Nuovo ospedale? Facciamolo lungo il Po. Vi spiego perché

22 Dicembre 2021

La magnifica festa del torrone cremonese ha inaugurato un periodo molto stimolante, ponendosi, dopo i fasulin cun le cudeghe, come preludio alle prossime ricorrenze  natalizie,  vero banco di prova per le strategie di sopravvivenza della  popolazione occidentale. Cosa sono infatti il cambiamento climatico ed il buco dell’ozono, le polveri sottili e le pandemie a fronte delle  valanghe di capitone, burro e salmone, tortellini, capesante gratinate, torrone e cioccolato che stanno per travolgere i commensali alla cena di magro della vigilia? Poi arriva il pranzo di Natale a dare il colpo di grazia alle buone intenzioni di chi vorrebbe salvare il pianeta e l’umanità intera: salumi e affettati, paté di fegato, insalata russa, ravioli, risotti, capponi, faraone, bolliti, arrosti, taleggio, gorgonzola e formaggio grana, panettone, pandoro, mascarpone e creme, torrone, gelato, datteri, noci e fichi secchi e chi si ricorda più dei gas serra,  del particolato e di quell’accidente di virus cinese? Infine santo Stefano Martire,  protettore di Bagnolo Cremasco e Olgiate Olona, patrono della festa alimentare iniziata ormai da almeno una settimana e propedeutica al cenone di San Silvestro ove, tra lazzi e frizzi, si ricomincia da capo, aggiungendo però vini, spumanti, digestivi, amari e grappini.

Risultato? Almeno 6.000 calorie giornaliere di media, laddove la media è quella di Trilussa e quindi, tenuto conto che qualcuno non ‘celebra’ il Natale a tavola, il sovraccarico calorico può raggiungere livelli da capogiro. Il guadagno medio di peso corporeo derivante dall’alimentazione delle feste natalizie è stimato attorno ai circa due chili e mezzo, facilmente smaltibili in poco più di 45 ore di jogging o di bicicletta. Altrimenti le calorie in eccesso si trasformano in grasso, una sostanza strana e dotata di volontà propria,  con la brutta abitudine di stabilirsi definitivamente in zone del corpo esposte al pubblico ed agli sguardi indiscreti.

Ecco quindi  il comparire di gemiti di sofferenza da parte delle bilance domestiche, la definitiva consacrazione di deretani gelatinosi e di cosce tremolanti, il ballonzolare di addomi spaventosi, il proliferare di impegnative al medico curante  per l’analisi di trigliceridi e colesterolo (quello cattivo e quello cattivissimo). E poi le immagini  raccapriccianti  di individui, prima delle Feste ritenuti del tutto normali, vestiti con abbigliamento improbabile che affollano gli argini di Po ciondolando sulle ginocchia sofferenti mentre fingono di correre con uno sguardo perso oltre l’infinito. Con l’unica conseguenza di rischiare gravi traumi ossei e muscolari, polmoniti, svenimenti, qualche volta l’infarto e la necessità di ricovero urgente.

In quest’ottica e tenuto conto della attuale collocazione della principale struttura ospedaliera cremonese, appare allora ragionevole proporre all’attenzione di coloro i quali hanno dapprima privato la popolazione di servizi sanitari eccellenti quanto necessari, poi hanno progettato un nuovo ospedale (ospedalino?) per poter demolire (demolire?) quello vecchio (vecchio?)  senza alcuna idea di cosa infilare nel nuovo, un progetto edilizio più razionale, che tenga conto del fatto che gli argini del Po costituiscono di fatto una zona di frontiera, quella dove si concentrano i comportamenti più a rischio dei cittadini cremonesi. E allora, se proprio bisogna dare una mano all’edilizia, facciamolo là il nuovo ospedalino, in faccia al grande Fiume ed alla faccia dei cremonesi.

 

Octopus

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