Ultimo tango a Parigi, parodia dell’Occidente morente

27 Novembre 2023

Un uomo cammina stordito sotto i binari della sopraelevata di Parigi.

Il rumore è assordante e la città grigia e fredda è ostile, ancorché bellissima.

È trasandato come un letto sfatto con un sacchetto di plastica in testa, eppure non si può non esser rapiti dal suo fascino incredibile, una macchia color biscotto sul nero senza fine dei ponti ferroviari.

Sembra disegnato da Picasso su un vetro: i capelli lunghi e radi sono una linea, il naso aquilino da tribuno romano un’altra linea, e lo splendido cappotto color cammello che lo avvolge è morbido come il passaggio di un dito sulla sabbia calda dell’estate.

Non per niente Bernardo Bertolucci disse che per essere Marlon Brando bisognava avere la faccia di Marlon Brando.

Quel cappotto meraviglioso invece era proprio di Bertolucci: Brando glielo prese incantato alla prima prova costumi e non se lo tolse più, dicendo che avrebbe girato tutto il film con quel cappotto addosso, con quella genialità istintiva che è solo del genio puro, come quando per fare la faccia del Padrino si mise tra le gengive dei pezzi di formaggio…Il cappotto ovviamente Bertolucci non lo rivide più, e non senza un certo disappunto dato che doveva essergli costato una fortuna: oggi un cappotto come quello nuovo costerebbe circa 30.000 euro, perché quel particolare punto di colore unico al mondo, tra il ruggine e il color cammello, tra l’arancione e il mattone, tra il marrone e il rosso è di un tessuto unico al mondo, la vicuña, il più costoso che esista.

Quel cappotto è tutto il film. È il cappotto più sexy della storia, quasi un feticcio erotico di stile.

Quel cappotto è ciò che rimane di quell’uomo prima della follia, unica traccia delle sue vestigia di alto borghese elegante e raffinato prima di esser inghiottito dai drammi della vita. Quell’uomo ha già lasciato il mondo dei vivi per quello dei morti, e quel cappotto è l’unico lembo di appartenenza alla raffinata società europea che gli rimane addosso.

Quel film è Ultimo tango a Parigi.

Sono passati 50 anni, e sembra passata un’era.

Per la verità anche allora imperversavano nelle strade le manifestazioni femministe per i diritti della donne, come oggi si va in piazza contro “il patriarcato che uccide” e la violenza sulle donne.

Eppure quei due sconosciuti passano tutto il film chiusi in un sudicio appartamento abbandonato in una spirale di erotismo e follia che porterà lui alla morte per mano di lei che gli spara prima complice e poi terrorizzata, opposto del motivo per cui si scende in piazza oggi o forse niente altro che una sua naturale anticipazione.

Fatto sta che quei due se ne fregano perfino di sapere i loro nomi. E quel magnifico cappotto è sempre lì, unica traccia di eleganza superiore in tutto quel surreale abbandono tra l’erotismo e la disperazione, come una reliquia di ciò che si era e che non si sarà più, ultima traccia di un’epoca dorata definitivamente tramontata.

Oggi girare un film così sarebbe  impossibile. Ma anche quel cappotto così elegante e così protagonista sarebbe impensabile.

C’è il Black Friday, con i centri storici letteralmente invasi da orde sconfinate di compratori seriali attirati dalla possibilità di sfogare l’ossessione compulsiva dei consumi che il web ci dosa ogni giorno come una efficacissima droga: quintali di robaccia multimarca per un po’ di euro  al kilo, ma nessun bel cappotto di vicuña …

Quanto a Parigi, nei giorni scorsi la Francia era di nuovo alle prese con un altro dei massacri razziali “al contrario”  che da troppo, in una preoccupante indifferenza mediatica, la flagellano e che stavolta ha visto un “gaulois” (un ragazzo “bianco” francese) di 16 anni sgozzato da una banda di ragazzi francesi figli di immigrati nordafricani delle banlieues che hanno assalito a colpi di accetta da macellaio la festa del paesino di campagna vicino a Grenoble dove viveva il povero Thomas, uccidendo lui e ferendo altre 20 persone.

La faccia di Marlon Brando morente che guarda i comignoli di Parigi alla fine di Ultimo tango a Parigi è da storia del cinema: chissà se è  la faccia di un Occidente che saluta se stesso, almeno come lo abbiamo conosciuto noi…

 

 Francesco Martelli

sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

docente di archivistica all’Università degli studi di Milano

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