Next Gen ATP Finals: il tennis del futuro va (troppo) veloce?

17 Novembre 2021

“La velocità sta uccidendo il gioco. Gli organizzatori cercano di attirare i giovani che guardano solo gli highlights, ma così sbagliano” (Nadal in un’intervista a El Pais)

Si sono viste molte cose a queste Next Gen Atp Finals 2021. Concluso con la vittoria del diciottenne Alcaraz, il torneo dei migliori otto tennisti Under 21 della stagione (tra cui il nostro Musetti), viene anche usato come “crash-test“, un banco di prova per testare nuove regole e soluzioni di gioco per il tennis del futuro. Che a quanto pare, va sempre più veloce.

La formula “Rodeo”

Il format Next Gen degli anni scorsi aveva già osato, introducendo il killer point (il punto secco sul 40 pari) e l’abolizione del Let (più discutibile), ma quella di quest’anno è stata una riforma delle regole del gioco ancora più spinta. E non è detto che non si vada oltre.

Partite al meglio dei 5 set ma con punteggio ridotto, e parziali fino ai 4 giochi che ricordano una formula già in uso anche in Italia, quella del Rodeo. Ve la ricordate? Tornei che durano un solo weekend, giocando anche 5 partite in un giorno fino a tarda sera, proprio con la formula dei 4 giochi a set. Un format vincente, che permette di guadagnare in poco tempo esperienza e abitudine a giocare i match, senza pesare sugli impegni settimanali.

Oltre al già visto punto secco sul 40 pari, le Next Gen hanno introdotto quest’anno la possibilità di coaching anche a livello maschile, per ricorrere al proprio allenatore durante i match, cosa per ora concessa, e non si capisce il motivo, solo alle giocatrici del femminile del circuito mondiale. In un impeto quasi nevrotico di ‘fretta’, gli organizzatori hanno accorciato anche il riscaldamento iniziale dei giocatori, da 4 minuti a 60 secondi, riforma lamentata da alcuni degli 8 giocatori proprio perché impedisce di provare bene tutti i colpi prima dell’incontro.

Se non c’è competizione: Djokovic

Se dalle parole di Nadal di inizio articolo, la paura è quella che la velocità “uccida il gioco, forse queste nuove regole servono invece per evitare che un tennis fisico e regolarista come quello di oggi, fatto di solidità bilaterale su rovescio e dritto e interminabili diagonali in palleggio da esercizio teorico, diventi troppo noioso.

Il numero uno del mondo e ora recordman, Novak Djokovic, ha fatto da tramite tra due generazioni, tra due modi di stare in campo. Djokovic giocava il tennis del futuro già 15 anni fa, ma ha saputo affinarlo al massimo portando con sè l’esperienza di giocare nella generazione di Federer e Nadal, che con lui hanno alzato l’asticella dei limiti del tennis. I giovani giocatori di oggi mostrano un tennis che fisicamente salta le tappe e ‘supera’ i limiti della loro età, ma mentalmente è ancora fermo all’anagrafica. Giocano il tennis percentuale del serbo senza avere le stesse percentuali. E per questo non riescono a vincere (quasi mai) con Djokovic.

La generazione aggressiva…quella del passato

I record di Djokovic sfruttano un momento di assenza di competizione e livellamento del gioco. Negli anni 90′, quelli della generazione Sampras e Agassi, almeno 14 giocatori nei primi venti al mondo avevano vinto un torneo dello Slam. Nella generazione di Federer e Nadal gli ostacoli prima di vincere un torneo dello Slam erano molteplici e pericolosi, con il nome dei vari Wawrinka, Del Potro, Soderling, Tsonga, Nalbandian, Gonzalez, Davydenko, Berdych, Murray. Superati questi arrivava la vera sfida finale, e cioè battere gli stessi Federer e Nadal. La caratteristica di tutti questi giocatori è che giocavano un tennis aggressivo, sbilanciato dalla parte del diritto, alla ricerca del punto.

Sebbene più rischioso e vittima delle percentuali a lungo termine, il tennis di questi giocatori garantiva spettacolo, facendoli  ‘alternare’ in qualità di mine vaganti del torneo, sfidanti dei Fab Four.

Il solo modo per mettere in difficoltà il robot del tennis era attaccarlo, non dargli punti di riferimento, cambiargli ritmo. Ma il tennis percentuale di oggi non può permetterselo, figlio di un calendario sempre più fitto, che obbliga a una programmazione e un rendimento più costante: già si intravedono però i primi “bug” di questo sistema della prestazione, i cortocircuiti di una macchina ipertrofica, e cioè il burn-out dei giocatori scoppiati (vedi Thiem), costretti a lunghe e improvvise pause di riposo fisiologico. Chissà che per ovviare alla trappola del burn-out, qualcuno non ritorni a giocare serve and volley per accorciare gli scambi e risparmiare energia. Per ora è solo un’ utopia.

Cambiare le regole, invertire il sistema

I puristi del serve and volley 15 anni fa storcevano il naso di fronte ai nuovi campi in erba di Wimbledon, rallentati per garantire più scambi da fondo, oggi il problema non può più neanche basarsi su campi, palline e materiali: anche questi, come la tecnica e i metodi di allenamento e recupero, migliorano a velocità troppo elevata. Le novità viste in scena al Next Gen accorciano i tempi, obbligando il giocatore a riscrivere i propri percorsi mentali, la propria gestione della partita.

Non si può fermare il progresso fisico, tecnico e dei materiali. L’unica soluzione ad un tennis troppo robotico è ripensare le regole del gioco.

 

Marco Massera

 

 

 

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