uno choc, li sconvolge nell’intimo, fa loro alzare la testa, li convince della bontà delle loro intenzioni. Il mare li avvolge. Sussurra pianissimo: è una colonna sonora dolcissima. L’infinito si espande su un cielo inarrivabile, senza confini, magico, di un fascino spietato, sfrontato, indicibile. Gli alberi si intrecciano fra loro, le fronde si muovono al vento, sembra ti parlino, nella foto di uno smartphone, da mettere su Instagram, figuriamoci dal vivo. Non si distingue la linea tra mare e cielo. No. Non è più la loro fuga annuale a Milano Marittima, fra shopping sfrenato, la zia che sta a Forlì di una eterna, intramontabile baby dance e mohito a nastro nei locali, questo è un paradiso vero, tutto da scoprire. E volte lì c’è solo quella magnificenza, per placare la fame. Le persone sono delicatissime. Sono belle. Sembrano fatte di porcellana. Non c’entra il colore della pelle. E’ irrilevante. La loro tenerezza, cautela, garbo le rendono meravigliose. Vorresti stare con loro per sempre. I bambini, tanti, a sciami, ti conquistano. Sono un’epifania. Questo popolo insegna la resilienza, il coraggio, ma anche la voglia di scambiare, che è incontro, desiderio, meraviglia. Tutto questo oblitera, cancella, fa evaporare la loro ricchezza, da parvenu, e tutte le loro certezze si sgretolano davanti alla povertà che incontrano, una miseria sfacciata: che non si toglie mai il sorriso dal viso. Diventano popolarissimi. In due settimane. Dopo un mese sono delle star. Papa e Mama di un mondo che loro stessi non trovano parole per riuscire a descrivere.  

Un giorno, verso la fine di giugno, stanno mangiando insieme a quindici famiglie. Hanno loro offerto la cena. La vita laggiù costa un’inezia. Parlano. In inglese. Cantano alla chitarra Perfect di Ed Sheeran. Squilla il telefono di Alessandro. E’ la sua segretaria, Anna, una donna riservata, intelligente e perspicace. Alessandro l’aveva lasciata in studio a rispondere al telefono. Le pagava lo stipendio da mesi. Lei, con voce ansiosa: “Dottore, ha saputo la notizia?”. “No! Che succede, sei in dolce attesa?” “Non faccia lo spiritoso, sono in menopausa! De Guida è morto! Un frontale sulla Cisa. La strada panoramica. Faceva il bullo. E’ stato travolto. Stava andando a Forte dei Marmi, la Porsche distrutta. Torna?”.

“Tornoooo? Oddio! Non so, non credo per ora. Anna, in questo momento non me ne frega un cazzo di De Guida, prendi il tuo compagno, fa le valigie, e vieni a trovarci. Pago io i biglietti. Ti aspettiamo. Non fare storie. Non pensare a De Guida. Esistono mondi da scoprire, esci da quel mausoleo. Levati da lì per un po’. Io in questo momento vivo solo il presente, come fanno i bambini. E ti assicuro è bellissimo”.

“Dottore, sicuro di stare bene?” “Se intendi la gamba, mi fa ancora male, sono anche un po’ claudicante. Ma provo a non pensarci. Vieni. E’ una terapia. Noi restiamo un altro mese”.

“Ma lei torna?”

“Vieni qui e smettila di pensare”. 

 

Francesca Codazzi            

  

 

2 risposte

  1. Bello! Il vivere il presente come i bambini è quello che dovremmo allenarci a fare tutti i giorni! Ed è vero, fare del bene ci fa stare bene… E ora però? Sono curiosa…

  2. Mutamento profondo. Stravolgimento del presente che poteva sembrare un “per sempre”. L’alienazione del lavoro senza il quale non sei completo, non sei nessuno. Io status personale, effimero biglietto di presentazione di una vita, che senza quello non ti fa accettare. Brava persona, onesta, persona tutta apparenza e niente onestà, che tutti osannano, essere inutile, essere vivente senza una reale identità. Alla fine lo spaccato di un momento storico urla: libertà. Svincolo da un cappio che si è sempre più stretto attorno al collo. In fondo siamo sono esseri viventi: azione e reazione. Istinto. Ritorno alle origini. Per vivere veramente.
    Brava Francesca. Bello. Molto bello

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