Sta’ in campana, Bill…

20 Maggio 2022

Sta’ in campana, Bill…

“ E perché proprio io?” reagì Bill con veemenza.
“ Perché sei uno stronzo… l’unico che si è fatto riconoscere! E poi io devo guidare… il Milanese è troppo grosso… e senza di lui chi la sposterebbe questa lastra di granito?” rispose secco Tonio, detto Bordino per la sua guida abile e spericolata soprattutto nell’affrontare le curve. Aprirono quel tanto che bastava il sarcofago facendo scivolare di lato il pesante coperchio e col calcio dello Sten spinsero il piccolo teschio e le poche ossa in un angolo in fondo all’urna.

“Adesso sbrigati a entrare che da un momento all’altro arrivano i caramba… noi torniamo al casale col Gino… con quella pallottola in pancia non so quanto potrà resistere…”

“ Cazzo, come faccio a respirare?” insistette Bill preoccupato.

“ Bill, fa’ no la mezza sega!” – gli ringhiò il Milanese che non vedeva l’ora di andarcene fuori – “ ti lascio una bella fessura… sta’ buono… e poi tra un paio d’ore al massimo, se non c’è più in giro la madama, ti recuperiamo.”
“ E se vi prendono?” continuò Bill. Il Milanese non lo convinceva del tutto: non era di quelle parti ed era l’unico a non aver fatto la resistenza con loro… non parlava mai della guerra… magari, pensò, era stato unbastardo della ‘decima’…
“ Non ci prendono.” – intervenne brusco Bordino che ormai si sentiva con il fuoco al culo – “ Tu sei inquadrato, ma contro di noi non hanno ancora niente… se ci fermano diciamo che il Gino ha un attacco di appendicite acuta e ci lasciano andare… ma non ci fermano: non se l’aspettano che i rapinatori tornino indietro sulla provinciale di Calestano.”
Se non fosse rimasto ferito il Gino, il piano prevedeva che scavallassero alla Cisa e raggiungessero la capanna nei boschi della Lunigiana, sopra Aulla. Lì sarebbero stati al sicuro: anche i crucchi, che erano sì dei boia, ma in fatto di rastrellamenti non c’era niente da insegnargli, non li avevano
mai scovati… figurarsi i poliziotti nostrani! un’accozzaglia di terroni venuti su con la piena e di manganellatori fascisti riciclati nella celere… e poi in quell’aprile del ‘48 erano fuori di testa con il casino delle elezioni.

La rapina alla banca di Fornovo stava filando per il giusto verso – venti milioni tondi tondi, una vera fortuna – finchè non era sbucata dal nulla una seconda guardia giurata – la prima era già disarmata e con le mani alzate – con la pistola in pugno. Il Milanese l’aveva stesa con una raffica; ma quello, un attimo prima di cadere, era riuscito ad esplodere un colpo che aveva raggiunto il Gino alla pancia: una scarogna merdosa! Nel trambusto che ne era seguito a Bill era caduta la sciarpa che gli copriva il volto e l’avevano visto in faccia… In ogni caso erano riusciti a scappare con i soldi, ad abbandonare la macchina – rubata a Parma la notte prima -utilizzata per la rapina e a salire indisturbati sull’Ardea ‘truccata’ del Milanese. Ma sapevano che molto presto si sarebbe scatenato u inseguimento massiccio.
“Senti un po’ Bill,” – gli aveva chiesto Bordino a bruciapelo, quasi colto da un’illuminazione improvvisa, quando l’ Ardea era già lanciata per la statale – “il cassiere non era un terzino che giocava con te nel S. Secondo?”

Bill era avvampato… si era sentito stretto alle corde… non poteva negarlo… l’avevano stampato e se n’erano accorti anche i suoi compagni. Intanto, col Gino così conciato, si erano dovuti fermare in quella chiesetta sconsacrata con la polizia alle calcagna… e sentivano sul collo il fiato degli inseguitori . Era una piccola chiesa in pietra del XIII secolo, isolata su un versante appenninico completamente brullo, dove l’assenza di boschi – sostituiti da un paesaggio scabro e rupestre – non offriva altri nascondigli. Bisognava dunque fare in fretta a mettersi al sicuro: Bill, nel sarcofago, avrebbe tenuto il malloppo, mentre Bordino e il Milanese tornavano a tutto gas al casale vicino a Collecchio per affidare il ferito al Biondo, il basista: ci avrebbe pensato lui a chiamare Sandrone, un dottore che era stato partigiano con loro e non li avrebbe traditi. Poi con l’Ardea, dopo aver
recuperato il Bill e i soldi, avrebbero cercato di raggiungere Aulla: conoscevano i posti come le loro tasche e gli sbirri non si aspettavano di esserseli lasciati indietro.

“ E se vi rode il culo di dividere con me e mi lasciate qui a marcire?” si
lamentò Bill mentre era già per metà nell’urna.

“ Senti rompicazzo ” – lo zittì il Milanese a muso duro – “fa’ minga il pirla: ti resta il gobbo a garanzia… ti farà da cuscino, cuntént?” e gli scaraventò addosso il sacco pieno di banconote.

“ Tu piuttosto” – rincarò la dose Bordino spazientito mentre insieme al Milanese rimetteva a posto il lastrone lasciando una fessura quasi invisibile, ma più che sufficiente a far passare l’aria – “ se arriva la pula non farti scoprire… non fiatare neanche dal buco del culo… non fare altre
cazzate, intesi?”

“Sta’ in campana Bill, che siamo ricchi! ” esclamò a sua volta il Milanese nell’andar via di corsa.
Adesso era solo, chiuso in quel sarcofago. Fuori si stava facendo sera… faticava a reprimere una certa inquietudine… per darsi coraggio pensò ai milioni… venti, uno in fila all’altro… valevano un bel tredici alla Sisal… ci stava un appartamento a testa e avanzavano i soldi per la Guzzi… e altro
ancora… sì, sì… sarebbero tornati a prenderlo… si trattava di resistere un paio d’ore, forse meno… e così rimuginando accostava ripetutamente le labbra alla fessura per sentire più vicina l’aria di fuori. Poi pensò alla Bice… la sua bella morosa che quando ballava il boogie e le si scoprivano
le cosce tutti restavano a bocca aperta… che tette, che culo! tutta roba giusta, fresca e soda, mica da donna crisi come le modelle di Schubert… e che scopate… oddio che scopate! con la buona stagione nei cerreti e nei boschi di castagni… distesi nell’erba di quelle piccole radure delimitate
dai biancospini, dai noccioli e dai ligustri… o Signore che gusto! La sua Bice gli aveva regalato il bel giubbotto da motociclista che indossava, su cui lei aveva fatto applicare – sopra il taschino di sinistra, all’altezza del cuore – una targhetta d’ottone con su scritto Bill… ecco, sestandosene rinchiuso in quella specie di loculo il giubbotto si fosse rovinato gli sarebbe dispiaciuto… se l’era levato per il colpo, ma subito dopo, in macchina, aveva voluto rimetterselo… sì, gli sarebbe proprio dispiaciuto rovinarlo… ma in fondo con tutti quei soldi poteva comprarsene di giubbotti… e che bei regali avrebbe fatto alla Bice! si sarebbe rifatto un’identità e sarebbe andato a vivere con lei al mare… a Genova… o a Savona… o meglio ancora sulla Costa Azzurra… Gli era così scivolata via la prima mezz’ora, quando sentì arrivare delle macchine: capì che si erano fermate nello spiazzo antistante.

‘I caramba!’ si disse e si irrigidì. Bill non sbagliava: i carabinieri che stavano rastrellando la zona erano arrivati con le loro camionette… e subito li udì avvicinarsi: non dovevano essere in pochi. Li sentì entrare in chiesa: gli arrivava alle orecchie un rumore di passi, un chiamarsi l’un l’altro mentre le luci delle torce elettriche fendevano l’aria e scandagliavano tutti gli angoli. Infine uno di loro si appoggiò all’urna e si accese una sigaretta.
“ Trovato niente?” disse una voce.
“ Minchia maresciallo, ci sono solo dei topi” rispose un’altra.
“ Faraco, che cazzo fai?” riprese la prima voce
“ Una sigaretta maresciallo…” rispose quello appoggiato all’urna.
“ E tu Bentivoglio, in quell’angolo… pisci in chiesa?”
“ E’ sconsacrata maresciallo… non la tenevo più…”
In quell’istante Bill sentì un brontolìo salire dalle viscere della terra e contemporaneamente udì una voce gridare: “ Fuori, fuori tutti! Il terremoto!”
Seguì uno scalpiccìo frenetico e un vociare confuso mentre l’urna sembrava ondeggiare e dal soffitto cadevano sassi e calcinacci. Poi calò un silenzio cupo… buio e silenzio… se n’erano andati tutti… Bill impiegò alcuni minuti per riprendersi. Poi sentì il bisogno di avvicinarsi alla fessura per prendere una boccata d’aria, ma si accorse che la scossa aveva fatto scivolare la lastra chiudendo ogni spiraglio: il sarcofago era come sigillato. Cercò di soffocare il primo impulso di abbandonarsi al panico e calcolò che aveva un paio d’ore di autonomia… nel frattempo sarebbero arrivati i compagni… ormai il Gino doveva essere già al sicuro dal Biondo… non l’avrebbero lasciato lì con tutti quei soldi… Ma il tempo passava e nessuno si faceva vivo. Bill sentì il bisogno
insopprimibile di uscire all’aperto… non ce la faceva più… e infine fu invaso dal terrore… dov’ erano finiti quegli idioti? doveva pur esserci una via d’uscita… non poteva finire così… era una cosa troppo stupida… no! noo! nooo! ma poteva ben sgolarsi… chi l’avrebbe sentito? L’aria cominciava a mancare… era come se una pressa con lentezza esasperante, ma inesorabile, gli stesse premendo sul petto… i polmoni erano stretti in una morsa… e allora fu travolto del tutto… cominciò ad agitarsi in modo scomposto, a urlare, a piangere e bestemmiare… a spingere con tutte le sue forze e a graffiare forsennatamente il granito del coperchio fino a spezzarsi le unghie e lacerare la carne dei polpastrelli… fino all’osso… a sbattere le ginocchia contro la lastra che restava immobile, indifferente alla sua disperazione… finché desiderò morire per farla finita con quella sofferenza insostenibile… ma dovette sopportare un’agonìa che gli sembrò interminabile e fu lucido, orrendamente lucido, fino all’ultimo.

Gli altri non arrivarono mai; anzi non sentirono neppure il terremoto perché in prossimità di Calestano – avevano lasciato la statale da una decina di minuti – Bordino, nell’affrontare la curva come al solito al limite della sicurezza, non si era accorto di una macchia d’olio persa da un
trattore passato di lì poco prima: l’Ardea, slittando fuori controllo, uscì di strada e precipitò con un salto di un centinaio di metri a fondo valle, dove prese fuoco. La gente del posto, da secoli, aveva dedicato quella chiesetta al beato Odofrasio, un fraticello della Lunigiana – chissà se veramente esistito – cui la fantasia popolare aveva attribuito svariati miracoli. Negli ultimi decenni la curia vescovile, sempre molto prudente, aveva però scoraggiato un culto che sembrava più il frutto dell’ignoranza e della superstizione che non di una fede consapevole, sicché aveva deciso di abbandonare alle ingiurie del tempo quell’edificio guardandosi bene dal riconsacrarlo. Ma poiché si trattava di una costruzione non priva di pregio – in stile romanico con alcune sovrapposizioni ornamentali gotiche – trent’anni dopo se ne interessò la sovrintendenza alle belle arti che decise di riportarla alla primitiva dignità architettonica. L’architetto Ricci, incaricato del restauro, restò di stucco quando, aperta l’urna, si trovò di fronte ad uno scheletro del XX secolo: gli abiti erano a brandelli, ma il giubbotto era ben conservato e sulla targhetta in ottone posta appena sopra il taschino di sinistra si riusciva ancora a leggere ‘Bill’. Sotto il cranio c’era un sacco pieno di banconote fuori corso ormai da vent’anni. All’obitorio il medico legale osservava i resti disposti ordinatamente sul lettino; sollevò lo sguardo e si rivolse al capitano dei carabinieri, in piedi vicino a lui.
“ Si sa chi fosse?”
“Tale Germagnoli Amilcare detto Bill…” – rispose prontamente l’ufficiale – “ Trent’anni fa aveva partecipato al colpo alla banca di Fornovo. I suoi complici erano morti in un incidente d’auto e lui era sparito con la refurtiva. Si è sempre pensato che fosse scappato all’estero a godersi i quattrini… E invece ha fatto una morte spaventosa.” – replicò il dottore – “ Vede capitano? Le falangi sono quasi tutte fratturate e abrase in punta… le rotule scheggiate… e osservi il cranio: ha gridato fino a smascellarsi.”

 

Gianni Carotti

Tratto da “ L’occhio di Samuele” – Racconti – Ed. Campanotto

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