In provincia di Cremona politica azzerata, territorio ancor più marginale

27 Novembre 2022

Esiste ancora la politica in provincia di Cremona? Probabilmente, no. Le scelte che le competono sono state delegate alle associazioni di categoria, ai pochi potentati economico-industriali del territorio e a qualche papavero dei piani alti, locale o forestiero.

I nuovi padroni impongono la propria linea con pugno di ferro in guanto di velluto. Ineccepibili sotto il profilo economico-finanziario e funzionali per gli interessi di bottega dei proponenti, alcune di queste decisioni risultano però incompatibili con il bene comune, punto di riferimento della pubblica amministrazione.    

È incontestabile che l’album di famiglia della politica locale abbondi di schiappe e quaquaraquà, di ignoranti e supponenti, di arroganti e maleducati. È altrettanto vero che nel portfolio delle associazioni di categoria non mancano parolai, mezze calzette e fighetti vanesi che sbavano per un’intervista traboccante banalità e una foto sul quotidiano cartaceo locale.

La divisione manichea tra politici inetti-carta igienica e imprenditori, commercianti, professionisti bravi, belli, vincenti non corrisponde alla realtà.

La contrapposizione sterile e schematica non aiuta a capire l’asservimento della politica a elementi esterni ad essa. Non favorisce l’apertura di un dibattito costruttivo sulla questione, nella speranza-obiettivo di modificare lo status quo.  Non serve a nulla. È perdita di tempo.

È altrettanto infruttuoso chiamare in causa i poteri forti. Inesistenti nella nostra provincia, vivono nell’immaginario collettivo per la presenza sul territorio di millantatori che si spacciano per superman.  Giganti con i piedi d’argilla, sono immagine.  Forma. Bla, bla, bla. Gracili, sono facili da abbattere, ma la politica non ci prova.

Sovrani di una corte dei miracoli, costoro assurgono a campioni di kick boxing, per la debolezza dei contendenti.  Della politica.  Oltrepassati i confini provinciali contano poco più di una cicca di sigaretta, escluse le eccezioni, irrilevanti per la statistica. Campioni in serie C, brocchi in serie A. E i pochi fuoriclasse non modificano la situazione.  

L’incapacità, l’insipienza, la miopia, l’opportunismo, la furbizia da magliari hanno causato la deriva della politica locale e creato un vuoto, occupato con lungimiranza dalle associazioni di categoria e da svelti approfittatori.

La mancanza di coesione di Cremonese, Cremasco e Casalasco, ha contribuito a stabilizzare e consolidare il processo di impoverimento e degrado della politica provinciale. E il dubbio su manovre passate e presenti per mantenere separate e in competizione le tre realtà, non è da scartare: divide et impera

Il sistema, inteso come il complesso di enti, istituzioni, organizzazioni che governano il territorio, non solo ha accettato senza battere ciglio la delegittimazione della politica, ma l’ha favorita nel momento stesso in cui non ha reagito allo scippo. 

I cittadini apatici, indifferenti, paurosi di esporsi, fedeli al detto cremonese stum schis, non sono esenti da colpe. 

La rottamazione delle ideologie, il pensionamento degli ideali e la mancanza di visioni prospettiche hanno completato l’evoluzione darwiniana al contrario.   La politica da primo soggetto decisionale per   gestione, programmazione e sviluppo della provincia, si è trasformata in un accessorio, a disposizione di coloro che il territorio lo usano per i propri interessi.  Affari leciti senza dubbio, ma non sempre coincidenti con quelli dei cittadini.

La generazione dei contestatori, dei Che Guevara dei tortelli e del torrone ha grosse responsabilità per questo decadimento della politica. 

Carlo Alberto Sacchi, insegnante, poeta, giornalista, ricordato il 12 novembre scorso in un incontro al Centro culturale Sant’Agostino di Crema, lo aveva scritto tanto tempo fa. «Molti sessantottini erano diventati professori tutti scienza e carogna, molti sessantottini erano diventati manager tutti carriera ed efficienza, molti sessantottini esibivano petti tronfi e presunte decorazioni al valore. Mi sbaglio la nostra doveva essere una rivoluzione culturale?» (Kontatto, febbraio 1988).

Era l’annuncio di una sconfitta. L’inizio della fine della politica. Il presagio di un disastro.

Il colonello Kurtz, un Marlon Brando spaziale, spiega al capitano Willard: «Lei è un garzone di bottega che è stato mandato dal droghiere a incassare i sospesi». 

Ed è questa la vera questione, la più preoccupante. In provincia manca un Kurtz che chiarisca ai politici del territorio la loro condizione di garzoni a delle categorie economiche e di pochi unti del signore. Oppure il colonello è tra noi e si è accorto dell’anomalia, ma ha taciuto e tace. E sarebbe un’ipotesi peggiore.

L’informazione locale, quella storica, non aiuta la politica. Non la stimola, non l’incalza. Non abbaia. Scodinzola. Slurpa.  A parole al servizio dei lettori, nella pratica servetta dell’editore e dei suoi amici.

I partiti sono amebe.   Rider, recapitano le pizze. Fattorini consegnano pacchi. Attendenti scattano a battere i tacchi allo schiocco delle dita del comandante.  Ascoltano poco i militanti, molto i sondaggi. Si genuflettono davanti ai presidenti di associazione di categoria, all’uomo del destino e ai loro tirapiedi. 

È accaduto con il Masterplan.  Si ripeterà con la revisione della compagine azionaria di Reindustria. È avvenuto per la cessione di Lgh ad A2a, per l’autostrada Cremona-Mantova, per il mantenimento in funzione dell’inceneritore.

Vascelli alla deriva, privi di leader e di potere, senza idee e iniziative, i partiti  navigano a vista. La ciurma, disorientata e nervosa, medita di salire su navigli più sicuri e affidabili. Più accreditati sulla disponibilità di sedie. I più lesti a cambiare casacca sono stati tre marinai della Lega, che nelle settimane scorse sono scesi dalla bettolina di Matteo Salvini per imbarcarsi sul cacciatorpediniere di Fratelli d’Italia. 

Scosso dall’esito dell’ultima consultazione elettorale, il Pd provinciale è in stato confusionale. S’interroga. Medita. Fa gli esercizi spirituali.  Recita il mea culpa, ma non è così che funziona. 

Il giorno dopo tutti i cucchi sono bravi ad analizzare la sconfitta, evidenziare gli errori e proporre le terapie per riprendersi dalla batosta e ritornare ai fasti antichi.

I professori, quelli bravi, intervengono il giorno prima ed evitano la disfatta. I professori, quelli bravi, risparmiano al prestigioso cremonese Carlo Cottarelli lo smacco di raccogliere più voti a Mantova che all’ombra del Torrazzo. I professori, quelli bravi, sono rari. Nel Pd cremonese sono il Gronchi rosa timbrato per i filatelici.

Organismo geneticamente modificato, nato dall’unione di ex comunisti con ex democristiani, ibrido tra rivoluzionari e moderati, il Pd paga un prezzo salato a questa ricombinazione genetica.

La posizione pilatesca sulla pessima qualità dell’aria di Cremona, sulle perplessità suscitate dal nuovo ospedale, sulle preoccupazioni per i ritardi dell’indagine epidemiologica, cancellano l’immagine di un partito attento ai bisogni della gente, disponibile al dialogo e pronto allo scontro se necessario.   

Smarrita la sua presunta e molto sbandierata diversità, il Pd è un partito uguale agli altri, con l’aggravante di credersi superiore, il predestinato. 

 Non fa più politica, ma cincischia con interventi di basso cabotaggio. Ambiguo, relegato nella terra di nessuno, luogo di paura e inazione, soppiantato – non nei voti, ma nell’azione- dai Cinque stelle, rischia la marginalità.  

Non moriremo democristiani titolava quasi quarant’anni fa Il Manifesto.  Cremona, senza politica con questo Pd, morirà democristiana. Non è un’offesa e nemmeno un’infamia. È il tempo che si è fermato. È la conservazione elevata al cielo.

Le associazioni delle categorie economiche e i papaveri dei piani alti brinderanno. I cittadini intoneranno la retorica populista, accuseranno la politica di inadeguatezza e incompetenza, inconsapevoli delle loro colpe.  Non succederà nulla.  Tutti sottotenenti Drogo. Tutti nella Fortezza Bastiani. Tutti ad attendere i tartari che non arriveranno. Ma cremonesi, cremaschi e casalaschi vogliono questo? Vogliono l’azzeramento della politica?

 

Antonio Grassi

2 risposte

  1. I poteri forti esistono, eccome. Tanto da imporre a Cremona e al territorio scelte non condivise dai cremonesi, sia importanti che no ( dall’ospedale ai totem) penalizzanti da ogni punto di vista, e persone magari importate da fuori che fanno esclusivamente gli interessi propri e di chi fa parte della cerchia di amici e parenti, a scapito della città e dei cremonesi. I quali abbozzano, si risentono, scalpitano, si dibattono, si lamentano fra loro. Arrivano a sentirsi derisi e offesi, ma preferiscono subire. Le poche reazioni restano inascoltate e le persone in questione restano al loro posto e imperversano. Mercenari, conquistadores, imposti da quei ‘ poteri forti che se pur indeboliti possono continuare imperterriti, vergognosamente. Non ci resta che ammettere a malincuore che abbiamo ciò che meritiamo.

  2. Complimenti all’autore ha cento mille ragioni, mi piacerebbe però che non solo i settantenni apprezzassero queste idee ma anche i più giovani ai quali la storia e la politica economica non viene più insegnata!

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