Sindacati, politica, partiti e quotidiano locale: Cremona è sul catafalco.

6 Novembre 2022

C’era una volta a Cremona. C’era il sindacato. C’era la politica. C’era il partito. C’era l’informazione. Ognuno svolgeva il proprio compito, più o meno bene. Coerenti con la loro missione, sindacato, politica, partito, informazione, contribuivano alla crescita della comunità e del territorio. Oggi è diverso. Oggi è pot-pourri, minestrone, budino. È impasto indifferenziato. È tutti insieme appassionatamente e non facciamoci del male. È stagnazione. In una società che corre, è l’anticamera dell’arretramento e della morte per consunzione. Così Mantova e la sua provincia sono una scheggia. Cremona e la sua provincia sono un blocco di cemento. Autoconservazione, mantenimento di piccoli privilegi, attenzione ossessiva alla convivenza armoniosa con imprenditori, artigiani, istituzioni pubbliche, hanno omologato i ruoli.
L’intera provincia è caravanserraglio, confusione, bonaccia. È romanzo di Piero Chiara, film di Pietro Germi. È Il Magnifico cornuto, di Antonio Pietrangeli con Ugo Tognazzi e Claudia Cardinale. Grande cinema e pellicola famosa anche per il rifiuto di Cremona a prestarsi come set di una storia d’infedeltà di provincia. (Cremonasera, 8 settembre 2021)

Il sindacato curava gli interessi dei lavoratori, protestava e manifestava contro i padroni, ora datori di lavoro. Interveniva su problematiche ambientali e sociali. Disponeva di un peso politico considerevole. Era temuto e ascoltato. Lottava. Adesso si occupa ancora dei lavoratori, ma predilige la funzione di patronato alla modifica dello status quo. È statico e con la sordina. Disbriga pratiche burocratiche su pensioni,
immigrazioni e altro. Compila denunce dei redditi. Da capopopolo a travet. Manifesta di meno e riempie più moduli. Non contesta le speculazioni sul prezzo dell’energia e Giovanni Arvedi, il più autorevole industriale della città, lo segnala (La Provincia, 28
ottobre). Il sindacato scende in piazza per la pace, che è vincere facile. Non sfila per le vie di Cremona contro le polveri sottili e il consumo del territorio, che sono una rogna. Non organizza sit-in in piazza per sollecitare la conclusione dell’analisi epidemiologica, che è terreno minato.
Il sindacato non è silente, ma la sua voce è flebile. È rumore proveniente da una lontana galassia, Non modifica la realtà. La mantiene. Non è progresso. È conservazione. Retroguardia. La classe operaia, «forza tremenda, che può rovesciare questo mondo di merda, che noi
alimentiamo e non si ferma mai», è superata. Resta la canzone di Giorgio Gaber e una carta vincente in meno in mano al sindacato. Un tempo pochi ignoravano i nomi dei segretari generali. Ora quasi tutti conoscono Maurizio Landini. Al vertice della Cgil, buca il video e spesso compare in televisione. I suoi colleghi, meno mediatici, restano illustri semi sconosciuti, noti agli addetti ai lavori e a pochi altri. Misteriosa, invece, l’identità di segretari provinciali. Ma esistono?  La globalizzazione, il ridimensionamento del peso politico, la rivoluzione informatica, il prevalere della finanza sull’economia, la crisi di un modello di sviluppo illimitato, la personalizzazione dell’incontro fra domanda e offerta del lavoro, l’attenuarsi dei valori fondanti del sindacalismo confederale quali unità, autonomia, rappresentanza, hanno contribuito all’involuzione del movimento. La mancanza di leader ha completato il declino. Cremona non fa eccezione. C’è il sindacato di base. E’ fuori dal coro. E’ puntura di zanzara.

La politica non è messa meglio. Emoglobina bassa, stanchezza, affanno, poca lucidità certificano la precarietà del paziente. La politica ha delegato alle associazioni di categoria, all’economia e alla finanza scelte di sua pertinenza e relegato in soffitta il bene comune in attesa di rottamarlo. Ha ceduto Lgh ad A2a. Ha adottato il Masterplan 3c, voluto e pagato dall’Associazione industriali con il contributo della Camera di commercio. Ha sposato il progetto dell’autostrada Cremona-Mantova. Ha subìto, senza fiatare, il nuovo ospedale. Ha piantato i totem del ridicolo. Ha sceneggiato la commedia delle medaglie d’oro al merito, rifiutate dai designati a riceverle, oppure mai consegnate. Ha avallato il polo logistico di San Felice. Non ha mosso un dito per la coesione e il coordinamento di Cremona, Crema e Casalmaggiore. Ha distrutto la
provincia con accordi indecorosi. La politica latita di politici. Abbonda di apprendisti stregoni. Sgomitano da matti, ma rimangono tali. Proliferano le scartine. Scarseggiano i talenti. Troppi i presunti fuoriclasse e i mantovani ci fottono. La politica vive alla giornata. Priva di progettualità, s’accontenta delle briciole concesse da Roma e Milano. La politica è il tradimento di una promessa. E’ il dileguarsi di una speranza. A Cremona più che altrove.

Il partito meriterebbe il silenzio pietoso riservato ai casi incurabili. Era fucina che sfornava idee e progetti. Di questi tempi è albergo con porte girevoli. Si entra senza credenziali, esami di ammissione, prenotazioni. Legione straniera, ospita inguaribili idealisti e spietati
arrampicatori sociali. I militanti duri e puri, quelli ligi al verbo del segretario e agli organismi direttivi, sono in via d’estinzione. Costretti a cedere il passo all’ultimo arrivato con la stigmate dell’uomo del destino, dalla sera alla mattina si ritrovano militonti, seduti sull’ultimo gradino delle gerarchie dell’organizzazione.  Il partito vincente possiede il potere della folgorazione, la stessa sperimentata da San Paolo sulla via di Damasco. E infatti tre consiglieri comunali leghisti, a poco più di un mese dalla consultazione elettorale del 25 settembre, hanno traslocato in Fratelli d’Italia. Il partito è oblio quando conviene e memoria quando è utile. E’ spartizione di poltrone. E’ reduce che vive di ricordi. È parcheggio per l’utopia. E’ non-luogo, posto di transito. E’ agenzia interinale e ufficio di collocamento.

L’informazione è un giano bifronte. Da una parte, il quotidiano locale e i media dell’establishment. Dall’altra, i bucanieri rompicoglioni delle testate online, sottovalutate e snobbate, ma vive e vegete. In un’intervista pubblicata da Varese New il 3 novembre, Marco Bencivenga, direttore de La Provincia spiega: «I primi tempi mi colpiva come fossi considerato un’autorità istituzionale, alla pari del Prefetto e del Questore, ma è così. Quello che dice la Provincia fa la differenza, qui». Sognare non costa nulla e rende felici. Il problema si pone al
risveglio. La Provincia è il top. Va «meglio del mercato, fortunatamente, malgrado la situazione difficile dell’intero settore». Il direttore non cita dati, ma i San Tommaso possono trovarli su www.adsnotizie.it/_dati_DMS.asp, sito di Accertamenti diffusione stampa (Ads). Ogni mese pubblica le statistiche su quotidiani e mensili. Non è una società di quattro scappati da casa. E’ di Upa (Utenti Pubblicità Associati), Fieg (Federazione Italiana Editori giornali); Federpro  (Federazione Professionale della Pubblicità); Fip  (Federazione Italiana Pubblicità). Scusate se è poco. Bencivenga racconta «Abbiamo una sede importante: così, se scriviamo qualcosa di sbagliato, vengono addirittura da noi: bussano e ce lo dicono direttamente». La sede de La Provincia non è il palazzo della Mondadori di Segrete progettato da  Oscar Niemeyer, ma esibisce il fascino ruspante e un po’ burino dei parallelepipedi di periferia con vista tangenziale e ostentare la possibilità che chi bussa alla sua porta chieda: «Scherzetto o dolcetto?», valore aggiunto esclusivo di selezionatissime sedi di redazioni. Ma la notizia è questa «Nella mentalità cremonese -riferisce Bencivenga – però non c’è l’abitudine di promuoversi: cosi abbiamo ideato, con la collaborazione delle associazioni imprenditoriali, un magazine gratuito mensile per parlare del bello della nostra economia». Come può un quotidiano svolgere il proprio mestiere di cane da guardia se è socio con chi deve controllare? Come è si può essere orgogliosi di questa commistione? La risposta, amico mio non soffia nel vento, come suggerisce Bob Dylan. E’ in queste parole di Ada Ferrari. Sta «nel disciplinato collateralismo dello storico quotidiano locale, La Provincia, efficiente cantore delle luci e ancor più efficiente silenziatore delle ombre» (Vittorianozanolli.it, 1 novembre 2022).

C’era una volta Cremona. Oggi c’è un’altra città. «I tempi cambiano e tutto brucia veloce, i tempi cambiano ad alta voce e ti confondono,
mentre fai finta di niente ti cambiano per sempre».

«I tempi cambiano e tutto brucia veloce, i tempi cambiano ad alta voce e ti confondono, mentre fai finta di niente ti cambiano per sempre».

Bravi i Negrita, ma si può ancora alzare la testa. Basta volerlo e non seguire sempre l’onda.

 

Antonio Grassi

3 risposte

  1. Ma che tristezza dover concordare su tutto. La speranza ha sorretto la vita di tanti cremonesi, ma evidentemente era solo illusione. Non è il singolo eroe, ma la coralità di molti a cambiare il corso delle cose. Qui le individualità ci sarebbero anche, ma nessuno le vuole o tantomeno le ascolta. Da decenni.

  2. Icaro avrebbe potuto diventare colui che poteva cambiare le sorti del mondo, almeno in materia di fisica del volo. Con un po’ di cera e qualche piuma e riuscì a fuggire dal labirinto, salvo trovare successivamente una fine ingloriosa. Per avere chiaramente davanti agli occhi come vanno determinate cose a volte basta il sole oppure qualche dato statistico. Il resto è mitologia.

  3. “se scriviamo qualcosa di sbagliato e vengono subito a dircelo”, non è cosa malvagia se effettivamente si tratta della correzione di un errore, ma lo è se si tratta di uno sgarbo rispetto ad un diktat imposto da chi comanda, in aperta violazione col diritto/libertà di cronaca,

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