Ricordo di Carotti. ‘Grazie Gianni della tua amicizia’

24 Settembre 2022

Gianni Carotti era una bella persona. Colto, intelligente, curioso. Amava la lettura. Leggeva qualsiasi cosa. Quando ci incontravamo per le vie del centro si parlava di libri e gli invidiavo quella capacità di saper raccontare con semplicità le cose che aveva letto. Amava scrivere e lo faceva bene. Raccontava storie che tradivano qualcosa di personale, spesso intrise di mestizia, cose che si ricordano volentieri perché fanno bene al cuore. Avevamo in comune due cose: la passione per i cani e il cinema. Lo ricordo a spasso con un setter (credo fosse quella la razza) dal portamento regale. E anche Gianni che lo accompagnava per le strade della città aveva lo stesso fare distinto. Ricordava quello degli Ussari della grande guerra nella loro variopinta uniforme con al seguito il cane da compagnia. Lui, elegante, col viso incorniciato da grandi baffi, mi pareva un soldato in alta uniforme di un esercito dimenticato col suo cane dall’aspetto fiero.

Verso la fine degli anni settanta il cinema mi aveva permesso di conoscere Gianni. Possedeva una Beaulieu, una cinepresa di marca francese fra le migliori prodotte a quei tempi. All’epoca possedere una cinepresa era un privilegio, e Gianni la utilizzava al meglio per trasformare in immagini le sue storie. L’altro fortunato si chiamava Sandro Talamazzini e, al termine di questa breve fila di
fortunati, c’ero anch’io. Fu la primavera del 1977 che conobbi Gianni, in occasione di una manifestazione dedicata al cinema sperimentale organizzata al Cittanova dall’ARCI capeggiata da Graziano Carotti. Gianni portava un cortometraggio che aveva la voce narrante di Domenico Negri. Al termine della proiezione ci eravamo fermati a parlare di cinema. Sapeva tutto. Era come sfogliare la Garzantina di Aldo Grasso o la storia del cinema di Georges Sadoul. Chiacchierava volentieri con quel modo affabile tipico della persona aperta e curiosa. Negli ultimi mesi ricordo solo lo scambio di qualche messaggio per telefono, strumento che sembrava non gradire. Sapevo che non stava bene ma Gianni, con grande dignità, non lo faceva pesare. L’ultimo messaggio è stata l’immagine di un letto d’ospedale e vicino, ordinatamente, un paio di pantofole. Null’altro. Quell’immagine andava bene così, non aveva bisogno di essere raccontata. E pensavo alla guerra che Gianni stava combattendo chiuso in quelle quattro mura e – posso immaginare – con una gran voglia di fuggire senza poterlo fare. Cosa dire ancora se non pensare di essere stato fortunato a condividere quella amicizia?

Grazie, Gianni, grazie ancora di tutto.

 

Fernando Cirillo

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