Pandemie storiche e lezione dal covid (per chi vuole capire)

19 Novembre 2021

‘La storia insegna, ma non ha allievi’ diceva Gramsci, come a voler sottolineare che cultura ed esperienza non bastano a riscattare l’uomo dalle proprie fragilità e contraddizioni. Tuttavia i tempi incerti della pandemia stimolano a ricercare analogie ed esperienze con il passato. Se si pensa ai morbi più antichi, quali la peste di Atene del 430 a.C, descritta da Tucidide o la peste di Giustiniano del 541 d.C e tramandata da Procopio da Cesarea, intuiamo che sono eventi troppo lontani per fornirci qualche propinquità con il presente. Se le antiche epidemie, a cominciare dal morbo descritto nell’Iliade (i dardi di Apollo), per finire con la già citata peste giustinianea, erano attribuite in tutto o in parte alla collera divina o a ‘veleni’ che ammorbavano l’aria, con la peste manzoniana del Seicento compare la figura dell’untore, inquietante personaggio, ritenuto responsabile della diffusione del contagio, ma in realtà emblema delle
nostre angosce.  Ancora oggi cerchiamo l’untore che è stato identificato con la Cina, a sua volta già
ritenuta responsabile della ‘piccola’ epidemia di SARS del 2002. Più congruo appare il paragone con l’influenza ‘Spagnola’ del 1918, infatti le similitudini con l’odierna pandemia sono più di una. Innanzitutto la natura virale (virus H1N1) sulla cui origine il dibattito è ancora aperto (Kansas? Francia? Oppure, come riportato dal National Geographic, dall’Asia centrale?). L’epidemia è stata erroneamente chiamata ‘Spagnola’ perché nella penisola iberica non esisteva censura e i giornali furono i primi a parlare del contagio. Tanto il COVID-19 che l’H1N1 pur essendo due virus diversi hanno in comune l’origine animale; il salto di specie (spillover) non è un evento straordinario, avviene anche con i ‘normali’ virus influenzali. Anche le misure contenitive del 1918 non furono molto diverse da quelle adottate oggi: identificazione e denuncia dei focolai , proibizione degli assembramenti, pulizia delle strade ed edifici, isolamento degli ammalati, limitazione di viaggi, cerimonie e funerali, inoltre fu fortemente suggerito il distanziamento e la
chiusura dei locali.  Come oggi, si registrarono problemi con il personale sanitario (allora molti medici erano al fronte, oggi non vengono assunti), così come non tardarono a scarseggiare gli affossatori e si dovette ricorrere ai militari per il trasporto dei cadaveri (come a Bergamo).

Fra le differenze di rilievo possiamo citare, oltre alla già citata diversa tipologia virale, l’età delle persone prevalentemente colpite: 20-40 anni per la ‘Spagnola’, anziani per il COVID-19. Nel 1919 il virus mitigò la propria virulenza fino ad acquisire i connotati di un’influenza stagionale. Restiamo in attesa che anche il COVID-19 mostri il proprio volto più mite e facciamo voti perché non irrompa sulla scena una sua variante pericolosa, magari importata dai Paesi più poveri dove la vaccinazione è attuata con colpevole ritardo.

A mio parere il COVID ha evidenziato la dubbia efficacia dei provvedimenti di coloro che prendono decisioni ad livello alto. Parecchi mesi prima dello scoppio del contagio uno studio della John Hopkins University sugli effetti di una ipotetica peste suina (il maiale è il serbatoio virale più studiato), aveva evidenziato la preoccupante impreparazione di molti Paesi nell’affrontare il morbo epidemico. Tutto ciò rende palese il fatto che si era pensato ad un contagio su vasta scala –
di cui peraltro furono valutati i rischi economici, eppure alla teoria non è seguita alcuna azione pratica. Tutto questo inquieta, ma ancora più inquietante è il fatto che nessuno, ancora oggi, è in grado di valutare le conseguenze a lungo termine non solo dell’infezione, ma nemmeno del debito creato per affrontare la presente situazione.

In conclusione gli studiosi ci dicono che è difficile stabilire i punti in comune fra l’epidemia COVID e le “pestilenze” storiche; queste ultime sono insorte in tempi e realtà profondamente diverse dalla nostra. Un comune denominatore tuttavia sembra essere costantemente presente: i
grandi contagi hanno prodotto profondi cambiamenti nell’ambiente e nella società, cioè nella Storia. Il COVID non farà eccezione: il futuro sarà diverso da come lo avevamo prospettato. Il sociologo Ferrarotti afferma che ‘…dovremo avere il coraggio di rifondare il futuro su categorie nuove…’, inoltre continua ‘se da un lato la tecnologia offre risorse formidabili, non dobbiamo pensare che la tecnologia stessa sia il futuro….’ perché abbiamo fatto troppo affidamento sulle macchine, al punto da diventarne dipendenti e poi ‘…le macchine non hanno volontà, non fanno progetti, possono solo realizzare se stesse all’infinito…’.

L’Occidente è composto dal venti per cento della popolazione planetaria (ottocento milioni di persone a fronte di sei miliardi e mezzo), ma per mantenere il proprio tenore di vita consuma l’ottanta per cento delle risorse globali. Pasolini distingueva fra crescita e progresso; la prima produce beni superflui, il secondo beni necessari. Siamo sicuri che potremo crescere all’infinito? E a quale prezzo? Inoltre molti pensano che la crescita sganciata dalla creazione di nuovi posti di
lavoro sia un errore da non commettere più perché il profitto non è un mero fatto contabile (make money with money), ma che deriva dal lavoro, così come la Chiesa, da sempre fedele alleata dei potenti, dovrà realizzare che l’ elemosina è il mezzo più efficace per mantenere immutata l’attuale distribuzione dei privilegi.

Insomma il COVID ci costringerà al redde rationem sia su questi che su altri, importanti temi; si capirà, spero, che la ‘grande promessa’ formulata nell’Ottocento, secondo la quale la tecnologia era destinata a risolvere gran parte dei problemi dell’uomo, non può essere mantenuta. Certo non è facile immaginare questo cambiamento epocale se riflettiamo sulla consapevolezza dell’attuale classe politica che non sa prendere più decisioni di rilievo perché queste vengono prese in sede economica. Ma se questo cambiamento avverrà, il denaro non sarà più un fine, ma tornerà ad essere un mezzo e l’Occidente, e l’Europa in particolare, non saranno più una patetica accolita di bottegai miopi e litigiosi, ma opereranno in una dimensione sovranazionale.

 

Giuseppe Pigoli

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