L’ultimo Gran Tour

30 Giugno 2023

Dottore! Sono svenuta un’altra volta! Questa volta sul treno! É normale, Betta, tu sei una fanciulla dell’Ottocento, quelle che per attirare l’attenzione di un gentiluomo lasciavano cadere il fazzoletto. Tu sei pronta per il Grand Tour. Scegli una meta e parti. Passano le paturnie. Passa tutto. Amelia era frastornata! Anche l’insegnante di inglese al liceo le aveva consigliato per perfezionare la lingua una vacanza studio. Era un valore aggiunto. Betta era pronta per il Grand Tour capovolto. Se i ricchi dell’aristocrazia europea, a partire dal Settecento si recavano in viaggio nell’Europa continentale per ampliare il loro sapere (l’Italia era la più gettonata), Amelia lasciava l’Italia per conoscere meglio l’Inghilterra. Il termine turismo e più in generale il fenomeno dei viaggi turistici odierni come cultura di massa ebbero origine proprio dal Grand Tour, che ha avuto diverse evoluzioni.

Il viaggio di Sette e Ottocento, di natura eminentemente culturale, ma anche etnografica, negli anni ’80 del secolo scorso era la vacanza studio, una scusa per viaggiare e imparare la lingua. Era difficile spiegare il concetto di vacanza/studio ai profani che si urticavano all’idea di abbinare un viaggio al fatto di sorbirsi lezioni di inglese tutte le mattine, con l’inconveniente reale di incontrare qualche professore in bagno alla mattina presto, pronto ad intavolare conversazioni di ogni sorta. Era inconcepibile. Contro natura. Betta adorava questo nonsense. Si immedesimava 80 anni dopo con la protagonista di “Camera con vista” di Forster in giro per Firenze, affacciata su Ponte Vecchio, alle prese con italiani un po’ naif. Aveva deciso. Partì con un compagno di classe dal quale, a modo suo, era attratta. Così, Betta traslocò per due settimane a Londra. Si sorbì ogni rituale del college. Luogo mitico per i teenagers degli anni ’80, un mix fra un’immensa sala giochi e una prigione. Solo gli inglesi sono capaci di creare questa miscela bella e dannata. Inutile dire che fra Betta e Riccardo non funzionò. Betta era sempre in giro, saltava dal Museo degli Orrori a Buckingham Palace, da Wimbledon a Hampton Court Palace, dalle Gallerie Lafayette a Trafalgar Square, dalla National Gallery allo shopping in Charing Cross, da Piccadilly Circus al Globe Theatre, da Tower Bridge a Westminster Abbey (non c’erano ancora attrazioni come il Golden Eye, il Gherkin, l’indimenticabile Lady D era ancora viva e il suo tragico destino era tutto da scrivere; Tony Blair sedeva nella House of Commons e gettava le basi della sua fulminante carriera politica), mentre lui, Riccardo, stava a giocare a biliardo o a freccette al college. Si sono incontrati davvero una sola volta, in una discoteca, a Covent Garden. Lei ha ballato fino allo sfinimento Thriller di Michael Jackson, che andava in loop, mentre lui faceva tappezzeria. Le loro strade si sono divise. 

Betta adorava i prati inglesi, i giardini, le rose. Il dottore la rispedì in viaggio. Questa volta lo scenario fu Cambridge. Anni dopo con intensa emozione rivide quei luoghi indimenticabili – il rowing sul river Cam, la vegetazione, le antiche e blasonate Università – nel film “La teoria del tutto”, dedicato alla vita dello scienziato Stephen Howking. Per lei un film evocativo, recitato divinamente da Eddie Redmayne e Felicity Jones. Una magnifica complicità e grande forza di sguardi. A parlare sono gli occhi. Considerando la severa disabilità del grandissimo ricercatore.

Il College del suo viaggio era gemellato con l’Università Cattolica. Era una struttura molto grande, lussuosa, con diversi edifici. Siepi di rose meravigliose in giardino. Boiserie vittoriana all’interno, con carte da parati a rose rosa ovunque. Le è sembrato di vivere in una bomboniera. Per il gruppo CamCat 1987 è stata un’esperienza indimenticabile. Si mangiava in continuazione. Sei appuntamenti con il cibo al giorno, sfatando il luogo comune che gli Inglesi cucinino male. Dolcetti disseminati ogni dove. Una sala intrattenimenti con il pianoforte. Un gruppo affiatatissimo. Senza dimenticare il mitico prof. Hutchins che li accompagnava, un professore con uno strepitoso senso dell’umorismo. Baddalena? Ma i tuoi genitori avevano il raffreddore, quando hanno scelto il tuo nome? 

Un edificio ospitava i ragazzi che non erano rientrati a casa per le vacanze estive. Soprattutto ragazzi che venivano da luoghi lontani, dall’Africa principalmente. Una sera gli stanziali hanno invitato gli italiani. Betta e altri 13 connazionali sono andati. Loro gentilmente hanno chiesto cosa volessero bere. Beh! Gli italiani hanno domandato 14 cose diverse, caffè, tè, coca, birra, succo di frutta, aranciata ecc… I ragazzi anziché apparire stupiti (non avevano in gestione un bar) hanno detto: “Si vede che siete italiani, se foste stati inglesi avreste risposto 14 volte: beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer, beer”. Come farsi riconoscere. Betta si è un po’ vergognata. Italiani sempre un po’ troppo divaricati e spacconi. Ma si è divertita un sacco. 

Il Grand Tour, alla rovescia, era nel suo karma. La prof relatrice della sua tesi all’Università era bella. Aveva come Edwige, il gatto di Betta, due occhi azzurri vivaci e penetranti. Aveva curatissime mèches bionde. Era una signora affascinante. Betta voleva fare la tesi sul romanzo. Le rifilò venti sonetti di Wystan Hugh Auden, disseminati in un diario di viaggio scritto sul fronte della guerra cino-giapponese nel 1938. Le poesie per Betta erano oggettivamente brutte. Ma le piacque molto studiare il periodo storico letterario. Si innamorò della diaristica di viaggio fra le guerre. L’opera di Auden scritta a due mani con Christopher Isherwood era infatti la pietra tombale di un genere letterario che aveva incontrato molta fortuna fra i conflitti mondiali, quando gli scrittori fuggivano dagli orrori della guerra, per raccontare soprattutto il Mediterraneo, visto come un Eldorado. Fu questa un’evoluzione (intermedia) dei Grand Tour ottocenteschi. La famosissima casa editrice Faber&Faber decise di dare un taglio a questa moda mandando su un fronte caldo i due poeti più venerati del momento. Auden era già Poeta Laureato. Journey to a war fu anche lo spartiacque nella sua vicenda umana e letteraria. Poeta marxista, freudiano, brechtiano, omosessuale, stilisticamente criptico e coltissimo, dopo l’opera della tesi di Betta, lasciò l’Europa e si trasferì in America per scrivere con maggiore distensione le sue opere, addolcite da una tenera fede cristiana. 

Betta era irritata dalle etichette affibbiate dai prof a Auden. Tuttavia, per capirlo erano tutte necessarie. Così diceva la docente. Bisogna avere la grammatica freudiana sulla punta delle dita, affermava. Decriptarlo non era facile. Betta si divertiva a scimmiottarlo. Rimanipolava i suoi testi. Per interiorizzarlo. Ad esempio, se Auden fosse vivo oggi come avrebbe scritto Funeral Blues, la poesia del 1936, resa famosa nel film “Quattro matrimoni e un funerale”? É la poesia preferita di Betta, perché è accessibile: c’è il linguaggio universale del dolore, la poesia aiuta a sublimarlo.

L’ultimo Gran Tour

di BETTA 

Spegnete i cellulari, chiudete tutte le mail

Fate tacere il gatto con l’umido Gourmet

Silenziate i flauti e con un crescente rullio

Portate fuori il morto, si uniscano i dolenti

 

Adesso riaccendete all’unisono i cellulari

Aprite una pagina Instagram e Facebook

E scrivete nel web il messaggio: Lui è morto,

Il Governo sospenda i lavori per sette giorni 

 

 Dalle Alpi allo Stretto, da Arcore a Roma

Lui era il calcio, la tv, la stampa, le donne

Era il pranzo, la cena, la lingua e il canto

La politica, l’amore, l’edilizia e tanto altro

 

Spegnete tutte le stelle, si tacciano le veline

Imballate la luna, smantellate persino il sole

Svuotate i mari, piallate il bosco

Perché nulla può lenire il dolore 

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Ah! Betta non sviene più.

 

Francesca Codazzi

 

9 risposte

  1. Leggerti è sempre emozionante! Attraverso il tuo racconto, ho rivisto le scene più belle della nostra indimenticabile vacanza-studio a Cambridge, ho persino sentito il profumo inebriante delle rose inglesi!

  2. Sulla capacità narrativa nulla da dire, anzi. Brava. Quel che mi sorprende e mi piace è la descrizione dell’universo femminile che, da maschio, credo di aver immaginato sempre così. Nessuna sbavatura. Brava perché evita di descriverci. Rischierebbe un copia/incolla che vuole evitare, anche se il maschio è meno complesso della femmina e quando ne hai conosciuto uno gli altri sono tutti uguali e prevedibili… Le frasi filano via veloci e i contenuti sono mirabili. Stupenda la descrizione della noia come valore aggiunto nel pezzo sulla Cremona di un tempo. Mi piace il suo registro. Spero di leggerla ancora.

    1. Sono davvero lusingata. Anch’io la leggo e mi pare che l’equilibrio e il buon senso siano la sua cifra dominante. La ringrazio di cuore. Spero di incontrarla di persona.

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