Una Provincia sempre più sfilacciata e divisa

1 Marzo 2021

Definire strampalata la legge 56 del 2014 che ha trasformato le Province in enti territoriali di area vasta è fare un complimento al primo firmatario Graziano Delrio.  Il legislatore era sicuramente animato dalle migliori intenzioni, ma il risultato della riforma, peraltro rimasta incompleta, è fallimentare. Le Province esistono ancora con relative funzioni avendo conservato buona parte delle loro competenze.  Ma hanno perso l’identità politica. Tutti gli incarichi sono a titolo gratuito, tuttavia gli effetti positivi del taglio della spesa, che era uno dei principali obiettivi della riforma, non sono tali da compensare le negatività.

Questo è il quadro generale, con uno specifico cremonese. Da quando il presidente è eletto dai sindaci e dai consiglieri e non più dai cittadini, si è  ulteriormente sfilacciato un territorio che per ragioni storiche e per conformazione geografica è stato segnato da profonde divisioni e rivalità.  E’ incredibile che oltre il Serio si tenga vivo il ricordo dell’assedio di Crema avvenuto tra il 1159 e il 1160 e dell’eccidio finale da parte del Barbarossa con l’aiuto di Cremona. Si alimentano campanilismi che oggi appaiono ingiustificati. Irridere o bollare come incomprensibile questo stato di cose complica il problema perché allontana ogni possibile soluzione.  Finché l’Amministrazione provinciale ha mantenuto valenza politica, ha esercitato anche una funzione di coagulo tra Comuni. I presidenti della Provincia di Cremona si avvalevano di un vice cremasco e rivolgevano massima attenzione a Crema e anche al Casalasco, consapevoli della necessità di aggregare i territori. Tramite la cultura Gian Carlo Corada. Giuseppe Torchio e Massimiliano Salini,  per citare gli ultimi presidenti eletti dalla gente, pur provenendo da diverse esperienze politiche, hanno guadagnando popolarità e consensi guardando alla provincia nella sua globalità. Chi conosce l’attuale presidente? L’assenza di un punto di riferimento sovracomunale ha accelerato le spinte centrifughe e la conseguente perdita di peso politico del capoluogo, dei due centri maggiori e complessivamente di tutta la provincia.

Il sindaco Stefania Bonaldi coltiva ancora l’idea della ‘secessione’ cremasca. Ha vagheggiato l’unificazione con Lodi, incassando un sonoro rifiuto. Il suo collega di Cremona Gianluca Galimberti non ha avuto l’autorevolezza sufficiente a fare blocco con i suoi omologhi su questioni di interesse generale e ha inseguito alleanze e progetti con altre città lombarde. In questa situazione di oggettiva e accresciuta debolezza sono maturati lo scippo dell’Azienda territoriale sanitaria Valpadana la cui sede è stata trasferita a Mantova,

il trasferimento nella città virgiliana della Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali e la perdita di autonomia della Camera di commercio. Tutto ciò e avvenuto senza un battito di ciglio dei partiti e con la passiva acquiescenza dei politici.

A fronte dell’evidente fallimento dell’organizzazione sanitaria lombarda legato al Covid 19, a gennaio il vicepresidente della Regione Lombardia e assessore al welfare Letizia Moratti  ha riconosciuto la necessità di prestare una maggiore attenzione alla medicina del territorio. Potrebbe essere l’occasione per ridare a Cremona una Ats autonoma. Ma nessuno dei presunti leader politici locali s’è mosso per reclamare il ripristino del confine col Mantovano.  Ad oggi 24 consigli comunali, 23 cremaschi e uno cremonese, hanno approvato una mozione che chiede alla Regione di ridare a Cremona la sede dell’Ats. Ma se Cremona non fa da capofila, Crema si rivolgerà a Milano.

Il disfacimento dell’Area omogenea cremasca è un altro riflesso della perdita d’identità politica della provincia di Cremona. La sua esistenza si giustificava nell’ambito di un territorio provinciale comprendente Comuni lontani tra loro geograficamente, economicamente e culturalmente. La liquidazione di Scrp, la Società cremasca reti e patrimonio, in corso da anni dopo il recesso di 8 Comuni, è stato il primo, inequivocabile segnale dello sfaldamento in atto. Ormai sono più i motivi di contrasto e le divisioni interne che gli elementi unificanti. Non serve nemmeno più come collante di un’area diventata disomogenea la condivisa ostilità verso Cremona. Si procede in ordine sparso con poche idee e ben confuse, senza capire che un’armata Brancaleone non vincerà mai una crociata. E senza valutare il danno competitivo anche economico prodotto dall’incapacità di una provincia di procedere in modo coeso.  Non servono autostrade né ponti nuovi  per unire e rilanciare un territorio. Occorrono gli uomini giusti al posto giusto.

3 risposte

  1. Sono stata due volte assessore provinciale e non posso che condividere pienamente quanto magistralmente espresso da Vittoriano Zanolli. Il ruolo di mediazione ed equilibrio della Provincia, istituzione intermedia tra i Comuni, spesso presi dal loro ” particulare” e la Regione, lontana e complessa, è insostituibile e da molti rimpianto.

  2. I danni provocati a tutti i livelli dal Provincellum (Legge Delrio) sono sotto gli occhi di tutti. Purtroppo il nostro territorio come ben rappresentato dall’editoriale di Vittoriano soffre e acuisce le disfunzioni in cui viviamo. Scelte importanti per uscire dall’isolamento in cui ci troviamo non solo languono (autostrada CR MN, Raddoppio della linea ferroviaria MN – CR – Codogno, Canale navigabile, …) ma non trovano neppure la necessaria e caparbia forza che la politica, il mondo imprenditoriale e istituzionale per invertire la rotta. A ciò aggiungo che dopo sette anni la scelta di ripristinare le Province è scomparsa dall’orizzonte della politica.

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