Quei gelsi rinsecchiti lungo la via Boschetto: il male viene dal cielo

30 Agosto 2023

Nato da un cadavere, il male lo porta dal cielo!! No, non sono in preda ai fumi dell’alcol, ma quello che racconto è tutto drammaticamente vero!  Vien dal cielo il male, lo si intuisce guardando le chiome fogliari di questi sei gelsi  Morus alba L., lungo la via Boschetto a Cremona, ampiamente rinsecchite , ancor meglio dire consunte, scheletrizzate, soprattutto nella parte alta più esposta al sole, ad est. (foto 1 centrale). Tra l’altro è stato concesso loro eccessivo sviluppo, visto che superano la linea di mezzeria, esponendo ad un inutile rischio chi vi transita sotto da ambo le parti. (foto 2). Escluso quindi che si tratti degli esiti di una tempesta, dai chicchi di grandine grossi e duri come noci, a cui siamo portati  a pensare di questi tempi. E pure dell’effetto di bombe a grappolo, di una guerra batteriologica non  in corso, per ora!

Banale sarà allora pensare ai cambiamenti climatici, alla siccità. E in effetti il mutar del clima può essere citato in giudizio ma solo indirettamente, e il fenomeno è tutt’altro che banale perché tocca uno dei misteri più enigmatici ed affascinanti della vita terrena: la metamorfosi. Una magia vera, dunque, reale non metaforica e che tuttavia rimanda a riflessioni profonde e a domande assillanti che hanno portato ad ampi sviluppi del pensiero dell’umanità.

Si noti poi l’analogia etimologica dei due termini: metafora e metamorfosi, casualmente accostati; quel metà che in greco significa “andare oltre”; oltre il simbolo, nel primo caso, oltre la materia, nel secondo. E a questo  principalmente mi riferisco nell’articolo. Benché le fotografie siano state scattate poco dopo lo scorso Ferragosto, la correlazione climatica non pare riguardare la torrida stagione estiva in corso, e stranamente, visto che la maggiore devastazione avviene proprio in questo periodo, bensì gli inverni più miti degli ultimi anni, perché sarebbe il freddo ormai mancante a contenere il fenomeno, oltre ai predatori naturali, insetti vari ed uccelli, del cui venir meno anche l’uomo è responsabile.

Ma di chi stiamo parlando, a questo punto? Di un bruco (larva) di una piccola farfalla, l’Ifantria cunea (Drury, 1773), originaria del Nordamerica e arrivata in Italia negli anni 80.  Eccolo vistosamente coperto di peli bianchi e neri non urticanti che escono da due file di tubercoli giallo aranciati e scuri disposti lateralmente rispetto ad una banda brunastra dorsale.(foto 3)

In realtà, ridurre il fenomeno all’azione singola di questa forma di vita non rende giustizia alla complessa e mirabile opera della natura che qui supera di gran lunga l’immaginazione, e non permette di cogliere il senso globale del processo;  l’azione combinata, perfettamente integrata e programmata  in maniera sequenziale di tutte le parti in gioco, ciascuna delle quali insostituibilmente responsabile di una fase ben precisa senza la quale nulla di tutto ciò potrebbe accadere. Vale a dire il ciclo continuo ed incessante della vita e della morte in un fluire eterno che però in questo caso, eccone la straordinarietà,  passa attraverso l’alternanza della scomparsa fisica e della rinascita, della degradazione corporea e della reincarnazione trasfigurata!

Processo che non è alla portata dell’uomo su questa terra, fisicamente parlando, con un’unica grande eccezione nella nostra tradizione, la Resurrezione di Lazzaro.

Dicevo che il male vien portato dal cielo e infatti se volessimo stabilire un punto d’inizio di questo processo circolare, potremmo fissarlo a quando la farfalla, nel suo volo crepuscolare, depone le uova sulla pagina inferiore delle foglie di numerose piante, conifere escluse, e in particolare del gelso  Morus spp, sulle cui foglie sono visibili anche i residui neri dell’infestazione  (foto 4) e dell’Acer negundo L., 1753 (foto 5) Dalle uova fuoriescono le larve, primaverili prima ed estive poi e sono queste ultime responsabili del maggior danno.

Con una voracità inaudita, ed in sana compagnia (foto 6), divorano le foglie risparmiando solo quello scheletro rappresentato dalle nervature, che si rivela come una trama reticolata  spettralmente evocativa, dopo il lauto banchetto. ( foto 7 e 8)

Lo scopo presumibilmente è quello di accumulare quanta più energia possibile per la fase che seguirà, energia sottratta all’ambiente che pertanto subisce danni ingenti a diversi livelli: ornamentale, produttivo (vedi le devastazioni nei frutteti), funzionale, igienico sanitario (frequente è la colonizzazione di ambienti domestici) e quindi strutturale per la possibile compromissione della funzione clorofilliana, tanto maggiore quanto più estesa è la defogliazione.

E infatti i nostri gelsi non sembrano godere di buona salute, tutt’altro, basti vedere la spaccatura centrale di quest’esemplare (foto 9)

C’è chi dice tuttavia che i gelsi abbiano una potenza straordinaria a resistere, ma questo  non giustifica lo stato di degrado, di apparente abbandono in cui versano. Danni che richiedono interventi decisi tra cui la rimozione meccanica dei nidi , vere e proprie nuvole di seta tessute dai bruchi, simili a enormi ragnatele, ove inglobano diverse foglie, persino rami, detriti vari. (foto 10)

Effetto scenico pregevole che rimanda a una dimensione fiabesca: quella leggiadra quasi impalpabile volatilità delle foglie (foto 11 e 12), translucide in controluce (foto 13).

Ma il bello deve ancora venire! L’arcano più straordinario.

Esaurita la sua funzione di accumulo energetico, la larva si ritira in un involucro chiamato crisalide e prende il nome di ninfa o pupa, per svernare quella estiva. Nella crisalide  la ninfa rimane per lo più immobile e a testa in giù, appesa a un supporto.

Tale involucro è assolutamente paragonabile a un sarcofago che letteralmente significa “divoratore di carne” ; urne sepolcrali, i sarcofaghi, ove si riteneva che i cadaveri venissero consumati più rapidamente.

Straordinaria analogia con quello che in un tempo variabile ma più lungo per le larve svernanti, avrà da accadere, perché in quella crisalide il corpo della ninfa  si consumerà, lasciando il posto alla farfalla che uscirà dal guscio per librarsi in volo.

Un vero e proprio miracolo della natura, un’opera di trasformismo da far impallidire il miglior Brachetti.

Quanto finora descritto merita un inciso. E’ vero che ci siamo abituati a ragionare prioritariamente in funzione dell’uomo e del suo benessere, ovvero di una generica tutela dell’ambiente. E’ vero e giusto. Tutto questo però ha implicato che abbiamo rinunciato in parte ad osservare gli aspetti magnificenti, straordinari di quella natura che ci insidia. E la fase della crisalide/ninfa è la più straordinaria di tutte, sebbene riguardi un animale malefico, e questo perché all’interno della crisalide scompare un individuo e ne compare un altro assolutamente nuovo. 

Il bruco di terra  strisciante si trasforma in una farfalla, animale di cielo volante,  a cui lascia il posto disintegrando il proprio corpo.

Del bruco/ninfa non è chiaro fino a che punto muoia, si consumi o si trasformi. 

Senz’altro il suo cuore d’oro, infuocato (crisalide significa appunto involucro dorato) , quel nucleo vitale che l’ha animato, sopravvive e viene trasferito nella farfalla, ma il risultato è un essere completamente diverso, nell’aspetto e nelle funzioni..

Quindi, se del bruco/ninfa è incerta la fine che pure avviene, la farfalla senz’altro muore, pochi giorni dopo l’ovoesposizione.

A che pro, vien da chiedersi, una vita così breve? Ma questo interrogativo nasce dal pregiudizio dell’attaccamento alla forma,  che sia l’individuo che conti e non l’intero processo che permette in maniera originalissima, magica, di perpetuare la vita.

L’interpretazione più ricorrente è che lo stadio evolutivo a cui si tende sia quello della farfalla, e quindi quello di maggior rilievo, il compimento di un disegno programmato. Ma questo vale solo in funzione della fecondazione delle uova e della loro schiusa, rispetto a cui la farfalla non ha alternative, ed individualmente perde immediatamente il suo valore, una volta liberate le uova, morendo in breve tempo.

Non solo, abbiamo visto che ogni fase, ogni forma di vita ha il suo compito  insostituibile in questo complesso processo vitale, per cui non c’è una forma prevalente, più importante delle altre, e al tempo stesso la forma non ne è il fine, perché  in continua trasformazione.

E’ come se la Natura avesse voluto insegnarci che è il movimento  vitale  nel suo continuo rinnovamento che conta, e che rende eterni perché ciò che continuamente si trasforma non muore, e cioè quell’energia aurea,  quel fuoco interiore, che trasforma  la ninfa ed anima il bruco polifago, disgiunto dall’aspetto esteriore, che è solo uno strumento per la realizzazione del progetto.

E allora non rimane che ringraziare la Natura per questa sua straordinaria alchimia, nonostante i suoi danni, e l’augurio che dal suo fornello, dal suo Athanor possa produrre altre mirabili magie, non irresistibili però per l’umanità.

 

 Stefano Araldi

                                                                        

 

2 risposte

  1. “La Natura…rende i eterni perché ciò che continuamente si trasforma non muore…” sembra quasi un titolo di una poesia e pensare che quei bruchi viaggiano e banchettano indisturbati anche nel mio giardino entrando, talvolta, anche in casa. Ora so che cosa è “Nato da un cadavere, il male lo porta dal cielo!!”.
    Come sempre articolo piacevole e interessante.

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