‘Taccia, che io sono ragioniere….’

8 Luglio 2022

Alla metà degli anni Cinquanta, chi possedeva un’automobile doveva essere ricco o almeno benestante, considerando il prezzo d’acquisto salato e la mancanza di denaro circolante. Anche un’utilitaria come la Fiat 500 C qualificava chi era al volante come una persona che aveva un conto in banca, quando non esistevano i fidi e all’istituto di credito si depositava soltanto denaro contante. Sulle strade polverose che attraversavano le piccole località che sorgevano attorno a Cremona, si vedevano passare soltanto una o due macchine al giorno. A Persico, uno di questi paesini in cui quasi tutti erano contadini, si poteva incrociare la 500 C blu del maggiore Pedroni (bastava il cognome per identificarlo), ex combattente, scrittore e ricco agricoltore, oppure l’auto del parroco, don Giovanni (che chiamavano soltanto per nome), che guidava una 500 C dello stesso colore regalatagli il giorno del suo insediamento in parrocchia, dal signor Bortolo (pure conosciuto senza bisogno del cognome), un proprietario terriero talmente devoto e pio da rinunciare alla sua macchina (usata) per dare un segnale tangibile della sua religiosità e anche per avere la scusa di acquistarne una nuova.

Nel teatrino delle suore, vicino alla casa parrocchiale, durante la cerimonia di benvenuto che consisteva in canti e poesie di circostanza, improvvisamente si sposta un tendone e di fianco al palcoscenico irrompe l’auto spinta a mano da giovani che frequentavano l’oratorio, tra gli applausi del pubblico, il sorriso di gratitudine del nuovo parroco e l’espressione di compiacimento del signor Bortolo. Quella 500 C di colore blu scuro avrà il dono dell’ubiquità dal momento che, oltre che sfrecciare lungo le stradine del Comune di Persico sollevando un polverone, la si notava un po’ dovunque: in città, sulle colline piacentine e fu vista persino al centro di una fotografia incorniciata a una parete del rifugio al passo Gavia, a 2600 metri di quota. Qui non era sfuggita a due parrocchiani che si erano avventurati su quei tornanti di montagna con la loro Vespa, lo scooter all’epoca di moda, i quali avevano poi rivelato agli amici la loro scoperta durante la tradizionale libagione domenicale a base di bicchieri di rosso per ingannare l’attesa della messa cantata delle 10,30. I due avevano aggiunto il particolare non trascurabile del parroco fotografato non in abito talare ma con un completo “principe di Galles”, con tanto di cravatta. La notizia però non ebbe seguito dal momento che qualcuno aveva giustificato l’episodio, ricordando che la montagna costituiva per il nuovo parroco una passione travolgente. Gli avvistamenti della 500 C blu scuro continuavano e appariva qua e là come un miraggio. C’era chi la vedeva in sosta davanti a una chiesa, chi sulla sponda orientale del lago di Garda, chi sulla strada di Castell’Arquato. A pronunciare la parola fine alle peregrinazioni dell’auto del parroco fu, un bel giorno, il vescovo di Cremona che, nell’ambito di un normale avvicendamento di sacerdoti, ne ordinò il trasferimento a Mirabello Ciria, un paesino quasi disabitato con meno di cento anime, quasi tutte oltre la sessantina, dove, qualche anno dopo, don Giovanni esalò l’ultimo respiro.

A volte capitava che la 500 C del maggiore Pedroni venisse confusa con quella del parroco e lo scambio potrebbe aver alimentato i pettegolezzi che provocarono il trasferimento del sacerdote. Il maggiore Pedroni era uomo di ben altra personalità. Ricco agricoltore, scrittore, convinto della sua superiorità intellettuale (aveva conseguito il diploma di ragioniere), considerava il contadino un essere inferiore, convinzione questa comune ai grandi proprietari terrieri di una volta. Coltivava le lettere e aveva fatto pubblicare a sue spese una raccolta di poesie in cui celebrava le varie fasi della sua vita, dall’adolescenza alla giovinezza e alla maturità, con episodi legati alla vita militare, alla sua passione per la caccia e inserendo anche fatti gustosi. Nel sonetto intitolato “La Pulce”, in rima baciata, ricordava che, recatosi con un amico a Ponte di Legno per una battuta di caccia, fu costretto a svegliarsi alle quattro del mattino a causa di una pulce che si era intrufolata nel letto. Era anche autore di commedie, pure raccolte nel volumetto, in cui trattava argomenti scottanti per l’epoca, come quello delle ragazze madri. Una di queste commedie venne rappresentata nel teatrino delle suore da attori improvvisati e riscosse un grande successo.

Sull’onda del consenso del pubblico, il maggiore Pedroni aumentò il suo distacco dalla gente comune. La sua 500 C blu scuro la si vedeva passare dalla curva di Persico sempre alla stessa ora, quando egli si recava all’associazione degli agricoltori di Cremona. Il ritorno avveniva, puntuale, alle 11 e 30. Durante uno di questi spostamenti, percorrendo la curva parabolica che ruota attorno alla chiesa, investì un ciclista. Il maggiore aveva preso la curva contromano. L’investito, un contadino che risiedeva nella cascina del signor Bortolo, rimasto incolume, stava tentando di far valere le sue ragioni, quando il maggiore Pedroni tagliò corto: “Taccia, che io sono ragioniere e lei non è niente!” e, riacceso il motore, ripartì verso casa.

 

Sperangelo Bandera

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